Intervista a Marino Severini Dei Gang 

intervista di Salvatore Esposito foto di Michela Cobino 


Grottaminarda (Av) 29.08.03 - Chi ama il rock italiano, sa che i Gang sono stati e sono ancora una delle band più interessanti del panorama musicale della nostra penisola, vuoi per la capacità di reinventare il combat-rock stile Clash, vuoi per l'estro di tramutare lo stesso in una sorta di combat-folk molto raffinato. Oltre ad una onorevolissima carriera, la band marchigiana vanta una lunga serie di collaborazioni eccellenti con Billy Bragg, Massimo Bubola e di recente anche con Claudio Lolli con cui hanno reinciso una bellissima versione di Borghesia. Incontrarli è come ritrovare vecchi amici, che non vedi da tempo, nel backstage del concerto si comportano come se non gli pesasse l'illustre passato sulla cresta dell'onda rock. Non una smanceria da consumata rock-star, non una buffonata, ma un sano concentrato di semplicità e serietà senza uguali. Ecco quindi il risultato di una chiacchierata a ruota libera con Marino Severini, leader, voce e chitarra dei Gang.


Casertamusica.com Era un po' di tempo che non facevate concerti al sud, come ti trovi da queste parti? Come giudichi il pubblico di questa sera rispetto a quello di qualche anno fa?
Marino Severini Vero, era un po' che non facevamo concerti al sud, e soprattutto erano due anni che non venivamo qui. Abbiamo molti amici da queste parti ed è sempre un gran piacere suonare al sud. Qui siete tutti meno freddi, si sente più calore umano. Quanto al pubblico noi siamo una band viziata, nel senso che girando molto al nord, dove siamo molto popolari, abbiamo sempre un gran numero di persone ai nostri concerti, li c'è stato una sorta di ricambio generazionale. Sono tutti li cantano le nostre canzoni, saltano, ballano. Qui è diverso perché nonostante ci siano molti amici la nostra musica non è diffusa o meglio non è conosciuta, ma questa è una cosa che deve venire piano piano. Questo non significa che sia stata una bella serata, anzi le serate dove tutti cantano stile karaoke diventano prevedibili al punto che non ti diverti. Questo non dipende da noi perché è difficile far sfondare la nostra musica che non trova iniziative che ci permettono di arrivare a tutti in modo capillare.


D. Lo scopo del concerto di questa sera era l'evitare la realizzazione di una centrale termoelettrica, cosa significa per te suonare per una giusta causa?
R.Ogni sera c'è una giusta causa, non sono io o i Gang che portiamo le canzoni in situazioni come questa, ma sono le canzoni ci portano in giro ormai da anni. L'importante è che le canzoni siano utili, non tanto per una giusta causa, quanto per far ritrovare la gente, far sentire un vibrante senso di aggregazione e socialità, per dare coraggio, speranza. Non sta a me parlare di queste problematiche, so solo che ci sono state manifestazioni, proteste la nostra musica non può far altro che amplificare tutto quello che è già stato fatto. Posso dirti che qui al sud rispetto al passato sembrano esserci più punti di riferimento, c'è più organizzazione, ci sono centri sociali, più energie in moto. Questo lascia sperare in periodi caldi, periodi di lotta, ma soprattutto in qualcosa di positivo per il futuro.


D. Hai parlato di canzoni che servono ad aggregare, ma i Gang hanno scritto canzoni che soffiano sulla fitta coltre di indifferenza che copre i "delitti di stato", esempio ne sono Duecento Giorni a Palermo e Chi Ha Ucciso Ilaria Alpi?, puoi parlarci di questa vostra attitudine alla denuncia sociale?
R.Noi andando in giro su e giù per il paese conosciamo per forza di cose tante storie, tante vicende. Spesso alcune di esse diventano canzoni, per far si che durino più a lungo, che vandano più in la con il passare degl'anni e che arrivino ad un pubblico meno attento a situazioni come queste. Penso che un uomo è veramente libero quando sa la verità, un paese è libero quando sa la verità. In questo caso, sappiamo benissimo chi è stato ma non sappiamo i nomi, come diceva Pasolini, o non possiamo dire i nomi. E' bene che ci sia una grossa tensione culturale perché ci sia la verità in un paese che di buchi neri e verità nascoste ne ha davvero troppi. Non penso che ci sia un futuro per un paese, se non c'è una realtà di massa che preme per sapere la verità, anche su casi che magari interessano solo realtà locali o sono passati da molti anni, penso che non solo su questi ma anche su altri c'è bisogno di verità. Altrimenti questo sarebbe un paese mai libero comunque.


