Modì...Maudits: Intervista a Tito Schipa Jr.

di Salvatore Esposito


Finito lo splendido spettacolo incontriamo uno dei protagonisti, Tito Schipa Jr, cantautore italiano eclettico e geniale. Schipa jr, ha presentato nel corso dello spettacolo Modì Maudits alcuni brani di Dylan e Morrison dedicati rispettivamente a un personaggio "difficile" importante nella loro vita e nella loro formazione, Brian Jones e Woody Guthrie. "Un'insieme - spiega - molto forte e di grande suggestione, oltre che di grande poesia".

Casertamusica.com Signor Schipa, come nasce il progetto Modì Maudits?
Tito Schipa Jr. L'idea è di Alfredo Saitto e Nunzio Areni, che hanno concepito e messo in piedi lo spettacolo. Io sono stato coinvolto in seguito, so poco di come è nata l'idea, ma conosco bene Alfredo Saitto, da quando era soprattutto un giornalista, uno che è stato spesso dalla mia parte (e non sono tanti). Quando gli è venuta un'idea un po' pazza come questa ha pensato a me, non a caso forse. E' un modo per riavvicinarci, credo che faremo altre cose insieme.

D. Cosa intende lei per maledizione, poeticamente parlando?
R. La maledizione in sé non esiste, è nello sguardo degli altri. Non credo ci sia nessuno che pensa di essere un maledetto, o che scrive pensando di essere un maledetto. Tutti sono dolci, spontanei e teneri, poi ogni tanto esagerano un po' in franchezza, perdono un po' di discrezione e comunicano delle emozioni troppo forti. Le emozioni troppo forti sono sentite spesso come pericolose e dolorose. Wilhelm Reich lo diceva: molta gente non le sopporta e quindi pensa alla "maledizione".

D. In uno spettacolo del genere che mescola, arte, musica e poesia, si corre il rischio di saltare o meglio non valutare bene tutti i lati di un fenomeno, qual è l'alchimia di questo spettacolo?
R. Io mi ci trovo come un pesce nell'acqua. Sono conosciuto più che altro per il mio eclettismo disperato, ma è stato anche una bella palla al piede, per un certo periodo di tempo: finivo di fare una cosa e ne cominciavo un'altra, completamente diversa, bruciandomi tutto quello che avevo ottenuto con la cosa precedente. In una dimensione multimediale, multitematica, multispecialistica mi trovo
molto a mio agio, però capisco che non si dà un'indicazione precisa allo spettatore, forse non si punge fino in fondo, così.

D. Da dove è nata la scelta di cantare Master Of War?
R. Ho fatto una gamma di proposte all'organizzazione, in un primo tempo si era parlato di Lungo I Merli di Vendetta (All Along The Watchtower) che sarebbe stata di maggior soddisfazione per l'orchestra, poi l'arrangiatore Pino Iodice, che fra l'altro è bravissimo, ha avuto una folgorazione e mi ha detto: facciamo questa.

D. E' stata davvero travolgente come performance…
R. Ho sofferto un po' perché non eravamo amplificati perfettamente, e ho dovuto "combattere" contro la big band, mi è toccato urlare un po'. Spero non sia stato troppo brutto.

D. Da dov'è nata invece la scelta di recitare Last Thoughts On Woody Guthrie?
R. Ci sono due scritti di Dylan eccezionali: uno è questo, l'altro è dedicato a Joan Baez. Quest'ultimo è un retro copertina, che spesso mi piace recitare, e che per certi versi è anche più emozionante. Ma certo non si può pensare a Joan Baez come una maledetta…

D. Era più una sorta di mamma per Dylan…
R. Infatti. Questa che ho fatto, invece, era una cosa scritta da un maledetto per un altro maledetto.

