Non
      è facile parlare senza interlocutori di un progetto musicale che ci vede
      coinvolti in prima persona. Si fa presto a diventare noiosi e tralasciare
      aspetti che potrebbero, invece, destare interesse. Ho accettato
      l'opportunità offertami, oltre che per raccontare brevemente le peripezie
      degli ultimi anni, per esprimere gratitudine a coloro che hanno
      partecipato alla realizzazione del disco.
      La
      via del blues offre certamente molta più polvere e chilometri da
      percorrere che soldi in fondo alle tasche. Un modo, se vogliamo, naif di
      esprimere le sorti di musicisti con l'anima persa nelle dodici battute, ma
      che ben rappresenta quanto succede anche nel caso dei CARPEDIEM. Nel corso
      del 1998 -nonostante i consensi ottenuti dalla band in quasi quattro anni
      di concerti, un Cd edito nel '96 e l'invito a partecipare al IV° volume
      della collana discografica "This Is My Story: Il Nuovo Blues In
      Italia", curata da Ernesto De Pascale- eravamo giunti ad una fase di
      stallo. Inattesi erano arrivati i primi segni d'insofferenza per la vita
      "on the road" da parte di Pasquale Nota che, in più di
      un'occasione, aveva lasciato senza tamburi la band. Lo stesso Dario
      "Big Max" Gaudio, che fino a qualche tempo prima viveva di sola
      chitarra, era stato costretto a trovare un impiego stabile.
      Nonostante
      tutto, Dario "Big Max" ed io (acerrimi superstiti della band)
      abbiamo continuato a suonare in duo semi-acustico per quasi due anni,
      maturando la follia di realizzare un altro disco: tanto per ridare gas al
      motore! Così ho acquistato un piccolo registratore ad otto tracce e siamo
      partiti. Abbiamo inciso la maggior parte dei brani fra il salotto e la
      soffitta dell'appartamento dove vivo, abusando della pazienza della mia
      famiglia (moglie e figli, cui debbo tutta la mia riconoscenza). Altri set
      sono stati organizzati in una sala prove di Caserta e nel garage di Andrea
      Petrillo, che ha suonato la batteria in alcune take. Unica concessione
      "esoterica" è stato il missaggio, curato da Vittorio Remino nel
      suo studio (comunque casalingo). E' intuibile che si tratta di un prodotto
      volutamente di basso profilo, che risente della dilatazione dei tempi e
      luoghi di realizzazione e, comunque, in linea con le produzioni ruspanti
      cui facciamo continuo riferimento: mezzi limitati, tenacia e passione
      esagerata. Ad altri spetta il compito di scovare ulteriori qualità.
      Interpreto
      anche il pensiero di Dario "Big Max" Gaudio nel ringraziare, in
      primo luogo, Pasquale Nota, il "fratello maggiore" con cui
      abbiamo condiviso centinaia di concerti e avventure, ora preso da famiglia
      e lavoro; Andrea Petrillo, che ha accettato con entusiasmo uno spirito a
      lui non completamente consono; Luis Manero, amico e sostenitore messicano
      che ha fatto di tutto pur di esserci. Un sincero abbraccio spetta a
      Vittorio Remino, che ha dimostrato sensibilità non comune, calandosi nel
      "sottosuolo", lontano dalle sue illustri esperienze
      professionali; a Emilio Di Donato, per l'ospitalità ed il consueto
      supporto (anche materiale, visto che ha contribuito alla realizzazione
      della veste grafica); a Paolo Pedata, perché un camaleonte chitarrista
      ben rappresenta lo spirito blues che vorremmo ci animasse ancora a lungo.