D. Ha un senso specifico per voi proporre ancora canzoni di "denuncia sociale"?
R. E' indispensabile. La canzone politica in Italia ha giocato per molti anni un ruolo importante e noi abbiamo subito di riflesso quel tipo di retaggio culturale, su tutti quello di Woody Guthrie che nell'ambito di questo tipo di canzoni è stato il più grande di tutti. Woody spesso diceva che la canzone popolare è morta, ma se uno va in giro vive di emozioni e di grandi passioni sa che la canzone popolare è viva e vive una gran bella stagione. Il problema è che non sta su MTV o sulle prime pagine dei quotidiani ma sta dove c'è lotta, movimento, là dove c'è un forte senso e bisogno di libertà e verità, là dove il movimento vivo.


D. Come vedi la tua, la vostra musica oggi, rispetto a quello che i mass media, MTV su tutti ci propinano ogni giorno?
R.Siamo in un momentaccio a tutti i livelli, nel mondo della musica vige un sistema che definire mafioso è poco. In questo ambiente in cui viviamo noi artisti nessuno parla, ma tutti velatamente accusano che si vendono pochi dischi o che la musica che è in giro fa schifo. Bisognerebbe andare più in là, delle sole accuse e capire qual è il circuito, qual è il mercato, chi lo dirige. Capire la volontà non solo politica ma anche economica del mercato e far si che alcune cose passino e altre non passino. Questo è bene chiederselo. E' bene confrontarsi su questo punto. Questo vale per il musicisti, i giornalisti, gli addetti ai lavori, le agenzie, i promoter. Io non pretendo che il mercato lasci spazio a gruppi come il nostro, ma solo che la musica nella sua totalità abbia un respiro più ampio e i gruppi possano crescere e fare non porcherie ma gran belle cose, e anche riuscire a farle là dove vivono le passioni, le energie, che provengono da realtà che non sono protagoniste da questo punto di vista che vengono tenute nell'ombra. E' bene che tutto questo affiori, non c'è coraggio su questo punto, da parte dell'editoria, delle case discografiche, dei padroni della musica.


D. Le case discografiche oggi preferiscono mandare avanti un singolo commercialotto spaccaclassifiche che resta nella memoria degli ascoltatori sei mesi, piuttosto che un album di spessore come vedi questa tendenza? 
R. A me sta bene che ci sia la merce, che ci sia scelta. Tuttavia c'è anche altro che è cultura e che deve essere rispettato. Deve farsi valere e trovare altri spazi. Quali sono i metodi se non la lotta o almeno a questi livelli la denuncia? Gran parte dei gruppi almeno quelli più politicizzati, quelli che alzano i pugni e che gridano slogan imparati a memoria chi sa dove, stanno zitti, subiscono le regole di mercato, per accaparrarsi qualche milione in più. Questo non è per dire: questo è uno stronzo, questo è un ladro, quanto per far emergere le responsabilità e le contraddizioni ed è bene che qualcuno le risolva, anzicchè aggravarle non tanto per se stessi, ma per rispetto di coloro che hanno costruito negl'anni un certo tipo di circuito, e per coloro che verranno, che avranno la possibilità di sapere che c'è un certo tipo di musica, perché nella realtà non c'è solo musica commerciale ma anche altro.


D. Avete avuto molti problemi con la vosta ex-casa discografica la WEA, lo avete superato suonando molto dal vivo, quanto è importante per voi il contatto con il pubblico?
R. Per noi è uno stile di vita, se avessi fatto l'imbianchino sarebbe stata la stessa cosa. Io musicista voglio per forza di cose stare dentro alla realtà che mi appartiene, da anni rinuncio a portare in concerto le canzoni che voglio io, sono le canzoni a portare me. Si tratta di capire semplicemente dove le canzoni ti portano e avere con loro una gran confidenza, se c'è quello è tutto più semplice, e tutto vive di questo. Allora il gruppo si porta a casa storie, ospitalità, rispetto, critica, confronto, incontro e scontro. Questa è la mia cultura alla quale sento di appartenere fortemente. Dopo vent'anni che Marino Severini suona con i Gang è l'uomo più ricco d'Italia perchè vive di musica vera, perché ogni sera guardando negl'occhi il suo pubblico si sente ricco dentro. 

