Carlo Giuffre’ e Angela Pagano

Peppe Barra

Vincenzo Salemme

Rocco Papaleo

Papaleo ed Esposito

Giovanni Esposito

Carlo Buccirosso

Lina Sastri

Gran varieta'

Marianella Bargilli

Geppy Gleijeses

Ornella Muti, Emilio Bonucci e Pino Quartullo

Glauco Mauri e Roberto Sturno

Eugenio Bennato

  

Teatro Comunale Di Caserta: Stagione Teatrale 2010/2011

Caserta – dal 19 Novembre 2010 al  27 Marzo 2011

Comunicato stampa

Gli spettacoli hanno inizio alle ore 20:45, venerdì e sabato, e alle ore 18:30 di Domenica
da venerdì 19 a domenica 21 novembre, Diana Or.I.S. presenta Carlo Giuffre’ e Angela Pagano in “I casi sono due” di Armando Curcio, regia Carlo Giuffrè (nostro articolo)
NOTE DI REGIA
Fra le tante Commedie che sto recitando da più di 30 anni, da quando cioè ho una mia Compagnia (nei primi 10 anni assieme a mio fratello Aldo e poi da solo), non saprei proprio dire quale sia quella che è piaciuta di più al pubblico.
Ho ricevuto nel 1999 l’ambito premio “Renato Simoni” la cui motivazione fra l’altro dice: sempre più forti e quasi esclusivi con il sopraggiungere della maturità, si sono fatti in lui l’impegno e la responsabilità di “Custode della grande tradizione attorale napoletana”. Ed ecco quindi la mirabile serie di spettacoli destinati a restaurare un repertorio otto-novecentesco con accento nobile da Scarpetta a Curcio, e a mantenere vivo nella coscienza e nel cuore degli spettatori, con un marchio costante e inconfondibile di intelligenza critico-storica, il patrimonio di questo meraviglioso repertorio.
Ho recitato sei Commedie di Eduardo, di Armando Curcio ne ho realizzate tre: “A che servono questi quattrini”, “La fortuna con la effe maiuscola” (scritta con Eduardo) e “I casi sono due”, che fu – nel 1982 - la prima Commedia realizzata con la Diana OR.I.S. di Lucio Mirra, che produce ormai i miei spettacoli da 30 anni.
Fu un inizio travolgente, piacque molto a Federico Fellini, che vide lo spettacolo tre volte e scrisse fra l’altro “Ecco il teatro quello vero che funziona da sempre, come una bella festa fra vecchi amici con cui stai subito bene” e concludeva dicendo ”Nutrendo la speranza che tutto ciò che di spensierato, allegro, buffonesco, patetico, assurdo e straziantemente umano, hai visto accadere su quel palcoscenico, spente le luci e uscito dal teatro, tu possa ritrovarlo fuori nella vita! ”
Il critico Enrico Fiore del Mattino di Napoli scrisse: “E’ uno degli spettacoli più compatti, calibrati e divertenti che si siano visti negli ultimi anni. “
Giovanni Raboni, sul Corriere della Sera scrisse: “Avrò il coraggio di dire che “I casi sono due” di Armando Curcio, messo in scena da Carlo Giuffrè che lo interpreta da par suo, è lo spettacolo più bello di questa stagione?
Si, ormai l’ho detto e spero di essere creduto!
Giuffrè ne ha tirato fuori un capolavoro di intelligenza, di comicità pacatamente irresistibile, di scintillante malinconia”.
Per questo rimetto in scena la Commedia, perché piacque molto allora ai critici e al pubblico, piacque anche quando la ripresi nel 1992 e sono certo che piacerà anche questa volta; avrò dei bravi attori accanto a me e soprattutto avrò la fortuna di avere al mio fianco Angela Pagano, grande amica e grandissima attrice.
da venerdì 26 a domenica 28 novembre, Compagnia Mario Chiocchio presenta Peppe Barra in “Le follie del monsignore” di Peppe Barra e Paolo Memoli, regia Peppe Barra (nostro articolo)
Peppe Barra riporta in scena la storia del mitico monsignor Perrelli, un personaggio realmente esistito nella Napoli del Settecento, che fece tanto scalpore all’epoca da diventare una leggenda metropolitana, tramandata attraverso la cultura orale. Di questa figura rimangono proverbiali, ad esempio, i suoi famosi cavalli, per i quali, mentre muoiono dolosamente di fame, esclama: «Peccato, sono morti proprio quando stavano imparando a vivere senza mangiare!». Le follie del Monsignore – questo il titolo del testo scritto dallo stesso Barra con Paolo Memoli e Lamberto Lambertini – si rifà a quella commedia di Francesco Gabriello Starace che Eduardo De Filippo portò in scena nella stagione di riapertura del ricostruito San Ferdinando nel 1954, con la sorella Titina – alla sua ultima interpretazione – per la regia di Roberto Rossellini. Ma sposta il baricentro dei caratteri sul personaggio di Meneca, interpretato dallo stesso Barra, la perpetua pettegola, tenera, affettuosa, vigile, brontolona e golosa come il suo padrone, che, con il suo modo di parlare popolare e la sua gestualità più antica, fa da contrappunto comico alle smemoratezze, i peccati di gola, le manie e le follie del monsignore. A vestire i panni di monsignor Perrelli è Patrizio Trampetti, autore anche delle musiche eseguite dal vivo da Ciro Cascino al pianoforte e alle tastiere. L’allestimento, prodotto dalla compagnia Mario Chiocchio, è firmato da Annalisa Giacci per i costumi e Aldo Cristini per le scene.
