Freyja – The Garden of a Sleepless Man

2012

Recensione e foto a cura di Giuseppe Balducci


In un periodo in cui la scena musicale alternative rock è rappresentata solo da poche novità di significativo interesse ed originalità ecco che i Freyja ci offrono l’opportunità di ascoltare qualcosa di veramente diverso dal solito con il loro album d’esordio The Garden of a Sleepless Man.
Il Progetto Freyja ha inizio nel 2009. La scelta del nome già lascia intuire molto del carattere di questa band. Freyja è la più importante divinità femminile della mitologia norrena ed è caratterizzata da due aspetti peculiari: da un lato è la dea dell'amore, della seduzione, della fertilità, ma dall’altro lato è la dea della guerra, delle arti magiche e degli incantesimi.
Lo stesso carattere antitetico è presente anche nella loro musica. La potenza sonora, arricchita da una voce femminile che riesce sempre a tener testa, senza mai mostrare debolezze o esitazioni, al sound deciso della band, lascia il posto anche a momenti di maggior introspezione e delicatezza.
L’incipit del disco fa subito capire cosa ci aspetta: Mr. Black inizia con un muro di suono che, dopo poco, viene lacerato dalla voce tagliente di Feffa, che sembra essere fatta apposta per complementare il sound del gruppo. Interessante la trama quasi orientale del solo finale di chitarra, che trova comodo tappeto sul riff di basso, per poi sfumare via con la fine del pezzo. Subito riparte la tensione con Gold from hell, alimentata dalla distorsione quasi acida delle chitarre che, convertendosi dopo ai suoni puliti, alleggeriscono l’impatto iniziale per preparare l’ingresso ad una voce dal tocco volutamente più vellutato e dalle linee più melodiche. Molto presenti basso e batteria a conferire sostegno agli arpeggi ed alla voce dondolante di questo brano che si apre sempre più fino ad arrivare ad un finale dal ritmo incalzante in cui anche stavolta è l’assolo di chitarra a mettere il punto.
Con Queen of absinthium si cambia completamente ambientazione, decisamente più suggestiva e misteriosa, con improvvise aggressioni che si risolvono dapprima in una quiete lisergica e poi ancora una volta in spazi molto più aperti fino a quando il riff di chitarra, come un deus ex machina, tuona insieme agli altri strumenti fino alla fine.
Learn to die si evolve musicalmente quasi come a voler assecondare il titolo ed il testo. Dopo un inizio deciso c’è un’evoluzione più matura e riflessiva in cui i suoni sono regolati con meticolosa precisione per tradurre con le note l’intenzione iniziale. Alla fine il brano impara a morire senza esitazioni o timori ma con forza ed energia fino alla chiusura.
I don’t mind si muove su un filo di inquietudine e di soffocamento e l’aggressività strumentale è più secca e nuda. L’immagine che si ha è quella di un gigante che cerca di muoversi con circospezione.
Prosegue il viaggio mentale con Broken clockwork, caratterizzato da atmosfere più malinconiche e riflessive, che ci fa scivolare in un oblio sonoro sotto la guida dalla voce di Feffa.
Lo scenario prende forme diverse nel passaggio a The right way, brano decisamente psichedelico e dai tratti nervosi ed incalzanti.
Dentro The prison il pulsare di batteria e basso in crescendo assieme alle chitarre costruisce un ambiente paranoico e claustrofobico dove a momenti di rassegnazione si alternano tentativi di fuga ed è solo nella mente di chi ascolta la risposta su quale delle due intenzioni prevarrà alla fine.
Verso la fine dell’album si aprono nuovi scenari con l’indecifrabile X e scatti di nervosismo lasciano il posto a maggiori dilatazioni ritmiche e momenti di riflessione, in cui sembra di essere immersi, per poi riemergere in maniera più vigorosa e approdare alla spiaggia dell’ultimo brano.
Con Sleepless nights l’atteggiamento è più diretto e comunicativo e ci porta all’apice della tensione fino a chiudere definitivamente l’album con una serie di colpi distruttivi.
Infine ritroviamo una traccia ghost dal titolo The awakening che ha tutta l’aria di voler rappresentare una rinascita dopo tutte le emozioni contrastanti che si scontrano nelle altre canzoni. Il pezzo è caratterizzato dalla dolcezza dei suoni di chitarra acustica e della voce limpida di Feffa che accompagna fino alla fine di questo viaggio.
Complessivamente il lavoro è ben fatto, sia tecnicamente che artisticamente, già a partire dalla grafica della copertina, del CD e del booklet. Piacevole e diretto senza mai risultare noioso o ripetitivo. C’è un’ottima alternanza di suoni e colori che comportano una continua scoperta acustica e mantengono sempre viva l’attenzione. I testi non sono mai banali. Anche per un orecchio esperto è difficile credere che sia il primo lavoro dei Freyja dal momento che è caratterizzato da una maturità che difficilmente si ritrova in altre band anche più datate.

L’intero album è stato presentato dal vivo il 26 Aprile 2012 al Black Cat Club di Caserta.

Senza nulla togliere al CD la resa dal vivo assume tutto un altro sapore. Per prima cosa il soundcheck è stato fatto con meticolosa precisione, partendo dal presupposto che bilanciare i volumi di voce, tre chitarre, basso e batteria non è mai una cosa semplice. Ogni strumento, perfettamente definito e senza sbavature, si sposa bene con gli altri ed il tutto avvolge tridimensionalmente il pubblico come un’unica essenza fluida.

Il palco viene ben tenuto da tutti, non ci sono mai esitazioni, ed i pezzi sono stati eseguiti con grande naturalezza da parte di ogni componente della band. Molto suggestivi gli interlude ritmico/tribali e l’artwork del palco che hanno dato valore aggiunto allo spettacolo.

Freyja Web Page: http://www.freyja.it/

 

 

La copertina del CD

 

 

 

 

 

 

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