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Il Buco Buco di Sessa Aurunca

La manifestazione tradizionale di "buonaugurio" di fine anno

Articolo di Alberto Virgulto, presentazione di Pia Di Donato

Come ogni anno, proprio oggi 31 Dicembre, ha luogo a Sessa Aurunca Il Buco Buco. "Squadre" di musicisti, sin dal tardo pomeriggio cominciano a girare per il paese alla ricerca di "offerte spontanee" (un tempo esclusivamente alimentari) proponendo in cambio  "un canto di strina" (strenna) beneaugurante per il nuovo anno. Lo strumento principe di questa manifestazione e che accompagna il canto è il putipu' che è anche detto, appunto, "buco buco"
Ovviamente le squadre competono fra loro per costumi, qualità e quantità dei componenti
La stessa manifestazione è eseguita nelle varie frazioni intorno Sessa aurunca con, in alcuni casi, variazioni assolutamente originali e particolari
Ecco come Alberto Virgulto ci racconta il "Raduno dei Bucobuchisti" e il tipo di canto eseguito ovvero "la strina"

Raduno dei Bucobuchisti

Questo rituale ha inizio l’ultimo giorno dell’anno solare quando il debole chiarore che ancora si attarda nel cielo, incupito dalle ombre della sera, è rischiarato dagli addobbi degli abeti che costeggiano la strada che illumina i passi cadenzali e ritmati delle formazioni di Buco - buco che via, via si vanno ad incolonnare e che dall’Arco dei Cappuccini, percorrendo Corso Lucilio, raggiunge lo slargo tra Via Seggetiello a Via Garibaldi, e lì si da sfogo alla ritualità, dopo aver formato il ”cerchio”, in cui partecipanti della “Banda” sprigionano la loro energia interiore. Il corso è pieno di gente rumoreggiante e plaudente. Gli occhi si posano esterrefatti sui contorni dei riflessi delle mille stelline dei “bengali” accesi, tenuti nelle mani da bambini felici e nel buio le scie dei fuochi d’artificio si intensificano e scandiscono il passare delle ore e l’approssimarsi della mezzanotte che porterà un nuovo e felice anno.
Dal Natale alla Pasqua, dal Capodanno al Carnevale, non c’è festività che non veda Sessa vivere momenti di intensa partecipazione popolare, sempre a testimonianza di un popolo ricco di fantasia..
E proprio negli ultimi giorni, e particolarmente in occasione della fine dell’anno, l’ampio ventaglio di manifestazioni, che, in modo sentito, rinnova, nei diversi periodi, la tradizione aurunca, vive una tappa fondamentale.
Il periodo Natalizio par rivivere quell’eccitazione e quella frenesia secolare, in cui i vari miti, fantasmi e splendori ancestrali sono presenti nell’atmosfera che prelude l’arrivo di San Silvestro. Un anno di attesa è ripagato dalla festosa partecipazione di vecchi e giovani buco-buchisti, pronti a proporre le strofette rituali di questo antico e leggendario canto in cui si ritrovano parole del passato, contaminate da aggiunte ed riattamenti dettati dalle esigenze dei tempi.
In questa sentita tradizione popolare fondamentale e determinante è stata la trasmissione orale, ma anche l’uso e l’impiego degli strumenti musicali che servono a dare vita alla celebrazione di questo evento del folklore locale. Strumenti musicali semplici, costruiti artigianalmente dagli stessi esecutori caratterizzano questa particolare liturgia. Importante è che, in questi momenti di aggregazione collettiva, vi siano orecchi e cuori attenti a questi suoni che hanno alimentato il nostro passato e possono tornare vivi nella bellezza del ricordo, come presa di coscienza di insostituibili momenti di ritualità.
La tradizione popolare del nostro territorio si è spesso manifestata a volte entusiasmante e appagata attraverso canti e balli che hanno riprodotto la quotidianità di una vita repressa e frustrata: dal lavoro faticoso nei campi, alla gioisità della festa, dai timidi approcci verso la propria morosa, alla felicità del giorno del matrimonio.
Balli e canti evidenziano alla base un mito teso ad esorcizzare angosce sessuali, di morte ed esistenziali, allusivi, ironici e a doppio senso, derivati dall’aggiramento di una morale coercitiva che impediva ai nostri avi di manifestare con un linguaggio libero e più aperto le loro aspirazioni, i loro desideri reconditi, i loro sentimenti.

La Strina

Si definiscono popolari quei canti nei quali è intervenuta una elaborazione comune, una produzione poetica non individuale, ma a carattere collettivo, di un determinato popolo.
“Il canto e la musica, infatti, accompagnavano non solo il ciclo della vita di ogni singolo uomo, ma anche il ciclo produttivo e festivo dell’intera comunità.
E’ impossibile stabilire l’epoca d’origine di questi componimenti in quanto tutto il patrimonio letterario popolare si è tramandato a tutt’oggi esclusivamente per tradizione orale.
Tra i temi più tipici di questa tradizione musicali sono soprattutto l’amore, il lavoro, le ninnenanne, i canti a distesa, i canti allegorici carnevaleschi, le Strine, esempi di diverse espressioni di sentimenti popolari.
“La Strina è il canto di questua che accompagna la nascita del nuovo anno, “anno nuovo, vita nuova”.
La Strina è, uno dei canti religioso - pagani e di questua più complessi e completi che si conosca.
In essa, la gioia per l’annuncio della venuta di Gesù si mescola con la benedizione della famiglia, delle proprie cose e l’auspicio di raccolti abbondanti.
Strenna vuol dire dono, regalo, e la tradizione del dono è antichissima
I romani veneravano una dea di nome Strenia, preposta ai doni. Tali doni, consistevano in cestini colmi di frutta, fiori e dolci coperti di miele che si offrivano agli dei, a parenti o amici, in occasione dell’inizio del nuovo anno.
Strina e contemporaneamente strega, questa maschera rituale che perpetua ancora (insieme ad altre) un linguaggio cerimoniale in cui, tra augurio e minaccia, la vita continuamente si celebra e la morte si sconfigge.
Intere compagnie di musici con triccabballacche, tacche tacche, tammorre, fisarmoniche, mandolini, buco buco ecc., in un rituale dal vago sapore orgiastico, si spostano durante la festa di Capodanno per portare la notizia della nascita di Cristo ed anche per ricevere la ‘nferta, in denaro o in natura.
Questi motivi (i buoni auspici e i doni finali) fanno pensare alle “Strine” come ad antichissimi canti pagani di propiziazione ai quali si è successivamente sovrapposto, con l’avvento del Cristianesimo, il racconto della nascita di Cristo. Perfettamente innestato, anche il racconto religioso suggerisce immagini di rara ed arcaica bellezza e di equilibrio poetico.

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