Interviste: Ferdinando Ghidelli e la "sua" pedal steel
Caserta - 11 Luglio 2014
Articolo di Valentina Sanseverino
La pedal steel guitar è uno strumento a corde simile alla chitarra, che però si suona anche con pedali, leve azionabili con le ginocchia, usando il tonebar (un cilindro metallico che scorre sulle corde): le sue origini, risalenti agli anni ’50 negli Stati Uniti, rappresentano una evoluzione della chitarra hawaiana le sue sonorità sono in realtà molto caratteristiche e riconoscibili (glissati frequenti, passaggi da un accordo all’altro mediante il bending di una o più note). In Italia sono in pochissimi a suonarla, in Campania l’unico è Ferdinando Ghidelli
Valentina Sanseverino: Nel tuo caso è stato il musicista a scegliere lo
strumento, o lo strumento a scegliere te?
Ferdinando Ghidelli: Un po’ tutti e due: stavo ascoltando un disco di Mark
Knopfler e per la prima volta in vita mia non riuscivo a riconoscere uno
strumento. Ho iniziato a fare delle ricerche sul web e sui forum e sono venuto a
conoscenza della pedal steel guitar, che mi ha letteralmente stregato: così ho
deciso di imparare suonarla da solo, aiutandomi con video tutorial e consigli
dai forum, dato che nel nostro pese è quasi impossibile trovare un maestro.
V.S.: Infatti tu sei l’unico in Campania ed uno dei pochissimi in Italia a
suonarla..
F. G.: E’ uno strumento molto usato nella musica country e nel western swing,
tipici della cultura anglosassone, ma io mi sono spinto ancora un po’ oltre e
l’ho introdotta nel jazz: è stata una fatica enorme, sia dal punto di vista
fisico che mentale, perché è uno strumento molto complesso e, fino ad oggi, non
molto usato con questo linguaggio, ma ciò mi ha dato la possibilità di esplorare
nuovi orizzonti, di fare qualcosa di completamente diverso.
V.S.: Ed ha funzionato, visto che ti hanno notato perfino in America.
F. G.: Si, a Marzo sono stato invitato allo Steel Guitar Association Jamboree a
Dallas in Texas. Ero l’unico italiano e – a parte l’inquietudine di trovarsi
faccia a faccia con normali cittadini che giravano armati per strada e di
capitare nel bel mezzo di una manifestazione contro la restrizione dell’uso
delle armi – ho ricevuto un accoglienza stupenda! Per 3 giorni non ho fatto che
ascoltare e suonare, dalle 9 di mattina a mezzanotte, insieme a grandi artisti e
dilettanti.. è stata un’esperienza incredibile! Gli Americani, anche quando
organizzano cose grosse, sono molto, molto più semplici di noi. Malgrado fossi
molto prevenuto dall'immagine da cowboy che il Texas ispira, mi sono trovato di
fronte ad una mentalità che ho avuto modo di apprezzare tanto: la praticità,
quel semplificare tutto, quel badare solo al merito, alla bravura e non a quale
sia il tuo colore politico o quanto grosso sia il tuo nome; se sei bravo, se gli
piaci, ti danno una possibilità.
V.S.: In Italia invece..
F. G.: In Italia l’opportunità te la devi creare. In occasione della serata di
commemorazione di un caro amico scomparso, in cui mi esibivo insieme al
quartetto “Jazz on Slide” con 3 musicisti d’eccezione – Pietro Condorelli alla
chitarra, Vincenzo Faraldo al basso e Gino Izzo alla batteria – ho presentato
per la prima volta la pedal steel guitar in un pezzo jazz e da allora è entrata
di diritto in questo progetto. Non so ancora se ci sarà l’opportunità di
portarlo avanti e con quali modalità. L’Italia non è un paese facile in cui
lavorare (e ancor meno sperimentare) nella musica; il sud Italia lo è ancora di
meno, ma io e gli altri musicisti di questo territorio, fin dagli anni ’70,
continuiamo a proporre qua, a casa nostra, musica e progetti validi che però
hanno sempre più riscontro fuori: l'anno scorso ho partecipato ad una convention
in Francia ed ho collaborato, a distanza, con un musicista olandese. Tutto
avviene molto rapidamente e spontaneamente all’estero, mentre qui devi passare
attraverso una serie di trafile burocratiche ed economiche, che sviliscono
questo mestiere e limitano le possibilità di esprimersi e creare eventi e
manifestazioni di una certa importanza. Eppure qui si partoriscono molte idee
interessanti..
V.S.: A questo proposito, infatti, tu hai di recente collaborato a due
importanti progetti: il duo Raiz-Mesolella e il cinema…
F. G.: Il duo è un progetto molto ardito di cui entrambi i musicisti vanno
enormemente fieri e da cui stanno traendo grossi stimoli. Fausto e Raiz non si
risparmiano nulla e questo, al primo ascolto, può risultare non facilmente
comprensibile ai più. Ma poi la loro musica ti entra dentro e ne scopri, piano
piano, le infinite dimensioni, la differenza generazionale, la condivisione
dello stesso territorio: è stato un onore per me suonare in un loro brano. Spero
che non vi siano ostacoli per la presentazione dell'album a Roma e a Napoli (si
pensa come location al Maschio Angioino) con tutti i musicisti che hanno
collaborato al disco. Per quanto riguarda il cinema sono stato chiamato a
lavorare, da Riccardo Ceres, come musicista e fonico per il film “Mozzarella
Stories” di Edoardo De Angelis. E’ stata un esperienza molto interessante, anche
se ho avuto la malsana idea di fare anche una comparsata e devo dire che gli
orari del cinema non sono per me: abbiamo girato alle 4 di mattina e ripetuto
quella scena della mega festa di apertura decine e decine di volte!
V.S.: Cosa vedi nel tuo futuro?
Tanto studio, perché a sessant’anni suonati e una vita trascorsa nella musica,
mi sento di avere ancora molto, troppo da imparare. Tanti viaggi, perché intendo
portare la mia pedal steel guitar in giro per i festival di tutta Europa. E
tanto impegno per proporre musica di qualità in questa città, ricca di
professionisti nelle arti e nella cultura e povera di possibilità: Caserta sta
dimostrando all’Italia e al mondo di essere la culla di talenti che però non sa
sempre valorizzare. Questo perché non si ha interesse a lavorare per progetti
comuni e potenziare le infinite possibilità del territorio: spesso sono amici,
appassionati e piccole associazioni che, dal basso, si impegnano a far fiorire
momenti di incontro e aggregazione artistica in cui i talenti del territorio
possano manifestarsi