Teano Jazz Festival: Gianluca Renzi All Star Big Band

Teano (CE) - 5 Luglio 2007

Articoli e foto di Sebastiano Sacco e Dario Salvelli

 


Teano, 5 Luglio. Nel cielo una luna gibbosa calante, color arancio pallido, rischiara incerta il “Loggione Cavallerizza” del Museo Archeologico di Teano. Il palco è vuoto, una struttura inanimata alla cui destra si estende un panorama chiaroscuro di valli e colline. L’ombra di un pianoforte, quella di un contrabbasso, leggere scintille di luce dal corpus di sassofoni, trombe e un trombone. Sul fondo una batteria.

La big band che affianca Gianluca Renzi, giovane promettente contrabbassista della scena jazz italiana, comincia ad avvicinarsi al palcoscenico, tra gli sguardi degli astanti che infoltiscono progressivamente la platea. Luci si stagliano lentamente sul palco, mentre i musicisti si accomodano ai rispettivi strumenti. Ad animare la sezione ritmica dei brani Pietro Lussu, Lorenzo Tucci e Renzi, rispettivamente pianoforte, batteria/percussioni e contrabbasso. A chiudere il cerchio orchestrale un caleidoscopio di nomi e talenti noti all’ambiente dei puristi (e non) di genere: alle trombe Fabrizio Bosso ed Andy Gravish, ai sax Daniele Tittarelli, Dario Cecchini, Max Ionata e Maurizio Gianmarco, al trombone Roberto Rossi.

Renzi propone uno spettacolo ottenuto da una originale rivisitazione di alcune tra le più interessanti musiche di Charlie Mingus, geniale quanto trasversale contrabbassista/pianista statunitense, e di Joe Henderson, sassofonista tenore del jazz/hard bop, stilisticamente ispirato a Charlie Parker.
La proposta di Gianluca Renzi ricade su una scelta rigorosa, fedele. L’esordio di Renzi al microfono, infatti, è un monito al pubblico in sala ad aver pazienza nel cambio tra un brano e l’altro, in quanto gli spartiti sono fissati con delle mollette ai leggii, per non farli volar via e dire “addio”, così, allo spettacolo…; ma se da un canto, quindi, lo spartito dei musicisti riveste una notevole importanza, dall’altro ci si accorge presto che, in proverbiale stile jazz, l’obiettivo della band è anche quello di esaltare il personale fuoco dell’ispirazione, lasciar vagare il talento attraverso lo strumento, vederlo defluire verso il pubblico, aggraziando l’anima anche degli spettatori più ritrosi.

Sin dal primo brano, infatti, la sintonia esecutore-ascoltatore risulta evidente. Le note di “Inner urge” di Joe Henderson si diffondono nell’aria concentriche, e piedi e mani emulano i ritmi spezzati della batteria guidata da Lorenzo Tucci; è la volta dei fiati, le cui performance melodiche finiscono, quasi a rigor di logica dati i numeri da big band, a tramutarsi in assoli, recando sempre più una sensazione d’improvvisazione, di sillogismo tra cuore e strumento musicale.

Il secondo brano proposto da Renzi, sempre di Joe Henderson, è “Black Narcissus”. E il “Narciso nero” concepito dal contrabbassista è indubbiamente scostato dalle atmosfere più docili dell’originale. La sua trasposizione è un brano più ritmico, meno adagiato, che apre con un interludio contrabbasso-batteria-pianoforte, prima di lasciare il terreno ai fiati. E’ il trombone di Roberto Rossi ad introdurre la parte dedicata agli assoli, seguito dal sax tenore di Max Ionata, che accompagna i tempi del brano sino ad un cambio ritmico nel quale si insinuano le note ondulanti del piano di Pietro Lussu. Dopo la eccellente parentesi al piano, è la volta di Fabrizio Bosso, che grazie alla sua personalissima calligrafia sonora e ai toni stilistici da jazz sporco, porta il brano in un crescendo che accompagnerà gli ascoltatori sino alla conclusione del pezzo.

Il pubblico è divenuto estremamente numeroso, ma soprattutto variegato, per età e “tipologie” di ascoltatori. Ma il pubblico è soprattutto entusiasta dell’ascolto di una musica che finisce, sempre, per toccare le corde dell’anima come quelle di un contrabbasso. Nonostante gli applausi non si sprechino, la spontaneità del pubblico premia sempre, e non potrebbe essere diversamente, l’abilità dei musicisti, specie alla conclusione degli assoli, peculiarità fil rouge di tutto lo spettacolo.

La punta di diamante dello spettacolo è certamente la rielaborazione di “Duke Ellington's sound of love”, di Charlie Mingus, al quale brano Renzi presta abbastanza fedeltà interpretativa. Le spazzole accarezzano piatti e rullante, mentre la magia dei sax e dei flauti traversi finisce per catturare gli animi, cullando l’immaginazione in uno scenario a sé stante, scandito da un cielo sempre più vivido e dal calore delle luci del palcoscenico. L’omaggio di Mingus a quello che può considerarsi uno dei più grandi jazzisti/compositori che la storia conservi nella memoria è un imperitura, meravigliosa creatura musicale, che lusinga il pubblico sino alla sua conclusione.

Sulla scia di Mingus, ritroviamo poi la bellissima “O.P.”, brano dedicato a Oscar Pettiford, contrabbassista/violoncellista capostipite del genere bebop, e “Weird nightmare”, della quale Renzi rimase folgorato dopo averla ascoltata in un album di Elvis Costello.
Lo spettacolo si avvia alla conclusione; il materiale sonoro raccolto nella serata costituirà un disco, come già accaduto, nel corso del Teano Jazz, qualche anno addietro con un altro lavoro del musicista.

E’ il tempo dell’ultimo brano, nel quale Renzi si regala qualche minuto in coppia col suo strumento, accarezzandolo e tramortendolo, accelerando sulle corde e rallentando, trendone un assolo speciale, caldo, intrigante. E’ un brano gospel polifonico, riadattato da Mingus in chiave jazz. Lo spazio di Renzi si chiude, e l’intera band sembra aver acquistato forza dallo speciale duetto uomo-contrabbasso. A turno ciascuno dei fiati regala una performance personale, definitiva, e i musicisti stessi finiscono per essere avviluppati dal calore blu del mood. Il trombone jazz di Rossi chiude la parata dei fiati, mentre Lussu sta già insinuandosi ondeggiando le dita sull’avorio e sull’ebano dei tasti. L’assolo di batteria chiude il brano e il concerto, tra gli applausi sempre più entusiasti della platea.

Ci si lascia alle spalle uno spettacolo imperdibile, mentre ci si avvia verso l’uscita. Incontriamo Fabrizio Bosso, un po’ stanco. E’ in una piccola stanza del museo. Ci concede una foto, mentre ripone lo strumento musicale, il suo strumento musicale, la tromba. E chissà per quale strana combinazione di pensieri, nel vederlo, finisce per affacciarsi alla mia mente una nota di copertina dell’album “The John Coltrane Quartet Plays”, di John Coltrane. Dice così: Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare.

 

Consulta: Teano Jazz Festival: XV edizione

 

 

 

 

 

 

 

 

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