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Visioni meccaniche di Lorenzo Giroffi, ed confine

L'autore di origine casertana presenta il suo secondo lavoro letterario

Comunicato stampa

Presentazione di Vincenzo Aiello

Non ho mai capito perché, ma sembra che dopo la sfornata di scrittori da Caserta che vanno – parliamo di anagrafe – dal 1958 e dintorni (Pino Montesano), fino al 1966 (Antonio Pascale), per non parlare dell’ultima Carla D’Alessio, Terra di lavoro continui a scodellarci scrittori sempre convincenti sul piano dell’interesse narrativo. Nelle nuove generazioni c’è Elisa Rutolo che ho seguito da tempo e che approdata in Nottetempo con racconti convincenti che però nella loro originalità avevano qualcosa di pascaliano. Non so perché accada questo: forse Caserta ed il suo circondario essendo il frutto di un coacervo sociale campagna-aspettattive di città, è terra narrativa che si fa scrittura. Così quando ho letto questo manoscritto di Lorenzo Giroffi residente a Casagiove, “Visioni meccaniche” mi si è rinnovato il miracolo di un autore ingenuamente narrativo: nel senso di originale: qui si parla di lingua non di accadimenti.  Ma è di Napoli che ci parla Giroffi: la città circo che lui frequenta nel suo caseggiato popolare dove matrone come Donna Rachele e fomentatori dell’umanità estenuata come il Duca danno senso alle sue voglie di immaginazione che cercando di salvarlo da una normalità lavorativa – come impiegato in una fabbrica di telefonia – che vuole privarlo del “sentire”. La narrazione continua con incontri di mille etnie che popolano Porta Capuana come i treni notturni o i momenti di pausa pranzo degli amanti della musica Nizar ed Aras. Sfilano i personaggi: imprenditori con protesi sociali, Roberta, Andrea, Yared. Mentre Napoli, la città antica distrutta nella sua bellezza dai suoi nemici interni che la prendono a sassi, emerge “camminata” e ricca di storie altre. Che strana città Napoli che “passa dal Sud America al Nord Europa nel giro dell’attraversamento di una piazza.

L'autore

Lorenzo Giroffi vive a Roma, ma le sue origini partono dalla bistrattata provincia di Caserta. Dopo la laurea in Filosofia, utilizza la scrittura come forma che si concilia con differenti espressioni, tutte unite dalla narrazione di una realtà già di per sé paradossale. Si dedica al giornalismo con la scrittura di reportage, che talvolta divengono anche video, scrive e dirige alcuni lavori cinematografici e nella narrativa esordisce nel 2008 con il “Pianto di un matita”.

Il libro

Un uomo che utilizza le passeggiate notturne come stimolo per una vita che non ha più nulla di personale. Il lavoro in fabbrica è il pretesto per dimenticare l’abuso di vizi incontrati nel rapporto con Napoli (città nella quale vive da poco), che gli concede continui mutamenti geo-sonori.
Le metodicità della sua nuova vita strangola il fastidio d’inquietanti ricordi, che son diventati i reclami della sua coscienza. Così le persone ai margini della società, ai confini del buon senso, in una topografia delle perdizioni quotidiane, cornice della sua mondanità, diverranno visioni meccaniche di storie ingiuste, spinte in posti di privazioni e di umiliazioni.
Storie che vengono dalla Siria, dall’Eritrea e dal passato di un genio, riconosciuto come tale solo dopo la sua morte.
Queste visioni s’intrecciano alla realtà fatta di squallore e di meraviglia: simposi organizzati da un musicista (il Duca) pieno di vizi e di virtù, pronto a conceder con saggezza ogni tipo di degenerazione; un incontro con una donna, che pare rispettare la melodia e l’imprevedibilità del mare (Roberta).
Il nome di quest’uomo resta invelato come i motivi delle sue inquietudini. Solo grazie ai compagni delle sue passeggiate notturne, che nel suo immaginario ha messo assieme in un fantomatico circo degl’ultimi, collegherà la sua vita ad una sua visione meccanica: la violenza ai monti della sua provincia di nascita, il desiderio di annichilimento e le conseguenze sconvolgenti della sua codardia.
Il suo nome, il suo passato, le sue colpe riemergeranno nello svilimento di ogni tipo di fantasia e nell’ammissione dei suoi ricordi.

Intravedo Port’Alba, che giornalmente accumula
casse di libri, saggezza stradale in prossimità di
scritti curativi. Scendo San Sebastiano, accumulo
di protesi per il conservatorio: negozi e tecniche al
servizio del consumo musicale. È rilassante questo
pezzo di strada, sempre silenzioso e buio. Svolto
per Piazza del Gesù Nuovo, che per incanto si
apre, arroccata tra le sue mura e prossima ad
indicare il cielo con l’obelisco dell’Immacolata. È
un disegno perfetto, continua a spingermi verso
la discesa che si assesta a Largo Monteoliveto. Mi
giro e sembra che l’ormai distante Piazza del Gesù
mi crolli addosso, inseguendomi sulla stessa discesa
appena calpestata..
."

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