Teatro Comunale Di Caserta: Stagione Teatrale 2010/2011
Caserta – dal 19 Novembre 2010 al 27 Marzo 2011
Comunicato stampa
Gli spettacoli hanno inizio alle ore 20:45, venerdì e sabato, e alle ore
18:30 di Domenica
da venerdì 19 a domenica 21 novembre, Diana Or.I.S. presenta Carlo
Giuffre’ e Angela Pagano in “I casi sono due” di Armando Curcio, regia Carlo
Giuffrè (nostro articolo)
NOTE DI REGIA
Fra le tante Commedie che sto recitando da più di 30 anni, da quando cioè ho una
mia Compagnia (nei primi 10 anni assieme a mio fratello Aldo e poi da solo), non
saprei proprio dire quale sia quella che è piaciuta di più al pubblico.
Ho ricevuto nel 1999 l’ambito premio “Renato Simoni” la cui motivazione fra
l’altro dice: sempre più forti e quasi esclusivi con il sopraggiungere della
maturità, si sono fatti in lui l’impegno e la responsabilità di “Custode della
grande tradizione attorale napoletana”. Ed ecco quindi la mirabile serie di
spettacoli destinati a restaurare un repertorio otto-novecentesco con accento
nobile da Scarpetta a Curcio, e a mantenere vivo nella coscienza e nel cuore
degli spettatori, con un marchio costante e inconfondibile di intelligenza
critico-storica, il patrimonio di questo meraviglioso repertorio.
Ho recitato sei Commedie di Eduardo, di Armando Curcio ne ho realizzate tre: “A
che servono questi quattrini”, “La fortuna con la effe maiuscola” (scritta con
Eduardo) e “I casi sono due”, che fu – nel 1982 - la prima Commedia realizzata
con la Diana OR.I.S. di Lucio Mirra, che produce ormai i miei spettacoli da 30
anni.
Fu un inizio travolgente, piacque molto a Federico Fellini, che vide lo
spettacolo tre volte e scrisse fra l’altro “Ecco il teatro quello vero che
funziona da sempre, come una bella festa fra vecchi amici con cui stai subito
bene” e concludeva dicendo ”Nutrendo la speranza che tutto ciò che di
spensierato, allegro, buffonesco, patetico, assurdo e straziantemente umano, hai
visto accadere su quel palcoscenico, spente le luci e uscito dal teatro, tu
possa ritrovarlo fuori nella vita! ”
Il critico Enrico Fiore del Mattino di Napoli scrisse: “E’ uno degli spettacoli
più compatti, calibrati e divertenti che si siano visti negli ultimi anni. “
Giovanni Raboni, sul Corriere della Sera scrisse: “Avrò il coraggio di dire che
“I casi sono due” di Armando Curcio, messo in scena da Carlo Giuffrè che lo
interpreta da par suo, è lo spettacolo più bello di questa stagione?
Si, ormai l’ho detto e spero di essere creduto!
Giuffrè ne ha tirato fuori un capolavoro di intelligenza, di comicità
pacatamente irresistibile, di scintillante malinconia”.
Per questo rimetto in scena la Commedia, perché piacque molto allora ai critici
e al pubblico, piacque anche quando la ripresi nel 1992 e sono certo che piacerà
anche questa volta; avrò dei bravi attori accanto a me e soprattutto avrò la
fortuna di avere al mio fianco Angela Pagano, grande amica e grandissima
attrice.
da venerdì 26 a domenica 28 novembre, Compagnia Mario Chiocchio presenta
Peppe Barra in “Le follie del monsignore” di Peppe Barra e Paolo Memoli, regia
Peppe Barra (nostro articolo)
Peppe Barra riporta in scena la storia del mitico monsignor Perrelli, un
personaggio realmente esistito nella Napoli del Settecento, che fece tanto
scalpore all’epoca da diventare una leggenda metropolitana, tramandata
attraverso la cultura orale. Di questa figura rimangono proverbiali, ad esempio,
i suoi famosi cavalli, per i quali, mentre muoiono dolosamente di fame, esclama:
«Peccato, sono morti proprio quando stavano imparando a vivere senza mangiare!».
