La dittatura dei Maleducati

Il mondo della musica è forgiato sui bisogni di chi alla musica è estraneo.

di Angelo Agnisola


Tra le note di uno dei più bei dischi del periodo ("Wicked Grin", di John Hammond con Tom Waits) ho trovato una frase illuminante di T-Bone Burnett:"L'arte non è bella a vedersi e, soprattutto, non è per tutti. Questa è musica per gente che ama la musica".
Sembrerebbe un proverbio snob, una velenosa smentita all'ideale dell'arte per tutti, ma non lo giudico così.
Lo prendo piuttosto per un sacrosanto grido di allarme nei confronti dell'ineducazione di questi nostri tempi e di tutti gli antipatici corollari che ne derivano. Questa è un'epoca in cui si tende a non educare più nessuno a nulla, e per educazione non intendo certo le buone maniere, il bon ton.
Non si educa ai sentimenti, alle emozioni né ai passaggi della vita, tantomeno all'arte.
Per venire al nostro orticello, la musica viene colta distrattamente e sbocconcellata se proprio te la mettono tra i denti. Educazione vorrebbe dire conoscere, cercare, scegliere; vorrebbe dire coltivare, con quel po´ di fatica e di applicazione, di disciplina (sacra parolaccia) che tutto ciò comporta.
Non mi sembra un atteggiamento molto in voga. Prevale piuttosto il consumo indifferente e quella perversione della musica per tutti che è la musica destinata a chi fondamentalmente non interessa niente, a chi apre le orecchie solo se suona il campanello dello spot riconosciuto o se il metronomo batte a 130.
Il "grosso pubblico" di cui smaniano i discografici e che li ossessiona è un pubblico così, di ineducati non ascoltatori; e quando qualcuno si presenta a offrire le sue opere, è a quel bersaglio grosso che si punta, è proprio quel "generone" di indifferenti/riluttanti che diventa metro di giudizio. Il mondo della musica forgiato sui bisogni di chi alla musica è estraneo.
E' un fantastico paradosso no?, ma anche un crudele specchio della realtà; e fa pendant con i discografici che disprezzano l'arte e guardano storto quei pericolosi intellettuali che perdono ancora il loro tempo ad ascoltare i Tom Waits, i John Hammond, e tutti i "non uguali" della scena.
Siamo sempre lì, alla caverna che duemilacinquecento anni fa ci raccontava Platone.
Si vedono ombre, si sente qualche eco e c'è chi la chiama "scena musicale".

 

 

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