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          Caserta, 12 luglio 2003. Incontriamo Angelo Callipo, il regista ed
            interprete della Commedia del Fantasma, tratta dalla Mostellaria di Plauto,
            in scena al Comunale nell'ambito della sezione teatro del Leuciana Festival. 
             
            Da dove è nata la scelta di portare in scena la Mostellaria di Plauto? 
            è nata da una lettura generale delle commedie di Plauto, ho scelto la
            Mostellaria perché è una commedia non particolarmente conosciuta ma riunisce tutti gli aspetti tipici della commedia plautina, dal
            servo che macchina ogni cosa, dal vecchio che subisce le beffe, al giovane
            un po' stupido, all'amore ridotto a merce. Una commedia quindi che avesse le
            caratteristiche tipiche del teatro di Plauto ma non particolarmente
            frequentata sui palcoscenici. 
             
            Quali sono stati i criteri per il riadattamento e la riduzione di questo testo teatrale? 
            Questo senza dubbio è stato il lavoro più grande, innanzitutto sono
            scomparsi i cinque atti canonici della commedia plautina, e tutto lo spettacolo si
            riduce ad un unico lungo atto diviso in quattordici scene. Sono stati
            operati molti tagli sul testo originale, qualche taglio anche sui personaggi
            che sono stati ridotti rispetto al testo originario. Un intervento sostanziale è stato operato sul titolo piuttosto che
            "Mostellaria" vera e propria, abbiamo scelto "La Commedia Del
            Fantasma", anche per evocare il senso del contenuto. Molti
            interventi ci sono stati sulla messa in scena, con sei attori che interpretano
            tutti i personaggi cambiando costume, vestiti e maschere. L' idea è stata
            quella di una specie di girotondo dove pochi attori interpretassero tutti i
            personaggi. 
             
            Questo adattamento è stato operato per avvicinare un pubblico meno esperto
            ad un testo classico? 
            Sicuramente, la commedia plautina per quanto sia simpatica risulta a volte
            ripetitiva, questo riadattamento è stato operato per rendere lo spettacolo
            più fruibile per gli spettatori, salvando però la trama, l'intreccio e i
            personaggi base. 
             
            Che sensibilità richiede una commedia plautina per essere appresa a pieno da
            un target comune? 
            Richiede lo sforzo di superare il pregiudizio di affrontare uno spettacolo
            classico e soprattutto andare oltre le parole. Uno dei problemi degli
            spettacoli classici è quello di avere un linguaggio molto distante, anche il
            linguaggio di Plauto che è sostanzialmente molto sporco, all'epoca era
            simbolo del quotidiano ma oggi risulta estremamente difficile da digerire.
            Bisogna lasciarsi trasportare dalla storia, senza chiedersi perché un certo
            personaggio dice una certa frase che sembrerebbe pesante. 
             
            Quali sono stati i cambiamenti operati a livello di linguaggio? 
            Diversi: ho consultato diverse traduzioni, ho fatto delle scelte purificando
            il testo oltre che quantitativamente, anche di alcune parolacce che potevano sembrare gratuite, che creano subito una risata grassa ma che poi
            finiscono per sminuire lo spettacolo. In altri casi sono stati sottolineati
            giochi di parole, faccio l'esempio di Filolachetete, quando vede la ragazza
            che ama la chiama Venere, dea dell'amore, li è stata cambiata la traduzione
            con un molto carino "Oh Venere Venerea", che da l'effetto di doppio senso. Logicamente difficilmente si colgono
            questi passaggi ma risultano importanti nel contesto della commedia. 
             
            Con che criterio sono state assegnate le parti? 
            Le parti sono state assegnate secondo criteri funzionali, come ho detto
            prima, poiché un solo attore fa più personaggi. Bisognava, come del resto
            succedeva nell'antichità, che un attore non interpretasse personaggi che si
            trovavano contemporaneamente nella stessa scena. In questo senso è nata la scelta di far interpretare i due servi
            maschi alle due ragazze che oltre a fare parti femminili, fanno anche le
            parti maschili. 
             
            In pratica avete ribaltato quello che viene dalla tradizione che vedeva gli
            attori, solo ed esclusivamente maschi, recitare anche parti femminili? 
            Certo, abbiamo ribaltato la situazione, facendo una cosa abbastanza inedita 
             
            L'aver scelto una commedia appartenente al patrimonio classico comporta una
            rinuncia ad una fetta di pubblico.. 
            Partendo dal principio che il teatro soffre di perdite di pubblico, parlo
            soprattutto di quello della prosa, la scelta di un testo classico non è
            quasi mai a vantaggio del pubblico. Siamo in un periodo in cui soprattutto d'estate si riscoprono i classici, e questo senza dubbio è stata una spinta.
            Lo scorso anno quando abbiamo messo in scena Polemos, che era un insieme di
            tragedie, ed abbiamo rischiato di più. La commedia si apre di più rispetto
            alla tragedia che resta in se per se chiusa al grande pubblico. Per me che
            ho lavorato anche sul teatro sperimentale e d'avanguardia, portare in scena
            una commedia classica, è un po' come fare sperimentazione. Dato che questo
            tipo di commedie sono state praticamente messe da parte, per me portarla in
            scena significa anche sperimentare in qualche modo. 
             