Le follie del Monsignore – questo il titolo del testo scritto dallo stesso Barra
con Paolo Memoli e Lamberto Lambertini – si rifà a quella commedia di Francesco
Gabriello Starace che Eduardo De Filippo portò in scena nella stagione di
riapertura del ricostruito San Ferdinando nel 1954, con la sorella Titina – alla
sua ultima interpretazione – per la regia di Roberto Rossellini. Ma sposta il
baricentro dei caratteri sul personaggio di Meneca, interpretato dallo stesso
Barra, la perpetua pettegola, tenera, affettuosa, vigile, brontolona e golosa
come il suo padrone, che, con il suo modo di parlare popolare e la sua
gestualità più antica, fa da contrappunto comico alle smemoratezze, i peccati di
gola, le manie e le follie del monsignore. A vestire i panni di monsignor
Perrelli è Patrizio Trampetti, autore anche delle musiche eseguite dal vivo da
Ciro Cascino al pianoforte e alle tastiere. L’allestimento, prodotto dalla
compagnia Mario Chiocchio, è firmato da Annalisa Giacci per i costumi e Aldo
Cristini per le scene.
Monsignor Perrelli è un personaggio realmente esistito nella Napoli
rivoluzionaria del 1799, che fece tanto scalpore all’epoca da diventare una
leggenda metropolitana, tramandata attraverso la cultura orale.
Il personaggio inventato da Peppe Barra, in collaborazione con Lamberto
Lambertini e Paolo Memoli, diventa del tutto immaginario, raccontato dalla
perpetua Meneca, la quale, attraverso il suo modo di parlare popolare e la sua
gestualità più antica, fa da contrappunto alle stramberie di monsignor Perrelli.
Il risultato è comico: un continuo gioco e divertimento col pubblico, che è,
poi, la caratteristica del mio fare teatro.
da venerdì 10 a domenica 12 dicembre, Chi E’ Di Scena srl presenta
Vincenzo Salemme in “Astice al veleno “ scritto e diretto da Vincenzo Salemme (nostro articolo)
L’astice al veleno è una commedia che ho scritto nell’autunno appena trascorso.
E’ basata su un meccanismo comico farsesco ma ha un linguaggio tipico della
commedia brillante e romantica. Protagonisti sono Barbara e Gustavo. Lei è
un’attricetta, amante, addolorata e delusa, del regista dello spettacolo che sta
provando, il quale regista è a sua volta è un inseparabile ammogliato.
Gustavo invece è un pony express che porta in giro pacchi dono per il natale
imminente. La vicenda infatti nasce e finisce nella giornata del 23 dicembre. Si
svolge nel teatro dove Barbara debutterà tra pochi giorni ma in scena coi
protagonisti ci saranno 4 figure molto particolari: sono le statue raffigurate
nella scenografia, una lavandaia del cinquecento, uno scugnizzo di Gemito, un
poeta rivoluzionario tratto dal Regno delle Due Sicilie, un “munaciello”, figura
mitologica dell’iconografia popolare napoletana, che si esprime come un
primitivo. Barbara è una bellissima donna ma molto suscettibile e sognatrice e
proprio per questa sua fragilità psicologica, parla con queste figure inanimate
che però nella sua fantasia prendono vita. Solo lei (e il pubblico in sala) le
vede “vivere”. Sono come gli amici immaginari dei bambini. E invece quando in
teatro arriva Gustavo col costume di Babbo Natale per consegnarle il dono di una
ditta teatrale, anche per lui le statue si muovono. E’ il segno che tra i due
c’è molto in comune.
Barbara però per mettere fine alla sua relazione con il regista adultero ha un
piano diabolico: invitarlo a una cenetta a lume di candela lì in teatro e
avvelenarlo con un vino al cianuro di potassio e poi togliersi la vita allo
stesso modo.