Monsignor Perrelli è un personaggio realmente esistito nella Napoli rivoluzionaria del 1799, che fece tanto scalpore all’epoca da diventare una leggenda metropolitana, tramandata attraverso la cultura orale.
Il personaggio inventato da Peppe Barra, in collaborazione con Lamberto Lambertini e Paolo Memoli, diventa del tutto immaginario, raccontato dalla perpetua Meneca, la quale, attraverso il suo modo di parlare popolare e la sua gestualità più antica, fa da contrappunto alle stramberie di monsignor Perrelli.
Il risultato è comico: un continuo gioco e divertimento col pubblico, che è, poi, la caratteristica del mio fare teatro.
da venerdì 10 a domenica 12 dicembre, Chi E’ Di Scena srl presenta Vincenzo Salemme in “Astice al veleno “ scritto e diretto da Vincenzo Salemme (nostro articolo)
L’astice al veleno è una commedia che ho scritto nell’autunno appena trascorso. E’ basata su un meccanismo comico farsesco ma ha un linguaggio tipico della commedia brillante e romantica. Protagonisti sono Barbara e Gustavo. Lei è un’attricetta, amante, addolorata e delusa, del regista dello spettacolo che sta provando, il quale regista è a sua volta è un inseparabile ammogliato.
Gustavo invece è un pony express che porta in giro pacchi dono per il natale imminente. La vicenda infatti nasce e finisce nella giornata del 23 dicembre. Si svolge nel teatro dove Barbara debutterà tra pochi giorni ma in scena coi protagonisti ci saranno 4 figure molto particolari: sono le statue raffigurate nella scenografia, una lavandaia del cinquecento, uno scugnizzo di Gemito, un poeta rivoluzionario tratto dal Regno delle Due Sicilie, un “munaciello”, figura mitologica dell’iconografia popolare napoletana, che si esprime come un primitivo. Barbara è una bellissima donna ma molto suscettibile e sognatrice e proprio per questa sua fragilità psicologica, parla con queste figure inanimate che però nella sua fantasia prendono vita. Solo lei (e il pubblico in sala) le vede “vivere”. Sono come gli amici immaginari dei bambini. E invece quando in teatro arriva Gustavo col costume di Babbo Natale per consegnarle il dono di una ditta teatrale, anche per lui le statue si muovono. E’ il segno che tra i due c’è molto in comune.
Barbara però per mettere fine alla sua relazione con il regista adultero ha un piano diabolico: invitarlo a una cenetta a lume di candela lì in teatro e avvelenarlo con un vino al cianuro di potassio e poi togliersi la vita allo stesso modo.
Quindi l’arrivo di Gustavo complica le cose perché le statue gli impediscono di uscire dal teatro in modo che la sua presenza renda impossibile il piano omicida di Barbara. Il tutto condito dalle incursioni di un astice vivo da cucinare ma che nessuno ha il coraggio di ammazzare. Infine il ritmo delle battute sarà ammorbidito da una decina di pezzi inediti cantati dai nostri personaggi. L’idea di introdurre questi passaggi musicali in un meccanismo narrativo di genere assolutamente comico rappresenta uno degli elementi di maggiore novità nella mia proposta per la prossima stagione. Sarà uno spettacolo molto natalizio ma non per questo meno adatto a portare nei teatri una ventata di festosa allegria anche negli altri periodi dell’anno.
da venerdì 17 a domenica 19 dicembre, Gli Ipocriti presenta Rocco Papaleo e Giovanni Esposito in “Eduardo: piu’ unico che raro!“ quattro atti unici di Eduardo De Filippo, regia Giancarlo Sepe
La commedia racconta del travagliato tentativo di effettuare la registrazione, in sala d’incisioni, della canzone Adduormete cu’mme. Arriva dapprima il tecnico, poi il direttore della sala, il maestro Scardeca, che “modestamente… aggiustò la Bohème di Puccini”; il violinista Attilio, con la testa fasciata, “colpa del litigio con la sua signora che lo ha violentemente colpito con una spazzola, perché se la “intendeva” con la portinaia”.
