| Note critiche su Abramo Cantiello e Francesco Capasso a cura di Marco di 
 MauroAbramo Cantiello è affascinato dalla pittura dell'immobile, della quiete, 
 del silenzio, dell'atemporale che si carica simultaneamente di una vaga 
 intensità. Cantiello delinea atmosfere tese, vibranti, in cui l'oggetto 
 acquista una parvenza irreale. Le sue immagini austere, ambigue, ieratiche 
 tendono all'astrazione. L'artista non aspira ad imitare la natura, bensì ne 
 vuole afferrare l'intima essenza per immettersi nei suoi processi creativi.Le sue nature morte hanno una severa dignità ed una purezza quasi geometrica, 
 esaltata dal sapiente uso della luce, dall'accostamento di colori 
 complementari, dalla nudità e dalla simmetria dello sfondo. Un marcato 
 chiaroscuro esalta il carattere scultoreo della forma, la traduzione dello 
 spazio attraverso l'impianto della scena. Chi contempla Vanitas, una delle 
 nature morte più riuscite, vi può cogliere una vita spettrale soggiacente, che 
 è immobile eppure animata. Le immagini dei fiori appassiti e del teschio di 
 capra esprimono un'alta densità emotiva, uno stato di agitazione e sconforto 
 per la bellezza sfiorita, la vita estinta, la luce sfumata.
 In Pensiero verticale, intensa opera del 1995, Cantiello si rappresenta davanti 
 alla tela, con la maglia sudata e il pennello abbandonato sulla sedia. 
 L'inquietudine dell'artista, che sente la sua pittura inadeguata 
 all'espressione delle idee, è avversata da un uomo in abiti orientali, che 
 osserva la tela con interesse. Le due figure volgono gli occhi in direzioni 
 opposte, come a voler sottolineare la divergenza di opinioni tra chi realizza e 
 chi fruisce l'opera d'arte.
 Un'altra opera significativa, alla quale l'artista ha lavorato dal 1993 al 
 2004, è l' Autoritratto con cavallo, in cui la figura umana scompare dietro la 
 possente sagoma dell'animale. Il profilo del cavallo, il cui realismo è pari 
 alla fermezza, si staglia su un ampio paesaggio collinare, trasfigurazione 
 idealizzata della sua terra. Sorprende la gravità statica, la solennità del 
 cavallo, che invade la scena e respinge in secondo piano l'autoritratto 
 dell'artista.
 Abramo Cantiello, con una sensibilità metafisica, coglie il flusso 
 dell'immobile guardando la realtà con l'allucinata visione di un mistico e ne 
 restituisce la fisicità con attento controllo tecnico, compositivo ed estetico. 
 L'artista ha elaborato un linguaggio concreto ed icastico, memore di Piero 
 Della Francesca e di Jean Fouquet, in grado di esprimere una sensibilità 
 contemporanea in una forma classica.
 Abramo Cantiello è anche un abile ritrattista, che tende a rappresentare 
 l'anima nell'armonia del volto. Nei ritratti che esegue, colpisce lo sguardo 
 intenso, la dignitosa compostezza, la forza espressiva. La meticolosa cura del 
 particolare non esclude una sottile introspezione psicologica, che l'artista 
 attua con sensibile delicatezza e traduce in un linguaggio sincero e intimista.
 
 La ricerca di Francesco Capasso tende alla sublimazione poetica dell'oggetto 
 usato, logoro, abraso, di cui rivela la segreta spiritualità come residuo 
 dell'esistenza non solo umana, potremmo dire cosmica. Le sue opere sono solcate 
 da graffi, crepe, crettature, che comunicano una sensazione di sofferta 
 precarietà. La materia, devitalizzata dalla consunzione, diventa elemento 
 primordiale, residuo solido di una vita che si estingue.
 Nelle elaborazioni dei primi anni '90, Francesco Capasso tende a nascondere il 
 proprio intervento per suggerire che l'opera sia "fatta da sé". L'artista 
 intuisce, attraverso la lezione di Burri e Kapoor, che il segno può nascere 
 dalla colatura della ruggine o dall'impronta dell'acqua su una superficie. La 
 trasformazione dei materiali attraverso l'azione del tempo e della natura 
 lascia una traccia segnica, una testimonianza di vita che accende la sua 
 sensibilità.
 Alla fine del '95, Capasso sceglie l'uso sistematico della carta abrasiva, 
 affascinato dalla sua proprietà di conservare l'impronta del colore asportato 
 dagli oggetti. L'artista recupera, seleziona ed applica sul supporto minuti 
 frammenti di carte abrasive, fissati con spilli e collanti naturali. L'opera 
 assume un carattere di temporaneità, instabilità, transitorietà, perché i 
 tasselli sono asportabili e componibili all'infinito. La carta usata ci parla 
 del suo passato, ci sollecita a pensare all'uso che ne è stato fatto, prima 
 d'essere fissata nell'immobilità dell'opera d'arte. I suoi colori rimandano ai 
 muri di tufo, agli intonaci grezzi, ai campi assolati della Terra di Lavoro. Le 
 carte abrase raccolgono i riverberi di una realtà degradata e confusa, che 
 l'artista tende a ricomporre con estremo lavoro di sintesi. Altra costante 
 nell'opera di Capasso è l'oscillazione tra ordine e caso, rigore e poesia, che 
 si riflette nella geometria del supporto e nella libertà del segno. Tale 
 oscillazione si esprime compiutamente in Composizione n. 9, dove la geometria 
 dell'impianto, basata sull'iterazione del numero 3, è turbata dal caotico 
 disporsi delle carte abrasive.
 Nelle ultime opere, l'artista di Sant'Arpino recupera in chiave concettuale la 
 tecnica dell'affresco, intesa come immissione del pigmento naturale nella calce 
 viva. Il colore, una volta catturato dalla materia, ne diviene parte 
 integrante.
 
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