Quando si suonava per qualche manciata di sigarette

Ricordando la Caserta dei primi anni settanta

di Giò Vescovi


Aggiornando il mio sito mi son venute fuori queste righe, ricordando un po’ la Caserta dei primi anni settanta con spazi e vicende collegate alla mia storia musicale. Penso che pubblicarlo possa far ricordare a molti quegli anni pionieristici, quando si suonava per qualche manciata di sigarette. Una volta ad una festa di piazza, ricordo a Tuoro, mi diederero 2500 lire, non credevo ai miei occhi, era tanta l’ emozione di aver guadagnato tutti quei soldi, che non sapevo cosa comprare prima, era il 1968.


Nel lontano 1979, dopo otto anni di fermo (per motivi matrimoniali e di famiglia), una notte mi accorsi di aver buttato un pò della mia vita, sacrificandola con un noioso allontanamento dalla musica, da quella musica che aveva caratterizzato la mia adolescenza, fino ai primi anni settanta, fatti di "vasche" sul corso Trieste, da piazza Dante fino, e tassativamente non oltre, via Colombo, per poi iniziare il ritorno fino al "Bar Buffolano" dove, in modo rigorosamente caparbio, era stato costituito il quartier generale della gioventù Casertana. Lì ci si incontrava per concordare il calendario delle prove dei vari gruppetti musicali (eravamo sempre gli stessi), io, Agostino Santoro, Fausto Mesolella, Corrado Sfogli, Pasquale Santangelo, Enzo Gnesutta, Giovanni Pasquariello, Carmine Battaglia, Angelo Miranda, il tecnico del suono (definito tale in un momento di allegria) Lello Suppa, Vito Bizzarro, Pietro Vanità, e poi l'allora giovincello, nascente impresario, Enzo Nigro, ecc. 

 

A Caserta c'era una stanza che ricordava un misto tra un pollaio e una ex stalla, dove tutti, dico tutti, i gruppi casertani di allora hanno provato e si trovava in una stradina alle spalle del carcere femminile, in fondo a via Tanucci. Era una di quelle catapecchie circondata da qualche metro quadrato di giardino, dove al posto del pollaio e con i nostri miseri amplificatori poggiati su quello che una volta era il fienile per l' asino, si era ricavato una spazio per provare, appunto. Il padrone di casa, un settant'enne curvo dal lavoro di una vita chinato sui campi che tutti senz' altro ricordano: Zì Nicola, che ogni mese prendeva le duecentocinquanta lire di affitto, e che noi tassandoci sui consumi delle sigarette, mettevamo insieme. 

 

Torniamo alla mia storia. Per fortuna avevo soltanto assopito l'enorme amore per la musica, e così, un pò arrugginito mi rimisi all'opera per iniziare un' altra avventura che sarebbe durata sino a oggi, recuperando quella grinta e lo smalto, che mi porta ancora ad essere spesso davanti ad un pubblico eterogeneo. Così mi son trovato a navigare in quasi tutti i campi musicali, con tante formazioni, in situazioni diverse, e in diversi panorami a cui mi sarei dovuto adattare: dal duo maschile al duo misto (tipo insalate), poi il trio con varianti strumentali tra le più disparate e a volte azzardate, che poi si riveleranno quelle più entusiasmanti, mentre in tutte queste storie tenevo d' occhio quello che prima o poi sarebbe uscito fuori dalla mia anima. Poi il quartetto, prima acustico poi elettrico, cominciando dalla West Coast fino al reggae giamaicano, il blues napoletano, fino ad arrivare al rock 'n' roll, di cui ne sono stato schiavo per due stagioni intere, e di cui ancora oggi eseguo alcuni degli arrangiamenti che in momenti di grazia ho creato, ed ho avuto la lungimiranza di fissarli su nastro e poi in digitale.

 

Nel 1995, la grande svolta: chiudo con le formazioni da piano-bar senza emozioni, chiudo con gli arrangiamenti in midifile, della serie "...suonate voi che al resto ci penso io...", faccio una cernita del tipo di locale e di spettacolo a cui mi voglio dedicare, e mi tuffo letteralmente nella grande ragione della mia vita: "il Blues", lavorando solo ed esclusivamente in "live". Ma anche nell' ambito di queste scelte non mi sono affatto fermato, infatti, attento al mercato musicale, mi sono adattato (mantenendomi sempre nel contesto del mio "credo") alle espressioni live più attuali e più idonee alle tendenze del momento. Passando quindi, in modo lento ma deciso, dal blues più "Chicago" a quello più country, poi dal Detroit fino all' acustico, e del Delta. Tutto ciò, non è stato perchè non avessi le idee chiare (come mi è stato detto una sera da un personaggio che adesso, per sua e nostra fortuna, non "suona" più), io infatti ho sempre creduto nella crescita interna e nella evoluzione nell' ambito di una espressione artistica, le emozioni e le esperienze devono essere assolutamente formative, e dal momento stesso che non ci saranno più, devono lasciare un bagaglio che servirà a creare lo scalino successivo, per andare sempre più avanti. Per questo sono ancora qui. In fin dei conti sono sempre rimasto umile e modesto nelle mie cose, lasciando fermo il vulcano dentro di me, per lanciarlo fuori solo in concerto, come un' invisibile ponte tra la mia mente e il cuore del pubblico.

 

Sento ancora le parole di mio padre (musicista, ma di quelli veri), che avrebbe voluto indirizzarmi verso gli studi di musica classica: "Va bè, se ti piace il rock, fallo, ma, ricordati che qualunque cosa tu faccia, falla col cuore, prima, però, guardati dentro l'anima". Era una calda estate siciliana del 1965, poco prima che morisse. Ciao Ba'.
Giò Vescovi

Con un gruppo casertano nel 1969.

 

Giò Vescovi oggi

 

 

 

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