Quindi l’arrivo di Gustavo complica le cose perché le statue gli impediscono di
uscire dal teatro in modo che la sua presenza renda impossibile il piano omicida
di Barbara. Il tutto condito dalle incursioni di un astice vivo da cucinare ma
che nessuno ha il coraggio di ammazzare. Infine il ritmo delle battute sarà
ammorbidito da una decina di pezzi inediti cantati dai nostri personaggi. L’idea
di introdurre questi passaggi musicali in un meccanismo narrativo di genere
assolutamente comico rappresenta uno degli elementi di maggiore novità nella mia
proposta per la prossima stagione. Sarà uno spettacolo molto natalizio ma non
per questo meno adatto a portare nei teatri una ventata di festosa allegria
anche negli altri periodi dell’anno.
da venerdì 17 a domenica 19 dicembre, Gli Ipocriti presenta Rocco Papaleo
e Giovanni Esposito in “Eduardo: piu’ unico che raro!“ quattro atti unici di
Eduardo De Filippo, regia Giancarlo Sepe
La commedia racconta del travagliato tentativo di effettuare la registrazione,
in sala d’incisioni, della canzone Adduormete cu’mme. Arriva dapprima il
tecnico, poi il direttore della sala, il maestro Scardeca, che “modestamente…
aggiustò la Bohème di Puccini”; il violinista Attilio, con la testa fasciata,
“colpa del litigio con la sua signora che lo ha violentemente colpito con una
spazzola, perché se la “intendeva” con la portinaia”.
Ancora la cantante Fiammetta Flambò, che ama esibirsi esclusivamente in strada,
nelle piazze, nei ristoranti, nei bar ma, chissà perché mai nei teatri; il
Trombonista Camillo colpito da continui attacchi di tosse convulsa; Nicola il
maestro di clarino venuto, “fresco, fresco“ dal dentista che gli ha estirpato i
tre denti anteriori; ancora Vincenzo rullante, ovvero il batterista con qualche
“piccolo problema” ed infine la vera cantante Clara, moglie di Attilio. Ecco
l'orchestra: è al gran completo pronta per l’incisione…
da venerdì 14 a domenica 16 gennaio, Diana Or.I.S. presenta Carlo
Buccirosso in “Il miracolo di don Ciccillo” scritto e diretto da Carlo
Buccirosso (nostro articolo)
“Il miracolo di don Ciccillo” vede l’attore napoletano nella triplica veste di
autore, regista e interprete. In scena, Carlo Buccirosso è affiancato da una
inedita Valentina Stella, nei panni della sanguigna e combattente consorte e
inoltre da Gianni Parisi, Gino Monteleone, Tilde De Spirito, Davide Marotta,
Claudia Federica Petrella, Sergio D’Auria, Giordano Bassetti e da Graziella
Marina nel ruolo di Tata Titina. Le scena sono di Gilda Cerullo, le musiche di
Antonio Annona; i costumi sono firmati da Zaira De Vincentiis e le luci sono di
Francesco Adinolfi. Carlo Buccirosso porta in scena le vicissitudini di Alberto
Pisapìa, ristoratore di professione ormai sull’orlo del fallimento. Gestore di
un ristorante di periferia, padre di due figli maschi, Vincenzo e Matteo, l’uno
disoccupato, scapestrato e superficiale, l’altro laureato, riflessivo e pacato,
Alberto vive, da quasi quattro anni, un disagio psichico che evolve sempre più
in un esaurimento nervoso. Sia a causa della crisi economica del Paese che in
seguito ad una serie di investimenti avventati, Alberto è costretto a combattere
una personale battaglia contro gli spietati attacchi dell’Equitalia. Nonostante
le cure e le terapie specifiche messe in atto, dal medico Pasquale Cinquegrana,
dall’infermiera Angela e dalla governante Titina, al fine di rappresentare una
realtà diversa da quella ben più ingarbugliata, la serenità e la pazienza di
Alberto vengono continuamente minate. Ma un altro grosso problema contribuirà a
complicare definitivamente la guarigione di Alberto Pisapìa, un ostacolo
insormontabile, un male inesorabile che neppure la terapia più all’avanguardia
sarebbe in grado di risolvere. La minaccia pestilenziale rappresentata dalla
suocera Clementina, presenza che turba l’anima del protagonista perseguitato da
perversi pensieri di morte, potrebbe essere eliminata solo grazie ad un “vero
miracolo”.
