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    | Presentazione di "Non gettate 
      cadaveri dal finestrino"Caserta - 9 Marzo 2007Articolo e foto di Marilena Lucente |  
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          | Davvero pensate che le parole sono fatte solo di lettere? Credete ancora che 
 esiste un filo, ancorché tenue, tra il pensiero e il linguaggio? Quando pensate 
 alle parole, a cosa pensate esattamente? Certezze in frantumi, venerdì sera alla libreria Mondadori di Caserta. Una 
 bella presentazione del bel libro di Gero Mannella, Non gettate cadaveri dal 
 finestrino. Insieme a me, l’autore, Massimo Gerardo Carrese e Peppe Roncioni. 
 Un libro che vive della fantasia delle parole, quello di Gero, che apposta ha 
 voluto accanto a sè un fantasiologo, un ludolinguista, insomma uno che con le 
 parole fa delle cose davvero strane che risponde al nome di Massimo Gerardo 
 Carrese.
 Si prende una parola, la si scompone in tante parti quante sono le lettere e si 
 ottengono un tot numero di termini. Si prendono i lemmi così ottenuti e si 
 dispongono su un foglio, si traducono in numeri utilizzando un apposito 
 formulario. Dopo aver rivelato le potenzialità creative e generatrici di ogni 
 singola lettera, si ricompone il tutto e lo si riconsegna all’autore, sotto gli 
 sguardi basiti dei presenti. Più o meno è andata così. Non sono sicura di aver 
 capito tutto, ma so che c’era un racconto, quello che dà il titolo alla 
 raccolta, e dopo venti minuti di relazione del Carrese, questo racconto non 
 c’era più. C’erano le segrete corrispondenze tra parole e numeri messe nero su 
 bianco su un grande album, c’era l’ipnotica attenzione del pubblico che ci 
 stava credendo sul serio, c’era l’Autore che sembrava divertirsi.
 “Divertirsi”, cioè, spiega Peppe Roncioni, “di-vertere, fare qualcosa di 
 diverso a partire dal linguaggio. Perché questo c’è nel libro di Gero: le 
 parole che si riappropriano della propria bellezza, la consapevolezza che il 
 linguaggio artistico ha delle potenzialità raramente utilizzate e qui invece ci 
 sono. Insieme all’effetto straniamento”.
 Una ricerca incessante, che parte dalla storia e si conclude quando è stata 
 trovata la parola giusta. Gero racconta di scrivere così. Giocando con i se 
 della vita (tanti, troppi, persino per uno scrittore, però) e con le parole, 
 ripescando quelle desuete, levigando quelle più rare, scartando quelle logore e 
 stinte. Giocoleria, variazioni, improvvisazioni. Con le parole e con i suoni. 
 Perché si sente che dentro il libro batte il ritmo che è quello del jazz. “Il 
 jazz è ironia, dice Gero, è scantonare dal prevedibile”. Il jazz è prepotenza, 
 mi viene da pensare. Sembra che un suono sia finito invece ricomincia, 
 riprende, riparte, con più foga di prima, poi sembra finire e si riparte. A 
 love supreme, quello per le parole. (per questo, per fortuna, ognuno ne fa 
 quello che vuole)
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