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Marzouk Mejri & Afrovibe Experience in concerto

Maddaloni (CE), 10 Settembre 2009

Articolo di Giuseppe Vuolo

È finalmente ricominciata la stagione musicale 2009/2010 del Giardino degli Aranci. Il locale di Corso I Ottobre è tornato a riempirsi di amanti del jazz con il consueto appuntamento del giovedì sera che raccoglie larghi consensi sin dalle sue prime uscite nel mese di Maggio. L’ultima serata, il 30 Luglio, erano ospiti Pietro Condorelli e Francesco Nastro; stasera si è presentato un bel progetto afro-jazz, Marzouk Mejri & Afrovibe Experience. Ottimi musicisti, a cominciare, naturalmente, dal Maestro Enzo Faraldo, apparso da subito in formissima col suo basso. Poi, Emilio Silva Bedmar al sax, Andrea Giuntini alle tastiere, John Jones alle percussioni e Giampiero Franco alla batteria. Al centro di tutto, l’ospite d’onore, il polistrumentista tunisino Marzouk Mejri, leader del Marzouk Ensemble, che canta e suona la darbuka, particolare strumento a percussione tipico della musica nordafricana. È proprio questo l’elemento che suscitava la curiosità degli spettatori, e Marzouk è apparso subito la persona più adatta a dar loro soddisfazione. Quando si dice “l’uomo giusto al posto giusto”. Dopo qualche pezzo di riscaldamento per la sola band, è entrato in scena a battere le pelli, poco prima delle 23, e subito il jazz si colora di Africa, anzi, per la verità, i primi brani hanno sonorità reggae, dove la fa da padrone il ritmo contagioso del basso fretless. È un sound non ancora apprezzato appieno dal pubblico, ma ci pensa Marzouk: tira fuori dal cilindro (anzi, dalla durbuka) una serie di assoli da lasciare a bocca aperta; accarezza e percuote con leggerezza e sapienza, disegna come un pittore davanti alla tela. È stato davvero bello vedere quali e quante sfumature si possano trarre da un tamburo con l’unico ausilio delle proprie mani. Mi sono venute in mente le parole di una canzone di Ben Harper, dove sostiene che può rendere la Terra un luogo migliore “with my own two hands”, e che niente è impossibile da realizzare “with our own two hands”. Le mani magiche del tunisino hanno strappato applausi, assieme alla sua vocalità che sa di antico e alle prestazioni di chi con lui divideva la scena; da ricordare la tastiera distorta di Giuntini, le percussioni esaltate di John Jones (convulsione da estasi esecutiva?), i “dialoghi” tra la darbuka e il sax.

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