da venerdì 28 a domenica 30 gennaio, Sastreria presenta Lina Sastri in
“Per la strada “ scritto e diretto da Lina Sastri (nostro articolo)
Un vicolo immaginario, in una Napoli del presente, una donna con una valigia
che, fra canto, musica e danza, snoda un racconto poetico sulla città, sui
personaggi che la popolano, sull’amore, la rabbia, la passione e la voglia di
libertà; ci racconta dell’amore e dell’odio, della giovinezza e della vecchiaia,
del dolore e dell’allegria della speranza e dei sogni , di una città
contraddittoria sospesa tra il passato, presente e futuro!
Il testo di Lina Sastri rappresenta il corpo e l’anima dello spettacolo, la voce
della protagonista racconta la storia attraverso le musiche, le canzoni,
attraverso la danza……Le storie si snodano e si legano fra loro e creano il filo
rosso dello spettacolo.
Accompagnano il testo teatrale scritto dalla stessa Lina, canzoni e musiche
classiche del repertorio napoletano, canzoni inedite e danze.
da venerdì 4 a domenica 6 febbraio, Teatro Bellini presenta Gabriele
Russo e Marcello Romolo in “Gran varieta’” con 20 artisti in scena e orchestra
dal vivo, scritto e diretto da Gabriele Russo
Uno spettacolo concepito per rivendicare un genere nato in teatro e rubato dalla
televisione, il Varietà. Un genere attraverso il quale sono cresciuti molti fra
i più grandi e indimenticabili artisti del passato, basti pensare a Totò, ai
Fratelli Maggio, a Nino Taranto, Ettore Petrolini, Leopoldo Fregoli, Macario...
solo per citarne qualcuno, nomi che danno il senso e la misura di quanto questo
repertorio sia rimasto negli occhi e nella memoria di quanti hanno avuto la
fortuna di assistervi. Questo l’humus iniziale che ha spinto Gabriele Russo,
autore e regista dello spettacolo, a mettere in piedi un autentico Varietà, con
le sue colorate macchiette, i suoi balletti "sgangherati", le sue intramontabili
canzoni, i suoi irresistibili sketches, i suoi grotteschi
presentatori e la sua immancabile “passerella”, che all’epoca era forse il
momento più atteso ed entusiasmante dello spettacolo...
da venerdì 18 a domenica 20 febbraio, Teatro Stabile del Friuli Venezia
Giulia - Teatro Stabile di Calabria presenta Geppy Gleijeses e Marianella
Bargilli in “L’affarista” di Honorè de Balzac, regia Antonio Calenda (nostro articolo)
«Ah! Conoscete la nostra epoca! Oggi, signora, tutti i sentimenti svaniscono e
il denaro li sospinge. Non esistono più interessi perché non esiste più la
famiglia, ma solo individui! Vedete! L’avvenire di ciascuno è in una cassa
pubblica (…) Vendete gesso per zucchero: se riuscite a far fortuna senza
suscitare lamentele, diventate deputato, pari di Francia o ministro!»
Si adatta perfettamente al nostro tempo, questa pungente battuta: tanto che non
ci sarebbe nulla di strano a sentirla pronunciare oggi, magari da qualcuno che
commenti una delle tante notizie di speculazioni e crisi economiche che
punteggiano quotidianamente i giornali…
Invece – e ciò è davvero sorprendente – risale alla metà dell’Ottocento, scritta
da Honoré de Balzac e pronunciata da Mercadet, personaggio attorno al quale è
concepito Le faiseur - L’affarista, uno dei migliori testi teatrali di questo
grande maestro della letteratura realista.
