Pietro Condorelli noto e stimato chitarrista casertano dà alla luce Easy, suo 
 secondo lavoro discografico per l’etichetta Red Records. Un lavoro che fin dal 
 titolo evoca assonanze e suscita curiosità interpretative, suonando come 
 beffardo pronunciamento sulle labbra di chi sperimenta la quotidianità delle 
 nostre plaghe meridionali, dove niente è mai, realmente, facile. 
 Il progetto artistico di Condorelli è sostenuto da un ensamble di musicisti di 
 tutto rispetto, dalle molteplici esperienze musicali, dove a Francesco Nastro 
 (pianoforte), Fabrizio Bosso (tromba e flicorno) Pietro Ciancaglini (contrabasso) 
 e Pietro Iodice (batteria) già sodali di Condorelli nel precedente progetto 
 discografico Quasimodo, si affiancano Daniele Scannapieco e Jerry Popolo ai sax 
 e Roberto Schiano al trombone.
  
 Fin dai primi ascolti si chiarisce la cifra stilistica, il sottile filo rosso 
 che si dipana attraverso questa variegata collezione di composizioni originali 
 e standards moderni.
 Easy è un bisogno di leggerezza. Easy è un moto dell’animo, un anelito di 
 levità in gioiosa e mai banale risposta ai tormenti dell’esistenza.
 La levità si attinge attraverso la misura, sembra suggerire Condorelli con il 
 suo lavoro, richiedendo a tutti i suoi musicisti un apporto profondo e 
 personale al progetto e ritagliando per se uno spazio essenziale, in cui non 
 c’è mai tecnica fine a se stessa, ma l’abilità è piegata alla trasmissione di 
 una sottile emozione. 
  
 Easy sembra essere un approdo nella ricerca umana e musicale di Condorelli. In 
 esso confluiscono quindi gli echi e le suggestioni di un percorso jazzistico di 
 lunga durata, passando da leggere suggestioni verso il Pat Metheny minore (M.L. 
 Samba), a rimandi di una fusion anni ottanta fino a giungere ad atmosfere più 
 acid jazz negli ultimi brani più modaioli e groove. L’esito di questa scelta stilistica non è uniforme, laddove esistono momenti in 
 cui la matura finezza interpretativa dell’ensamble lascia il segno, penso 
 soprattutto a Full house e Del Sasser, associati ad altri un pò meno felici in 
 cui abbiamo passaggi più didascalici, quali Bedouin e Red Apple Jam, dove 
 l’aderenza al motivo unificatore appare più stucchevole e fine a se stessa. 
 Un discorso a parte merita Y todavia la quiero, sintesi icastica ed esito 
 mirabile di questo progetto. 
 Ogni musicista sembra raccontarci la sua esperienza umana, tra le note 
 rimangono impigliati frammenti delle piccole emozioni inespresse ma 
 continuamente accarezzate ad ogni amore naufragato. Respiriamo l’eco di 
 speranze malferme, la fragile sicumera di chi parte, la coscienza che esserci 
 arricchisce sempre ma non è mai veramente Easy. 
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