Allo Jarmush Club i Doctor Sunflower Jug Band: Check up dell'animo

Caserta – 30 Ottobre 2004

Articolo di Max Pieri


Caserta, 30 ottobre 2004. Nel caso abbiate la sorte di non sentirvi in gran forma, vi suggerisco un medico di primo piano, terapeuta dell’inconscio e specialista otorino. Mario “Blue Train” Insenga trasforma occasionalmente i suoi Blue Stuff nella Doctor Sunflower Jug Band, staccando la corrente e indossando i panni del taumaturgo. In questa veste re-interpreta lo spirito di quelle band da strada che - nella prima metà del XXI secolo - sbarcavano il lunario intrattenendo i passanti. Diversi festival hanno visto transitare la band, ricreando per strada quell’atmosfera tipica dei Medicine Show ove, a tempo di shuffle, venivano propagandate lozioni per capelli, pillole per l’insonnia, sciroppi per la costipazione ed altri intrugli medicamentosi. La performance a cui ho assistito si è tenuta il 28 ottobre scorso allo Jurmusch Club, piccolo covo nel centro di Caserta, gestito con coraggio e determinazione da Sossio Lupoli, un tipo dall’orecchio fine.
Attraverso una ventina di episodi - con la giusta reverenza verso gli originali e lontano da rischiose ortodossie - Mario Insenga ha realizzato un gabinetto medico in cui analizzare contenuti lirici e filosofici di brani scritti da diverse generazioni di bluesmen. Accanto a classici come “Goodnight Irene”, “San Francisco Bay Blues” o “Sitting On The Top Of The World”, la song list comprendeva alcuni titoli semi sconosciuti come “New Stockyard” di Robert Wilkins, “Selling That Stuff” di Georgia Tom, “James Alley” di Richard “Rabbit“ Brown ed altri ancora. Non sono mancate divagazioni verso la musica bianca come la parentesi hillibilly di “Just Because” degli Shelton Brothers e “Midnight” di Chet Atkins, oppure la finestra aperta sui ’60 con “Hundred And Ten In The Shade” di John Fogerty e “The Spider And The Fly”, episodio minore della coppia Jagger-Richards. In ogni caso è rimasto inalterato lo spaccato umano e stilistico del percorso musicale. La maschera ossuta e le scarpe rattoppate del nero americano hanno consentito ancora il miracolo: l’epurazione dell’anima in un lavacro che annulla le differenze di razza e colore. La Jug Band si è esibita in punta di bisturi e, come in un consiglio di sciamani, tutti i musicisti si sono cimentati al canto con cori, a tratti, scintillanti. Lino “Puozzecampàcentanni” Muoio (chitarra acustica, mandolino) e Gennaro “Slim” Porcelli (chitarra acustica, anche slide) hanno duellato senza quartiere, in un crescendo emotivo finito in pareggio. Quasi una combine per la buona riuscita della performance! Francesco Miele (contrabbasso) non ha fatto rimpiangere i numerosi illustri musicisti che l’hanno preceduto, suonando spalla a spalla con il consueto travolgente Mario Insenga. Quest’ultimo ha limitato il suo batterismo ad un minimale cassa-charleston, utilizzando un contorno di strumenti ricavati dalla vita quotidiana (washboard, jug ed altre memorabilia) e focalizzando l’attenzione sul canto, ora lirico e scuro, ora sardonico e ghiaioso.
Una performance d’altri tempi, che sfugge all’omologazione e all’appiattimento. Un’aspra e primitiva resurrezione, proposta come scialuppa di salvataggio dall’equivoco in cui è precipitata da qualche tempo la musica: distillato d’emozioni o prodotto commerciale deperibile!

Lino Muoio (chitarra) e Mario Insenga (drums)

 

 

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