«La commedia di Balzac – spiega Antonio Calenda, che firmerà la regia dello
spettacolo – possiede una stringente attualità, un incredibile impatto sul
lettore contemporaneo, poiché tratta temi molto sentiti, come la frenesia e
l’immoralità delle speculazioni economiche, lo spietato gioco delle Borse, il
mondo losco e cinico degli affari. Proprio il modo incisivo, realistico e allo
stesso tempo molto ironico in cui l’autore raffigura questo universo ambiguo, e
la sua perfetta, significativa attinenza con il nostro presente, mi ha indotto,
assieme a Geppy Gleijeses, a incentrare su questo testo un nuovo progetto di
produzione, che vede unito l’impegno del Teatro Stabile del Friuli Venezia
Giulia e del Teatro Stabile di Calabria».
L’allestimento prevede infatti un onere notevole sul piano produttivo, con una
compagnia efficace e numerosa a dare vita alle variopinte e sfuggenti figure che
attorniano il protagonista Mercadet, a cui Geppy Gleijeses offrirà tutta la sua
versatilità e le sue risorse interpretative. Si tratta infatti di un personaggio
monomaniaco, vigoroso, geniale e cialtrone, un carattere eccezionale, degno
della grande Commedia umana di Balzac.
Mercadet vive nel perseguire la sua unica fondamentale idea fissa, quella di
arricchire, speculare: è mosso da una sorta di libido del denaro, che vive come
una nevrosi esistenziale. Gioca in Borsa con denari che – in realtà – non gli
appartengono. Egli è infatti sull’orlo della bancarotta, assediato dai
creditori: una crisi, che fin dall’inizio imputa al socio Godeau, andato con la
cassa a cercar fortuna nelle Indie e di cui nulla si sa più.
Ma nell’attesa di Godeau, Mercadet non resta beckettianamente inerte,
tutt’altro: certo che il motore della società moderna sia il denaro e che
l’onore sia fondato ormai sulla sola apparenza, usa la moglie quale stendardo
della propria fortuna e la costringe a partecipare elegantemente abbigliata a
ogni occasione mondana.
Un modo per “truccare” il mercato in proprio favore, per tenere in pugno i
creditori, ancor più sensibili di lui al miraggio del facile guadagno. Così
ottiene le loro azioni e addirittura i risparmi dei propri servitori per i suoi
maneggi finanziari. Cerca anche di maritare la figlia bruttina – interpretata da
Marianella Bargilli, una delle più interessanti attrici italiane della sua
generazione - a un dandy presuntamente abbiente che si rivela poi uno spiantato…
ma i suoi piani s’incrinano. Metterà addirittura in scena il ritorno del suo
socio e sarà proprio nel gioco degli arrivi falsi o ipotetici di Godeau che
troverà la salvezza a un passo dal baratro, ottenendo che ogni cosa si
ricomponga sul piano economico, degli affetti, come pure su quello della morale
a cui Mercadet, sospinto dalla moglie e dai burrascosi eventi, alla fine
s’inchina (ma possiamo credergli?), ritirandosi in campagna a vivere di un
lavoro onesto.