D. Cosa pensi del mercato musicale italiano?
R. Non si può parlare di mercato o meglio non si deve, perché l'interlocutore è la politica, in Italia manca una legislazione in materia di mercato musicale. Il nostro stato abitualmente trasgredisce le disposizioni europee che sono state fatte su questa materia. Sarebbe giusto prendere spunto dalla legislazione francese, fare confronti e avere l'appoggio del ministero della Cultura. La responsabilità più grossa non è degli artisti ma della politica. A loro fa comodo mantenere questo status quo delinquenziale, delinquenziale rispetto alle regole CEE sul mercato del lavoro che in Italia sono assolutamente disapplicate. E questo dobbiamo ringraziare anche e soprattutto il centro sinistra. 

D. Alla fine non sono le Mercedes o i conti in banca a farti ricco…
R.Certo. A me non servono queste cose, a me interessa essere ricco di bei ricordi fatti di sorrisi, pacche sulle spalle, ospitalità, amicizia. Mi fa ricco sedere alla stessa tavola o dormire nello stesso letto di coloro che mi ospitano e che mi seguono. Questo mi fa ricco. Io cercavo questo nella vita e posso dire di essere arrivato, l'ho avuto, lo ho attualmente e me ne vanto. Il consiglio che do a chi comincia a fare musica è quello di non perdere mai l'obbiettivo, la meta, perché in mezzo ci sono una marea di cose che ti fanno perdere la bellezza vera di tutto questo. Non è la battuta quando io dico che io tutte le sere sono fortunato e mi pagano pure per questo per vedere lo spettacolo migliore, sempre che il tecnico non decida di puntarmi le luci negl'occhi, questa è una battuta tra virgolette ma è la verità profonda. A questa cosa quando ero ragazzino non avrei mai pensato. Ho perso un bel po' di tempo, per vizio ideologico, venivo dagl'anni 70 e da comunista, allora dovevi salire la vetta più alta da cui ti sentivano più persone. Secondo me questa è stata una stupidata. Agli inizi degl'anni 80 finita la prima stagione di autoproduzioni, quella realtà che stava nascendo chiamata rock italiano, ti parlo quindi non solo noi anche i Litfiba, i CCCP, i Diaframma, pensava che avere un contratto con una grande casa discografica potesse allargare il raggio d'azione del nostro messaggio. Come si è visto questo è stato un flop, una grande sconfitta. Nessuno ha vinto questa scommessa. Qualcuno potrebbe dire, ormai tu sei fuori e quindi parli così, invece io penso che Malcom X, sia stato Malcom X perché prima era uno spacciatore di eroina, è passato per la galera se non avesse conosciuto da dentro quella realtà non avrebbe mai fatto quello che ha fatto nella sua vita.


D. Penso che al mondo l'unico che si possa permettere di dire quello che vuole nei suoi dischi, sia Dylan…
R. Beh per certi versi è vero. Basta però pensare che nella sua vita Bob Dylan non ha quasi mai accettato premi o se li accettava, era li sempre sulle sue, senza concedersi mai. Lui è un tipo che parla molto poco e che ritira pochi premi rispetto a quelli che riceve. Di recente però sembra concedersi con più facilità e proprio in una di queste occasioni, quando è andato a ritirare il Grammy per il penultimo album il bellissimo Time Out Of Mind, ha dichiarato che le canzoni più belle non erano in quel disco perché la casa discografica non le aveva fatte uscire. E poi spesso non manca di precisare che tutti i produttori che ha avuto lo hanno condizionato o hanno condizionato il sound dei suoi dischi. Così l'ultimo disco se l'è prodotto da solo, ed ha fatto un lavoro magnifico. Il discorso come vedi vale anche per lui, ha sempre delle grosse gatte da pelare nonostante sia Bob Dylan. Figurati cosa succede ad una band che si chiama Gang e che è conosciuta solo in Italia. Prendi Springsteen che va prima a dormire a casa Armani e poi sale sul palco per cantare Deportees che parla dei profughi messicani che sono alla frontiera e devono passare in America. E' una contraddizione, e cantarla al tributo di Woody Guthrie lo è ancora di più. Lui Woody non lo avrebbe mai fatto, se si fosse presentato a casa di Armani lo avrebbero preso a calci o meglio sarebbe andato lui a casa del nostro più quotato stilista a prenderlo a calci. Queste sono le contraddizioni di un sistema, e per quelli vecchi posso capirlo ma per i giovani è bene che riescano a cambiare le regole del gioco.


D. Spesso hai citato tra i tuoi grandi ispiratori Bob Dylan, cosa pensi della sua musica? 
R. Dylan ha cambiato il mondo sotto tutti i punti di vista. Ogni generazione fa la sua epoca, la generazione di Dylan ha fatto molto di più di quanto potesse immaginare. Ogni generazione deve fare le proprie conquiste ed è bene che non siano gli artisti a cambiare le cose, ma chi lavora, chi dirige.


