‘A lampa ‘e sant’Antuono prepara il Carnevale

di Lorenzo Di Donato

17 Gennaio 2002. Chiuso il periodo natalizio –durante le quali   i vari presepi viventi, le processioni dei Re Magi, le tradizionali processioni di Gesù Bambino hanno goduto della partecipazione di folle di visitatori, spettatori o di fedeli che, finalmente!, sono riusciti anche a commuoversi - l’appuntamento di chi ha voluto ritrovare luci, suoni e canti della sua infanzia è stato l’imbrunire di giovedì, 17 gennaio, negli antichi casali di Caserta, intorno ai grandi falò in onore dell’antico sant’Antonio Abate, ‘a lampa ‘e sant’Antuono, che sono stati accesi nei larghi, piazzette e cortili ancora sopravvissuti alla cementificazione.

E sant’Antonio ha ancora una volta gratificato i suoi fedeli procurando che i falò illuminassero la fine di una bellissima giornata di sole, come ormai non capitava da almeno un mese in questo inverno veramente non clemente per i bambini e per gli anziani, continuamente colpiti da raffreddori ed influenza. Il 17 gennaio di quest’anno segnerà, finalmente, il passaggio del rigore dell’inverno ai primi tepori dell’ancora lontana primavera, come è tradizione?

Intorno all’alta fiamma ancora una volta si é raggiunto l’accordo per l’organizzazione del “laccio ‘ammore”, o della “Cantata dei dodici mesi” o, ma è sempre più raro, della “Canzone di Zeza”: ‘a lampa ‘e sant’Antuono è anche la fine del Natale e l’inizio del corto Carnevale.

Nelle grosse lampe hanno bruciato  fascine, vecchie porte, sgangherate sedie, traballanti tavolini, bucherellati scaffali, insomma anche tutte le “cose vecchie” che possono bruciare, per rendere più bello di sempre il gran fuoco in onore del gran Vegliardo verso il quale il culto popolare  è sempre vivo perché dovuto alla sua fama di guaritore dell’herpes zoster o “fuoco di sant’Antonio”, di protettore dei bambini, dei lavori agricoli, degli animali e delle stalle, tanto che mai era possibile trovare una stalla che fosse priva dell’immagine del santo illuminata da una piccola lampada devozionale.

 

Il bruciare cose vecchie nei falò è augurio di rinascita in quanto nel giorno di sant’Antonio “se caccia ‘o vecchie e se mette ‘o nuovo” e, quand’ero fanciullo, portare in casa le braci incandescenti, ad arricchire finalmente la sempre povera vrasera, il braciere, assicurava protezione alla casa ed alle persone per tutto l’anno appena iniziato. E la mamma, quando ci cadeva un dente da latte, ci faceva invocare la protezione del santo: “Sant’Antuono, Sant’Antuono, pigliate ’o vecchie e damme ‘o nuovo; e dammillo forte forte, aggia tirà ‘e chiuove ‘a rinte a porta”, mentre riponevamo il dentino in un buco del muro. Anche questa gentile invocazione è oggi dimenticata. I miei figli e nipotini hanno riposto i loro dentini da latte non in buchi del muro (e come potevano, se abitavano ed abitano in intonacatissimi appartamenti mai offesi da buchi. Per carità!) ma sotto un bicchiere capovolto, dove, la mattina seguente, trovavano un mucchietto di soldini lasciato lì da un topolino che aveva rinforzato i suoi denti col dentino trovato.

La gran fiamma ed il maialino che accompagnano l’immagine del santo, sono diversamente legati alle leggende della vittoria di sant’Antonio sul Maligno.

Infatti alcune tradizioni vogliono che il maialino rappresenti il diavolo che, sconfitto da Antonio, fu condannato da Dio a seguirlo sotto le sembianze di maiale. Altre tradizioni hanno leggende legate al fuoco, meno riferibili, certamente da sussurrare, come segreto da non propalare. Una di queste è riportata da Domenico Starnone nel suo sofferto “Via Gemito” e mi ha portato alla mente quella che un mio cugino più anziano e  più smaliziato mi raccontò, turbandomi, intorno al falò del cortile di casa nostra, tra ammiccamenti e sguaiataggini da adolescente. Una sera si presentò al Santo una bellissima ragazza, dal corpo sinuoso e sguardo impudico. Al momento opportuno la ragazza mise a nudo il suo petto florido ed esclamò:”Sant’Antuo’, guarda che belle zizze! Toccale ‘nu poco!”. Ma sant’Antonio non si fece irretire dalle belle tette della fanciulla e non le toccò, ma, sdegnato, segnò nell’aria una gran croce. E lei, che era il diavolo, si mutò in fuoco, grandissimo fuoco.

Non so, lo confesso, se la sera della  rivelazione di questo “Mistero” io scavalcai più volte il fuoco per provare, come tutti gli altri adolescenti, il mio giovanile vigore alle attente signorinelle, felice se riuscivo a farle dare di gomito alle mie piccole prove di forza ed abilità, o per assaporare, col calore della fiamma, il caldo del prorompente seno della bella fanciulla, fino allo stordimento.

Il bruciare cose vecchie nei falò è augurio di rinascita in quanto nel giorno di sant’Antonio “se caccia ‘o vecchie e se mette ‘o nuovo”

 

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