da venerdì 25 a domenica 27 febbraio, Mythos Group presenta Ornella Muti,
Emilio Bonucci e Pino Quartullo in “L’ebreo“ di Gianni Clementi, regia Enrico
Maria Lamanna (nostro articolo)
Era l'anno della nevicata a Roma, quella del '56, anno in cui prende corpo la
storia de L'Ebreo, premio Siae - Eti - Agis scritto da Gianni Clementi. Era da
un po' che io e Gianni ci inseguivamo: quel suo saper raccontare storie,
semplicemente storie, quel suo amore verso il dialetto romano, alzato finalmente
a lingua, erede di Monicelli, Risi, ma ancor più di Age e Scarpelli e di Suso
Cecchi D'Amico. E così che amo la drammaturgia contemporanea, sempre pronto a
creare i classici del 2000, resto folgorato da Gianni e parto con L'Ebreo. E ne
ricreo i sapori, le atmosfere di una Roma che fu, quella del '56 appunto, nel
pieno dopoguerra, ma dove però la capitale era in mano ad una classe di "cafoni
arricchiti", che vivevano di usura e di proprietà usurpate o acquisite dagli
ebrei padroni di palazzine per la città di Roma e nel ghetto, che lasciavano in
consegna alla servitù i propri averi prima di essere deportati, con l'impegno di
riaverli al ritorno. Molti non sono tornati, pochi sì. Ed ecco la storia di
Clementi: cosa succede se improvvisamente una famiglia proletaria si trova
proprietaria di svariati beni, e la ricchezza li rende avidi, cattivi e
sciacalli, che cosa succede se sempre improvvisamente si ripresenta l'Ebreo,
legittimo proprietario, a richiedere dopo 13 anni i propri averi? Mi trovo ora a
dirigere Ornella Muti, al suo debutto teatrale. Per Ornella alias Francesca
alias Immacolata (la protagonista) trovo un registro popolare, violento,
arrabbiato, e se in Notturno di donna con ospiti di Ruccello l'Adriana di
Giuliana De Sio al finale rivelava una Medea metropolitana, qui l'Immacolata di
Ornella, sotto la neve che imbianca la capitale, rivela una lady Macbeth de
nonatri, dolorosa e folle, vendicativa e selvaggia. Con grande umiltà Ornella ha
indossato i panni di Immacolata, lasciandosi guidare nel dedalo ironico-tragico
del personaggio pronto a tutto. Grazie, Ornella, di avermi dato l'onore di
portarti fin qui, e di avermi fatto aprire, durante le nostre sessioni, porte
dentro di te chiuse. Accanto a lei Emilio Bonucci, già da me diretto ne La
formula, attore straordinario, modernissimo, generoso. Allora si trovava a
battezzare il debutto di Rosalinda Celentano, ora di Ornella Muti, nel ruolo del
marito debole, sciatto, solo, nostalgico. E infine Pino Quartullo, regista -
attore, ma soprattutto amico. Da tempo ci inseguivamo, ed ora eccoci qui. lo e
lui, registi di un'epoca difficile, ma che ripaga con questi incontri, Lui e
Tito, idraulico, amico di famiglia, simpatico, rozzo. E se il marito rappresenta
una Roma che fu, e Tito una Roma naif forte e greve, Immacolata Ì certamente il
nuovo che avanza, che perde il concetto di valori e si accanisce anche contro se
stessa. E il percorso sonoro di questo spettacolo ci porta attraverso un film in
bianco e nero, un po' del tipo Poveri ma belli, ma anche un film dove Immacolata
diventa pure una creatura della cinematografia di Aldrich degli anni '60, e
penso alla perfidia di Olivia De Havilland in Piano, piano, dolce Carlotta, ma
dove riecheggia, invece, l'urlo della Magnani “Francesco!... Francesco!. ..”,
l'urlo della sopravvivenza.
da venerdì 4 a domenica 6 marzo, Compagnia Mauri Sturno presenta Glauco
Mauri e Roberto Sturno in “L’inganno“ di Anthony Shaffer, regia Glauco Mauri (nostro articolo)
Nel 1972 Anthony Shaffer (fratello gemello di Peter Shaffer, autore dei
fortunati Equus e Amadeus) ricevette il prestigioso “Premio Award” per la
migliore commedia dell’anno Sleuth, che cominciò così la sua fortunatissima
carriera teatrale.
Sleuth thriller-psicologico, lo definì subito la critica, che nell’elaborazione
di Glauco Mauri prende il titolo di L’inganno, ebbe un tale successo che fu, per
ben due volte, adattato per il cinema. Nel 1972 con la regia di Joseph L.