D. Dylan ha rappresentato per lei un importante punto di riferimento, quanto può essere definito maledetto, alla luce anche del suo periodo religioso e soprattutto della portata universale e spirituale di alcuni suoi testi?
R. Io quando penso a Dylan spirituale non penso mai al periodo religioso. Il Periodo detto religioso credo sia stato per Dylan il periodo più spento. Nel momento in cui si è rinchiuso in quella dimensione ha perso il suo graffio. Secondo me c'è molta più spiritualità in canzoni come I Shall Be Released, in cui la spiritualità è oggettiva, laica, panica. O ad esempio in Chimes Of Freedom, che è
una preghiera disperata, bellissima. Ma non è nella dimensione religiosa fittizia che trovo il "mio" Dylan. Il meglio di Dylan è da una parte nella sua potenza epica, dall'altra nel suo cantare le persone, nel come ha saputo guardare la gente da vicino. E' un ritrattista incredibile, innamorato e spietato assieme. Cosmico e minimale, come Dante, drammaturgo musicale gigantesco, come Verdi. Altro che un banale protestatario, ma questo molte persone non sanno o non vogliono vederlo.

D. Anche nel periodo così detto del fantasma dell'elettricità, quello dal 65 al 66 degl'album Highway 61 e Blonde on Blonde, secondo me c'è qualcosa in più rispetto a quella che è la tematica del poeta maledetto…lei come vede quei testi?
R. La tematica di ogni poeta "maledetto" è solo una sua tematica personale, ma talmente personale che risulta scomoda, al punto da essere definita maledetta. Quel periodo è senz'altro il periodo più bello, e l'elettricità c'entra fino ad un certo punto, e la maledizione anche. Ricordiamoci che Dylan è soprattutto uno che scrive. Come poi suoni i suoi testi è relativo. Quello del passaggio dall'acustica all'elettrificazione è secondo me il periodo più bello, quello che mi ha sconvolto, parlo di canzoni che partono da I'ts Allright Ma', che passano da Desolation Row e decollano verso Sad Eyed Lady Of The Lowlands. Mai abbiamo sentito cose simili messe in musica, nella seconda parte del novecento.

D. Le piacerà anche Highlands da Time Out Of Mind, che è più o meno sulla stessa falsa riga…
R. Recentemente l'ho perso di vista, io sono rimasto legato a quel periodo. Non sono diventato maniacale. Una volta che si è perso quell'entusiasmo Degli anni sessanta l'ho seguito tecnicamente, solo per tradurlo tutto, ma il "mio" Dylan rimane in quelle incredibili volate, una sorta di Dolly cinematografico che dal primo piano di una persona, da un dettaglio, si sollevava a cogliere un significato universale dei nostri rapporti, del nostro modo di essere al mondo, lasciandoti senza fiato, ecco il graffio del grande poeta. E' riduttivo definirlo maledetto. Lui è semplicemente il più grande poeta della nostra generazione.

D. Quanto in Dylan ha influito la poesia maledetta del 900 parlo di Baudelaire, ma anche di quella della Beat Generation?
R. Se consideriamo che nome d'arte ha preso, dovremmo guardare più a Dylan Thomas. Lì non c'entra la poetica maledetta, siamo su una sorta di travolgente surrealismo narrativo, o di pensiero torrenziale alla Joyce, è diverso. Ma mi sento di dire che lui è andato anche oltre, riuscendo a dare a quelle esperienze quasi astratte una efficacia e una riconoscibilità incredibile per tutti. Su altri piani, era come se un Picasso avesse dipinto e scritto fumetti, ottenendo allo stesso istante di restare fedele alla sua arte migliore e di parlare a un pubblico enorme ogni giorno.

D. Oggi spesso si parla di Bob Dylan candidato al Nobel, sarebbe come accettare una sua ipotetica appartenenza oltre alla musica rock anche a quello della poesia, lei cosa ne pensa?
R. E' così. Dylan è un gigante della Poesia che appartiene collateralmente alla musica rock. Io ho sempre spalleggiato questa iniziativa. Insieme a Fernanda Pivano, che mi onora della sua amicizia, la ripetiamo dovunque andiamo: Dylan merita il Nobel, ma purtroppo temo che non lo riceverà mai. Perché il rock n' roll è e resta sempre rock n' roll, quello sì davvero maledetto! A parte che certe canzoni fanno male. Come del resto stasera, quando a metà di Master of War pare che alcuni si siano alzati e siano andati via. Pare che se ne sia andata una fila intera, urlando e scandalizzandosi. Beh, mi sono detto, allora funziona sempre!