D. Il Mucchio Selvaggio ha inserito Storie d'Italia tra i cento dischi più belli del Rock Italiano, come vedi questa cosa?
R.Questo non lo so. So solo che quello che abbiamo realizzato è nato da un fattore più generazionale che altro. Con la trilogia che parte con Le Radici e Le Ali e termina con Una volta per sempre, abbiamo costruito un ponte tra la generazione sconfitta degl'anni settanta e quella punk degli 80, attraverso questo ponte abbiamo fatto si che le nuove generazioni potessero tornare indietro e andare a ripescare quella che era la canzone politica degli Stormy Six o lo stesso Lolli. In parte dico che ci siamo riusciti. Quanto alla bellezza di un disco beh sono cose che lascio tranquillamente ai critici, sarei ridicolo se mi mettessi a fare la classifica dei nostri dischi.


D. Hai parlato della trilogia che parte con Le Radici e Le Ali, questi tre dischi hanno segnato una conversione totale dei Gang ad una sorta di combat-folk, ora state tornando alle radici più rock avvicinandovi anche a gruppi come i Pearl Jam, parlaci di questo percorso…
R.Era una formula che abbiamo creato in quegl'anni li e aveva senso in quel tipo di contesto. Tuttavia la musica folk per noi resta un importante punto di riferimento e lo dimostra il prossimo lavoro con La Macina. I Pearl Jam sono l'unica band dopo i Clash che mi hanno donato più emozioni in termini di epicità con loro il rock è tornato in sella a pieno titolo, e questo mancava da molti anni. . I Pearl Jam, hanno la capacità di unire tutto e il meglio di tutto e farne un tutt'uno mescolando, Who, Clash, Rolling Stones, Beatles. Oltre ai Pearl Jam inserirei anche i REM, l'ultima grande band americana, nel senso che fondano le loro radici nella musica dei Creedence o della Band, il gruppo per eccellenza. Beh loro sono meravigliosi…


D. Hai citato i Clash, sul palco sembri davvero un alter ego di Joe Strummer…
R. Ah su questo mi arrendo, non mi metto a vedere i filmati dei Gang, certo Strummer nella mia musica ci sta dentro. Tutto quello che è razionale può essere controllato, quello che è sentimentale nasce da dentro e la musica dei Clash nella nostro musica emerge dal profondo del cuore, è una cosa che non si può controllare. Joe Strummer è stato il grande profeta dell'incendio, è stato lui a dare il via a tutta quella che è stata definita furia punk. 


D. Di recente si è vociferato di un live e di un disco in studio con i La Macina, apprezzata band di folk marchigiano con cui collaborate spesso, sono davvero nei vostri programmi?
R.Nei nostri programmi c'è solo un disco in studio, che completeremo entro novembre e saremo in studio già prossime settimane. Nei nostri progetti non c'è un disco live ma un disco di cover, un po' in studio e un po' live a cui seguirà se con Storie di Note, saranno rose e fiori, il nuovo disco in studio. 

 

D. Storie di Note, sta facendo davvero un ottimo lavoro, ho sentito l'ultimo di Lolli con Il Parto delle Nuvole Pesanti, che ne pensi?
R. Lolli è il più grande di tutti i cantautori viventi, ha il fiore della parola. Io sono affezionato al disco originale, capisco però l'operazione che serve per avvicinarlo ai più giovani. Nel rifacimento de "Ho Visto Anche Degli Zingari Felici" c'è tutto un filtro umorale che ha reso più fruibile questo splendido disco.

 

D. Nel Tributo a Fabrizio De Andrè Mille Papaveri Rossi, avete eseguito Giovanna D'Arco, cosa ti ha spinto a partecipare a questa iniziativa?
R.Fabrizio è stato il cantautore per eccellenza, forse l'unico cantautore vero, per quello che significa cantautore per me. Il vuoto da lui lasciato è enorme, tutti i suoi dischi sono delle pietre miliari, dei capolavori. Dischi che potranno essere ascoltati anche tra cento anni senza che il loro valore diminuisca.


Casertamusica.com Ti ringrazio infinitamente per la disponibilità.
Marino Severini Graaaaaazzzzzzzieeeeee a te e a prestissimo…..

 

     

   Marino Severini durante la splendida esecuzione di Kowalsky

 

Marino Severini mentre saluta il pubblico

I fratelli Severini con il nostro inviato

 

foto di Michela Cobino 

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