Mankiewicz con Laurence Olivier e Michael Caine, e nel 2007 con la regia di
Kenneth Branagh, con Michael Caine e Jude Law e la sceneggiatura di Harold
Pinter
La prima teatrale della commedia fu a Londra, al Ambassadors Theatre con Anthony
Quayle e Keith Baxter diretti da Clifford Williams, successivamente la pièce
debuttò al Music Box Theatre di Broadway. Nella città di New York rimase in
scena per ben 4 anni mentre a Londra le repliche si protrassero per 8 anni.
Citiamo anche il fortunato adattamento francese dal titolo Le Limier che vide
tra i suoi interpreti principali Jacques Weber e Philippe Torreton, e rimase in
cartellone a Parigi per più di una stagione. Tuttora lo spettacolo viene
replicato nei maggiori teatri di tutto il mondo.
Qual è il motivo di tanto successo e tanto gradimento del pubblico? Anthony
Shaffer certamente propone in questo suo testo tutte le sue abilità di
sceneggiatore di gialli. Di rilievo sono le sue collaborazioni con Alfred
Hitchcock e numerosi sono gli adattamenti per lo schermo di alcuni dei più
famosi romanzi di Agatha Christie.
Ma c’è qualcosa di molto di più nel fascino di questa commedia: ironia, dramma,
gioco, comicità e sorprendenti colpi di scena danno a questo testo il dono di
creare un’ atmosfera di grande divertita tensione. Due uomini giocano a
ingannarsi, a ferirsi nei loro più intimi sentimenti in un gioco che spesso
sfocia in una farsa feroce. Ma, come accade spesso nella vita, la farsa che
umilia le debolezze dell’uomo si tramuta in un dramma dove l’uomo rimane vittima
di se stesso. E non a caso il gioco termina con lo sghignazzo di un pupazzo
meccanico che inerte ha assistito alla scena e che ci dice, lui senza anima,
quanto pazzi siano gli uomini che giocano a ingannarsi e a farsi del male.
Si ride, ci si diverte ma ci si ricorda anche che l’uomo rimane sempre il
protagonista, nel bene e nel male, del suo destino.
da venerdì 11a domenica 13 marzo, Just in Time srl e C.C.T.M. Circuito
Campano Teatro e Musica presenta Eugenio Bennato & Orchestra Popolare Del Sud in
“Briganti Emigranti“, un progetto di Nunzio Areni, direzione artistica di
Eugenio Bennato
ORCHESTA POPOLARE
Gianni Giordano (Pignataro) tammorra e voce, Giacomo D’ Angiò (Pignataro) voce e
ciaramella, Peppe Rotolo (Pignataro) voce, Lucio Palumbo (Pignataro) zampogna,
Ivan Virgulto (Pignataro) voce e chitarra battente, Luca Natale mandola, Anna
Rosa Vanore (caserta) canto e castagnette, Annalisa Messina (caserta) voce,
Fiorella Federici (caserta) voce e ballo, Daniela Bonvento (calabria) Viola e
lira calabrese, Chiara Capria (calabria) violino, Lorena (calabria) violino e
viola, Minni Diodati, (campania) voce, Giavanni Perilli.
GRUPPO EUGENIO
Erasmo Petringa , Ezio Labiase chitarra, Stefano Simonetta basso, Vincenzo
Gagliani percussioni, Mohammed Ezzaime Al alou voce, Sonia Totaro voce e ballo,
Esha Tizafi voce.
Da venerdì 18 a domenica 20 marzo, Biagio Izzo in “Guardami Guardami”
diretta da Claudio Insegno (nostro articolo)
Una farsa dell’amore con uomini e donne al centro. Un gioco che si ripete da
sempre ma che trova nuovi spunti di fronte ad una società in continua
trasformazione.
La vita coniugale di una giovane coppia fa da sfondo alla storia dove i
protagonisti sono lui e lei. Lei, la fede nell’amore “fonte del nostro essere
che unisce le cellule della vita e crea intorno l’energia positiva che porta
verso la realtà assoluta”. Lui, una sola fede, (LA SQUADRA DEL CUORE) un solo
grido: “Noi saremo sempre qua… finché il Napoli vincerà, perché il Napoli è la
squadra degli Ultrà”.