            Ho notato che la scenografia è abbastanza particolare. 
            Sempre dall'idea di questa società un po' distorta, la scena rappresenta una
            casa sdraiata, quasi a simboleggiare una sorta di decadimento, così come la
            porta che è posta sul fondo è a metà. Tutto ciò è nato dall'idea di Tonino
            Marchesino, un mio caro amico scenografo, che ha validissime esperienze di
            teatro. Quando gli ho illustrato la mia idea, lui ha subito buttato giù
            questo bozzetto di cui ci siamo innamorati. Logicamente abbiamo ridimensionato la cosa dato che era difficilmente proponibile in teatri
            piccoli, ma gli elementi essenziali sono rimasti tutti. 
             
            Come mai avete deciso di inserire questo spettacolo in un cartellone così
            ricco e vario come quello delle Leuciane? 
            Il fatto di essere presenti alle Leuciane lo dobbiamo ad una proposta
            fattaci dall'organizzazione, dato che questo spettacolo è una produzione del
            Teatro Comunale, era giusto che trovasse una sua collocazione all'interno
            della programmazione del Leuciana Festival. Non siamo i soli c'è anche
            Vincenzo Zingaro che ha portato in scena la Pace. 
             
            Le tue impressioni sulla scena teatrale di Caserta. 
            Caserta risente fortemente di diciassette anni di chiusura del Teatro
            Comunale, e questo è un primo passo verso qualcosa di più importante. Colgo
            l'occasione per dire una cosa importante, in questi giorni leggendo un noto
            quotidiano ho notato la polemica riguardo il fenomeno dei molti intellettuali che hanno abbandonato Caserta per trovare altre strade. Il
            fatto che riempino le pagine con queste inutili polemiche e non dedichino
            una sola riga alla sezione teatro delle Leuciane è abbastanza sintomatico.
            Bisognerebbe cominciare a parlare di quello che succede sul nostro territorio, senza piangersi a dosso. Questo è un primo gradino che andrebbe
            sostenuto dato che tutto ciò nasce da un laboratorio di teatro. 
             
            Che sviluppi intravedi per la sua attività teatrale? 
            Finalmente dopo anni che ho fatto laboratorio teatrale, dalla scuola o in
            altre situazioni per così dire private, finalmente approdiamo ad una
            situazione istituzionale, cittadina. Come ogni buon teatro anche il Comunale
            di Caserta ha una sua scuola all'interno. Per me è un grande onore e
            una immensa soddisfazione essere approdato ad essere responsabile di
            questo settore. Credo che il mio sforzo, in piccolo anche con questo spettacolo, sia diretto verso coloro che
            frequenteranno questa scuola affinché siano subito impegnati nella realizzazione di spettacoli, quindi non solo scuola ma anche teatro.
            E' sicuramente un incentivo per coloro che partecipano ed aiuta a coinvolgere
            sempre di più i partecipanti. Certo non si può fare sempre il grande
            spettacolo, ma già piccoli interventi, anche una lettura di poesia può
            essere motivo di banco di prova per i futuri attori. 
             
            Qualche anno fa lei realizzò uno spettacolo su Aristofane e Fassbinder, oggi
            uno su Plauto, cos'è che l'affascina del mondo classico? 
            Del mondo classico mi affascina tutto, è una miniera inesauribile, non
            voglio essere retorico nel dire che i classici hanno detto tutto ma davvero
            ci hanno lasciato ben poco da dire. A volte non ce ne accorgiamo, ma il
            mondo classico è una miniera da cui nasce tutto. Ancora oggi quando leggo il
            monologo come quello di Medea prima di ammazzare i propri figli mi trema il
            sangue nelle vene. Sono delle sensazioni a cui io non potrei mai rinunciare.
            Lo spettacolo su Fassbinder, peccava del fatto che la contaminazione era un
            po' forzata, ma mi affascina il fatto di estrarre dai testi antichi un valore
            universale, senza la necessità di adattarli al tempo moderno, un adattamento
            naturale, a volte anch'io ho operato delle forzature ma sono peccati di
            gioventù. 
             
            Tornando allo spettacolo su Aristofane e Fassbinder, lo spettacolo si
            giocava su una commistione scenica di autori lontani nel tempo ma vicini dal
            punto di vista ideale, con la commedia di Plauto ha operato delle contaminazioni con autori più recenti? 
            No sicuramente, la lettura che ho dato, tradisce un po'  Plauto ma in questo
            mondo plautino diventi una sorta di metafora, una sorta di sguardo amaro su
            una società carnevalesca, dove tutti i ruoli sono invertiti e questo dura
            fino ad un certo tempo, ma poi torna tutto a posto. In questa società che
            non riesce a trasgredire fino in fondo ma si scopre una società che gioca in
            un ruolo invertito per un periodo limitato ma poi alla fine torna tutto a
            posto. E' una società che gioca un ruolo invertito nello spazio di un
            carnevale. E' una società statica che non riesce ad approfittare nemmeno
            della possibilità di vedersi a ruoli invertiti. 
             
            Avete intenzione di portare in tour questo spettacolo? 
            In effetti siamo già alla terza replica, abbiamo già debuttato e fatto
            un'altra replica, in quanto le Leuciane sono partite più tardi. Abbiamo poi
            questo invito che ci è stato fatto dal festival di Swahan in Iran, dove
            andremo a metà agosto con tutti gli interrogativi che in questo momento
            agitano il pianeta, però saremo li se tutto va bene, insieme a compagnie di
            Francia, Germania, e tanti altri paesi. A settembre ci aspettano altre
            repliche a Salerno, probabilmente Bari. E per l'inverno più potremmo
            portarlo in giro meglio sarà. | 
          
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      Angelo Callipo 
        
      foto di Emilio Di Donato
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