Una serata del Sannio Film Festival

 Sant'Agata de' Goti (BN), 11 luglio 2008

Articolo di Federica Roano

Appena giunta a Sant'Agata de' Goti mi è sembrato di catapultarmi in un mondo fatato, fatto di damigelle e corti, di "Sire" e contadini. L'incanto di questo paesino arroccato timidamente sul pizzo della montagna, aumenta a dismisura quando si giunge nelle piazze dedicate al Sannio Film Festival, Festival Internazionale della Scenografia e del Costume. Il paese sembra essere stato creato proprio per ospitare quest'evento così accattivante e carico di magia. Le viuzze, simili alle nostre di Casertavecchia, le locande e le piccole botteghe, traspirano calore e accoglienza da ogni anfratto. Dislocato in diverse zone del paese, il Sannio ospita oltre che una rassegna di film riguardanti la fine degli anni '60, anche una suggestionante mostra di vestiti indossati da attrici che impersonavano le regine in diversi film, intitolata appunto "Queens, regine del cinema!".

Per la serata di ieri, 11 luglio, era prevista la proiezione di due film in contemporanea: "Don't think about white monkyes" e "Lascia perdere, Johnny!". Io ho scelto il secondo, in quanto erano presenti sia il regista del film Fabrizio Bentivoglio, sia l'attore protagonista Antimo Merolillo.

La serata è stata aperta con la presentazione di un cortometraggio, "Ieri", che ci narra le evoluzioni ideologiche e le forti divergenze d'opinione tra i giovani che hanno vissuto intensamente e partecipato alle azioni politiche che hanno caratterizzato Milano alla fine del '68. Il regista, Luca Scivoletto, presente alla proiezione, spiega che il corto è il risultato di storie, di idee e di personaggi che hanno fatto parte della realtà. Prestando particolare attenzione alla tematica del festival, si è parlato di come, con poche migliaia di euro di budget, siano riusciti a trovare abbigliamento, arredamento e oggetti di scena adatti a riprodurre le location di quarant'anni fa: tra mezzi sorrisi ci è stato confessato di aver fatto ricorso a Portaportese, così come, ci spiegherà successivamente Bentivoglio, per "Lascia perdere, Johnny!" si è fatto riscorso a Resina. Il regista ha infine sottolineato che i costumi non sono i soliti con i quali si rappresentano i sessantottini, ovvero jeans, maglie logore e capelli spettinati, ma pantaloni e camice, per sottolineare che anche i vestiti possono essere stereotipo, come avviene nel caso di una generazione di persone di sinistra che ha lottato per far si che la Costituzione diventi garante delle libertà umane e della giustizia, come si evince dalle parole che si udiranno dalla voce narrante a schermo nero, alla fine del corto.

Successivamente, nell'annunciare il film principale, Fabrizio Bentivoglio, già premiato due anni fa dal Sannio Film Festival proprio per la realizzazione di "Lascia perdere, Johnny!" (che ha definito scherzosamente il premio come un "premio di incoraggiamento", in quanto si era cominciato a girare, allora, da sole due settimane), ci spiega che il film è nato dall'incontro del regista con il gruppo musicale casertano Avion Travel, con i quali girerà poi un cortometraggio oltre che proseguire con diverse opere nel campo della musica. La scelta degli attori è stata fatta tra professionisti (come Tony Servillo) e principianti (come Antimo Merolillo).

Ci spiega di come sia stato amore a prima vista con l'attore che interpreterà Johnny, un chitarrista quindicenne di Vitulazio, incarnazione del suo personaggio immaginario.
Era presente ieri anche la costumista Ortenzia De Francesco, che, in quanto anch'essa casertana, ha provato una certa emozione a rappresentare la sua città sullo schermo, tramite la scelta attenta di più di ottocento vestiti, acquistati tra Resina e le sartorie.
Per noi casertani vedere le strade della nostra città, rappresentata nella pellicola per lo più dalla maestosa Reggia, è un'emozione strana che inorgoglisce e fa sentire tutti un po' VIP, perchè "io la ci abito!" o "andavo a scuola lì!". Il film rispecchia perfettamente le passioni di una città al momento mortificata e le difficoltà di entrare nel mondo della musica e restarci, senza mai sprofondare nell'incerteza e nella dimenticanza.

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