L’amore muove il sole, le stelle e tutto l’universo, pensa lei. Lui pensa invece
che l’amore sia peggio di uno tsunami: una forza della natura; un tornado che
può abbattersi sulla tua casa, che ti scoperchia il tetto lasciandoti sul
lastrico.
La storia va avanti così da secoli, incentrata com’è sulla visione diversa
dell’amore di lui e di lei. Lei che non sopporta il pensiero che lui la
tradisca, nemmeno col pensiero. Lui che non ha altri pensieri, e pensa solo a
quello. Lei e il dubbio che la martella, il sospetto che non le dà tregua: lei
che non dà tregua a lui. Uno dei disastri più frequenti che l’umanità ha dovuto
affrontare nel corso della storia risiede proprio nell’incapacità di arginare il
dramma dell’amore usando il cervello.
Una commedia, la vita, tutta da ridere, con uomini e donne, polarità opposte ma
complementari, alla ricerca perenne di una dimensione dove si possano
incontrare. Mission impossible? Sembrerebbe di sì. Ma uomini e donne continuano
a rincorrersi, come i protagonisti della nostra storia, con lei sempre più
convinta che, nonostante tutto, “l’amore è l’essenza della vita e guai a chi me
lo tocca”; e lui sempre più proteso ad affinare l’arguzia, l’astuzia,
l’espediente; a sperimentare nuove soluzioni, in cerca dell’invenzione geniale,
del “rimedio”, perché il venerdì sera c’è il tavolo con gli amici e guai a chi
me lo tocca. Ma è solo una farsa la nostra; una via oltre l'uomo e la donna
capace di offrire un nuovo presente, una armonia diversa, in una finta realtà.
Da venerdì 8 a domenica 10 aprile, Teatro Stabile di Napoli, Nuovo Teatro
Nuovo "Atto senza parole" e altri testi di Samuel Beckett traduzioni di Carlo
Fruttero, Franco Lucentini, Camillo Penati con Tommaso Bianco, Benedetto Casillo,
Gigi De Luca, Franco Javarone scene Francesco Ghisu costumi Annapaola Brancia D’Apricena
musiche Francesco Forni disegno luci Luigi Biondi drammaturga Francesca Manieri
regia Pierpaolo Sepe (nostro articolo)
Fallire senza paura.
L’irrappresentabilità dei colori dell’anima porta ad un inevitabile fallire.
Anche quando, come in Beckett, l’irrappresentabile viene raggiunto e percorso.
Tutto quanto viene escogitato per evitare o nascondere il fallire, è il male,
ciò da cui bisogna difendersi. La convenzione, il canone, il sentire comune, il
condivisibile, l’aggregante, altro non sono che allontanamenti, compromessi,
paura di restare soli. Questa è la regola, questo è per me avvicinarsi a
Beckett. Questi i presupposti di ATTO SENZA PAROLE; spettacolo che mi accingo a
costruire insieme a quattro interpreti, capaci di restituire il disordine della
disperazione ed il ridicolo che ne consegue. Personaggi senza speranza e senza
redenzione, privati della retorica del dolore, armati di cattiveria e rancore,
colti nell’attimo che precede la risposta, ancora nell’atto di inseguire una
possibilità di dignitosa sopravvivenza, un ordine, un senso misterioso.
Mortificati pagliacci, traditi da un’incomprensibile esistenza, camminano in
cerchio. Come figure della pittura di Bram Van Velde, capace di fallire in modo
così prodigioso, mute ad un ascolto fiaccato dai nostri giorni grigi, nascondono
il loro risplendere dietro contorni apparentemente confusi; ma un cuore più
attento, nel suo generoso protendersi, può arrivare ad ascoltare il canto feroce
della dannazione, a scorgere le domande che non riusciamo a formulare e una luce
lontana
Biglietti da 30 a 35 euro
Teatro Comunale Caserta
Tel. 0823442990