| (nota introduttiva di Pia Di Donato) Con immenso piacere e 
 orgoglio accolgo Marilena Lucente, mia collega ma soprattutto scrittrice 
 affermata, fra quanti contribuiscono a rendere il sito bello ed interessante. 
 Queste righe  ci fanno capire che il lavoro di scrittore va 
 affrontato con serietà e preparazione ma soprattutto aprendosi agli altri. Non 
 mi resta che dire "Grazie Marilena" e augurarvi una buona lettura.   “La realtà per me ha il rumore di una porta sbattuta”. Zoo, il libro di 
 Isabella Santacroce, ha per me il rumore di 125 porte sbattute. Ogni pagina: un 
 tonfo secco, un sussurro, un colpo al cuore. La realtà per me ha il rumore di una porta sbattuta. Lo dice la protagonista 
 del romanzo. Una trama secca e irsuta. Con tanti grumi di violenza e dolore.
 Un libro durissimo, Zoo. L’ho letto in un paio d’ore, ho avuto gli incubi per 
 una notte intera. E nei giorni successivi l’ho dovuto rileggere. Affondando 
 dentro la storia e la scrittura. Si leggono così i libri, prima delle 
 presentazioni. Zoo va in scena il 15 marzo alla libreria Guida di Capua.
 Isabella Santacroce arriva chiusa dentro un lungo paltò nero. Sarò io a farle 
 un’intervista. intrecciando le mie domande con quelle del pubblico. Partiamo 
 dai personaggi: un Padre, una Madre, una Figlia. Niente nomi solo esistenze che 
 galleggiano nel vuoto della vita. Maldestri tentativi di comunicazione. 
 Relazioni scheggiate. Ferite. Che feriscono. Amori disperati. Quello del padre 
 per la figlia, quello della figlia per la madre, di cui sente continuamente, 
 incessantemente la mancanza. Sino alla morte. Perché la famiglia è questo, dice 
 l’autrice: un mondo, un intero mondo dove la vita e la morte si toccano e si 
 sfiorano di continuo.
 Una madre stupenda, che ha un negozio di abbigliamento. Allestisce con cura le 
 vetrine e devasta la vita casalinga. Un appartamento in penombra divenuto, 
 appunto uno zoo. E lei, la madre, la più crudele delle molestatrice. Anche 
 quando ha voglia di far indossare vestiti speciali a sua figlia esile e 
 scialba. O quando traveste il marito da donna.
 Sono importanti i vestiti per Isabella. Dentro e fuori le pagine del libro. Ho 
 letto che disegna lei i suoi abiti. Quello di stasera è di velluto, ha delle 
 rouches sulle spalle ed è lungo sino alla caviglia, un’aria vagamente 
 romantica, incupita dal colore scuro. Verde petrolio, direi.
 Ha scritto il libro perché una persona le ha regalato il dolore di questa 
 storia. Una storia vera, raccontata per un mese intero. Registrata su 
 audiocassette e poi riascoltate dalla scrittrice durante la stesura del 
 romanzo. Di notte, nel silenzio, mentre il mondo era immerso nel buio.
 A Isabella non piace la luce. Esce poco di giorno, in genere protetta da grandi 
 occhiali scuri. E quando, nel corso della serata, Rosangela Betti, l’amica che 
 l’ha accompagnata qui nonché la “sua fotografa”, prende la macchina 
 fotografica, lei, Isabella un po’ si arrabbia. Non le piacciono le foto. In più 
 non sopporta il flash. Già, Rosangela. Non le ruba la scena, ma sicuramente, 
 anche lei è tutta da guardare. Veste come un dandy ottocentesco, fogge maschile 
 per pantaloni e panciotto, abbinati a lussuosi accessori di seta. E un paio di 
 guanti di pizzo nero, come quelli di Isabella. Però Rosangela ha anche un 
 grande anello dorato da cui sprizzano bagliori di eccentricità e simpatia.
 I discorsi con Isabella continuano. Il pubblico ha voglia di sapere. Perchè ha 
 scritto che l’infanzia è una droga potentissima? Ha voglia di trasformare in 
 film i suoi libri? Usa la penna o scrive direttamente al computer? Le risposte 
 sono diritte e precise. Senza sbavature, come una linea di eye liner tirata 
 sulla palpebra. L’infanzia è il tempo dell’immaginazione. E poi le madri quando 
 sono incinta rilasciano una sostanza simile all’oppio, che passa direttamente 
 al bambino, che vive tutta la pienezza della sua vita in quei primi anni. I 
 suoi libri: "Lovers" è già un film, uscito in Inghilterra. Quanto a lei, no. 
 Non si vede ancora come regista. Deve crescere prima nella scrittura. Tra penna 
 e computer, senza dubbio la penna. E’ come un’antenna, capace di captare tutto.
 Nel frattempo, gli sguardi del pubblico captano altri particolari. Come sono 
 leziosi quegli stivali chiari, dice una signora in terza fila. E’ chiaro quello 
 di Isabella è un make up molto complicato. Fatto di cosmetici, abbigliamento e 
 parole. Parole che sceglie e varia a seconda delle circostanze.
 Perché indossi la maschera, Isabella? Si distrae osservando l’arredo della 
 libreria, i quadri che sono esposti. Arancioni, a loro modo anche loro 
 eccentrici. Viene voglia di prendere un coltello, dice lei. Lascia perdere, 
 Isabella. Meglio chiudere. Piuttosto: la maschera? La realtà non mi piace, 
 risponde. E quindi devo essere io a decidere come e quando incontrarla.
 La serata è finita. Isabella lascia lo zoo. E come alla fine di ogni 
 presentazione, una lieve euforia, nel giro di autografi e di saluti. I lettori: 
 ognuno a infilarsi nella propria realtà. Mi fai accendere? E’ tardi, mi 
 accompagni a casa? Quando ci vediamo?
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