D. Tra i poeti maledetti del 900 vengono spesso inclusi i musicisti rock parlo di Patti Smith ma anche di Jim Morrison, come vede questa pseudo forzatura?
R. Lì ci sono di mezzo discorsi satanici. Non c'è dubbio che una certa fetta di rock n' roll ha giocato su questo argomento, secondo me in maniera scherzosa. Ma anche se avessero fatto sul serio, resta una parte irrilevante. Jim Morrison lo lascerei fuori da questo discorso: lui era affascinato dal lato iniziatico, che in lui era molto presente, ma non c'è mai stato un vero contatto con la magia nera, anzi temeva questo tipo di cose. Lui era terrorizzato da questo tipo di cose. Era affascinato invece da figure come lo sciamano, la sibilla, dalle profezie, e molti di questi elementi gli venivano da una sua certa cultura classica. Si pettinava in quel modo perché voleva somigliare ad Alessandro...

D. Un esempio è sicuramente The End con i suoi rimandi alla Trilogia Tragica dell'Edipo Re…
R. Cultura non solo classica ma proprio attentissima alla Magna Grecia. In questo era molto vicino a noi meditarrenei, anche fisicamente. 

D. Parlando sempre di Jim Morrison, la sua figura è stata sfruttata male nel corso degl'anni e parlo delle tante frasi attribuitegli e dei tanti aneddoti pseudoveritieri sulla sua vita, era davvero uno dei tanti scapestrati degl'anni sessanta o un poeta? Quali sono i suoi veri meriti poetici?
R. Anche lui era soprattutto un poeta, che per campare, diciamo così, ha messo su i Doors, e gli è andata molto bene, perché aveva un carisma incredibile.

D. Il film di Olver Stone analizza bene questi passi….
R. Verissimo, gli è andata bene perché lo meritava, con quella presenza, con quel fascino, con il suo modo di muoversi. Ma non era lì la sua natura. Chi legge Deserto sa che anche qui siamo in presenza di un poeta. Non un Bob Dylan, un minore, ma con una sua intensità fortissima, con una capacità visionaria che non ha nulla a che vedere con i Doors. Quelli erano un gruppo di musicisti universitari che devono baciare per terra dov'è passato lui.

D. Certo hanno azzeccato il riff giusto di organo con Ligth My Fire e da lì sono esplosi….
R. Sì, hanno avuto una serie di coincidenze molto fortunate.

D. Ho sentito che in programma ha una celebrazione per il suo spettacolo Orfeo 9, cosa avete organizzato?
R. Intanto una festa del trentennale per settembre o ottobre, poi proiezione su Rai Sat e altre proiezioni in giro per l'Italia, in serate dedicate. La prima a Pesaro il 13 e 14 settembre.

D. Da dove è nata l'esigenza di ripetere l'operazione Orfeo 9?
R. Da Internet. Lì mi sono accorto che si stava assemblando una vera massa di persone, ognuna delle quali fino ad allora si era sentita unica, isolata, sola, e che improvvisamente scopriva che c'erano altri come loro che amavano lo stesso prodotto, in questo caso Orfeo 9. Tanto vale uscire dal sommerso, ora. Siamo stati sotto il pelo dell'acqua trent'anni, ma siamo comunque l'unico disco italiano di rock che ha sempre venduto, da allora. L'unica opera rock e l'unico disco di progressive che non ha mai smesso di vendere. Io non mi sono mai interessato più di tanto, o meglio non ho mai spinto molto, perché ho fatto altre cose. Ma ora non posso fare finta di niente. Non sono insensibile al grido di dolore...

D. E' bene che tutti conoscano l'importanza di un'opera del genere…..
R. Dipende molto da voi…

 

              Tito Schipa Jr.

 

 

 
 

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