Il Mese di Maggio

Ricordi sui pomeriggi del mese dedicato alla Madre Celeste

Articolo e foto di Alberto Virgulto


(pubblicato il 1° Mag. 2006) Nell’affascinante e sublime arte della sommersa poesia popolare, appartenuta in massima parte allo scomparso mondo contadino, il mese di Maggio, nella celebrazione della cavalcata dei dodici mesi dell’anno che si teneva con ritualità annuale nelle frazioni di Sessa Aurunca, oggi purtroppo sporadicamente, durante le pazzie di Carnevale, così e decantato:
Io so’ Maggio e so’ maggior di tutti,
maggior di tutti quanti st’auti mesi.
D’oro e d’argento ri guarnisco tutti,
pure ri ciucci stanno allegramente.
Suonate chitarre, viulini e ogni strumenti,
pe’ fa sta lor Signor allegramente.
Io me parto co’ le bone spese,
rimano nfiore tutti st’auti mesi.

In relazione al crescere della vegetazione e alla dea Maia, detta anche Maiesta, annunciatrice della primavera, trae origine il nome del mese Maius, cioè Maggio. Maia venerata dai Greci e successivamente dai Romani che più tardi la assimilarono alla figura mitologica figlia di Atlante e Pleione, fu compagna di Vulcano. La maggiore e la più bella delle Pleiadi, dette alla luce il prodigioso dio Mercurio che, poche ore dopo la nascita, svuotò una tartaruga, adattò ad essa delle corde e prese così a suonare “la prima cetra che il mondo avesse mai conosciuto”.
Nel mese di Maggio il lussureggiante Gelso, oltre ad essere una bellissima pianta delle maracee, le cui foglie sono il nutrimento del baco da seta, è anche la denominazione di un particolare vicoletto di Sessa Aurunca che mena dal Mercatiello a San Leo. E’ situato nel cuore del centro storico della città. Nel mezzo di questa singolare viuzza, inaccessibile al traffico automobilistico vi trova collocazione Palazzo Passaretti, di antica fattezza. In esso vi risiedono una decina di famiglie, alcune alloggiate sul piano strada e altre collocate in un primo e secondo livello. In quest’ameno palazzo, a cui sono legato affettivamente in quanto vidi la luce per la prima volta e mossi i primi passi, si apre all’interno un cortile che permette l’accesso alle scale che danno ai piani superiori, nella parete frontale al portone d’entrata, sotto una di queste scale, vi è una nicchia con la statua dell’Immacolata Concezione, sempre adorna di fiori e la presenza continua di un cero votivo acceso che gli abitanti del palazzo governano a turno.
Quello che più frequentemente mi torna alla mente è che nelle calde e assolate giornate di Maggio il cortile era inebriato dal dolce profumo dei freschi fiori di campo, appena raccolti, posti sull’altarino dell’edicola votiva, che si confondeva e si mescolava alla lavanda del fresco bucato appena posto ad asciugare al sole primaverile, al profumo dei gerani sui davanzali dei balconi e delle finestre che affacciavano sul cortile e al dolce odore dei fiori d’angelo del vicino giardino. Le donne che vi abitavano, nei pomeriggi del mese dedicato alla Madre Celeste, munite di scanni di legno e sedie impagliate sprovviste di spalliere, si ritrovavano di fronte alla Mamma delle mamme per recitare il consueto Rosario. Al brusio iniziale delle donne che occupavano posto, con voce sicura, l’esile figura di nonna Annunziata, religiosa fin sopra la cima dei suoi cinerei capelli, dava inizio al rosario cui seguiva un silenzio abissale e poi in coro la risposta delle donne presenti. Io bambino rimanevo affascinato da quest’avvenimento inconsueto e inspiegabile, seguivo il tutto, rannicchiato sui gradini della scalinata, con sommo interesse e curiosità, lasciando cadere l’osservazione senza fare commenti. Non osavo allontanarmi, sentivo la gracile voce della nonna e il coro diffondersi nel tepore del sole primaverile e nel profumo dei fiori di Maggio appena sbocciati.
 

 

 

 

 
 

 

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