Ancora la cantante Fiammetta Flambò, che ama esibirsi esclusivamente in strada, nelle piazze, nei ristoranti, nei bar ma, chissà perché mai nei teatri; il Trombonista Camillo colpito da continui attacchi di tosse convulsa; Nicola il maestro di clarino venuto, “fresco, fresco“ dal dentista che gli ha estirpato i tre denti anteriori; ancora Vincenzo rullante, ovvero il batterista con qualche “piccolo problema” ed infine la vera cantante Clara, moglie di Attilio. Ecco l'orchestra: è al gran completo pronta per l’incisione…
da venerdì 14 a domenica 16 gennaio, Diana Or.I.S. presenta Carlo Buccirosso in “Il miracolo di don Ciccillo” scritto e diretto da Carlo Buccirosso  (nostro articolo)
“Il miracolo di don Ciccillo” vede l’attore napoletano nella triplica veste di autore, regista e interprete. In scena, Carlo Buccirosso è affiancato da una inedita Valentina Stella, nei panni della sanguigna e combattente consorte e inoltre da Gianni Parisi, Gino Monteleone, Tilde De Spirito, Davide Marotta, Claudia Federica Petrella, Sergio D’Auria, Giordano Bassetti e da Graziella Marina nel ruolo di Tata Titina. Le scena sono di Gilda Cerullo, le musiche di Antonio Annona; i costumi sono firmati da Zaira De Vincentiis e le luci sono di Francesco Adinolfi. Carlo Buccirosso porta in scena le vicissitudini di Alberto Pisapìa, ristoratore di professione ormai sull’orlo del fallimento. Gestore di un ristorante di periferia, padre di due figli maschi, Vincenzo e Matteo, l’uno disoccupato, scapestrato e superficiale, l’altro laureato, riflessivo e pacato, Alberto vive, da quasi quattro anni, un disagio psichico che evolve sempre più in un esaurimento nervoso. Sia a causa della crisi economica del Paese che in seguito ad una serie di investimenti avventati, Alberto è costretto a combattere una personale battaglia contro gli spietati attacchi dell’Equitalia. Nonostante le cure e le terapie specifiche messe in atto, dal medico Pasquale Cinquegrana, dall’infermiera Angela e dalla governante Titina, al fine di rappresentare una realtà diversa da quella ben più ingarbugliata, la serenità e la pazienza di Alberto vengono continuamente minate. Ma un altro grosso problema contribuirà a complicare definitivamente la guarigione di Alberto Pisapìa, un ostacolo insormontabile, un male inesorabile che neppure la terapia più all’avanguardia sarebbe in grado di risolvere. La minaccia pestilenziale rappresentata dalla suocera Clementina, presenza che turba l’anima del protagonista perseguitato da perversi pensieri di morte, potrebbe essere eliminata solo grazie ad un “vero miracolo”.
da venerdì 28 a domenica 30 gennaio, Sastreria presenta Lina Sastri in “Per la strada “ scritto e diretto da Lina Sastri (nostro articolo)
Un vicolo immaginario, in una Napoli del presente, una donna con una valigia che, fra canto, musica e danza, snoda un racconto poetico sulla città, sui personaggi che la popolano, sull’amore, la rabbia, la passione e la voglia di libertà; ci racconta dell’amore e dell’odio, della giovinezza e della vecchiaia, del dolore e dell’allegria della speranza e dei sogni , di una città contraddittoria sospesa tra il passato, presente e futuro!
Il testo di Lina Sastri rappresenta il corpo e l’anima dello spettacolo, la voce della protagonista racconta la storia attraverso le musiche, le canzoni, attraverso la danza……Le storie si snodano e si legano fra loro e creano il filo rosso dello spettacolo.
Accompagnano il testo teatrale scritto dalla stessa Lina, canzoni e musiche classiche del repertorio napoletano, canzoni inedite e danze.
da venerdì 4 a domenica 6 febbraio, Teatro Bellini presenta Gabriele Russo e Marcello Romolo in “Gran varieta’” con 20 artisti in scena e orchestra dal vivo, scritto e diretto da Gabriele Russo
Uno spettacolo concepito per rivendicare un genere nato in teatro e rubato dalla televisione, il Varietà. Un genere attraverso il quale sono cresciuti molti fra i più grandi e indimenticabili artisti del passato, basti pensare a Totò, ai Fratelli Maggio, a Nino Taranto, Ettore Petrolini, Leopoldo Fregoli, Macario... solo per citarne qualcuno, nomi che danno il senso e la misura di quanto questo repertorio sia rimasto negli occhi e nella memoria di quanti hanno avuto la fortuna di assistervi. Questo l’humus iniziale che ha spinto Gabriele Russo, autore e regista dello spettacolo, a mettere in piedi un autentico Varietà, con le sue colorate macchiette, i suoi balletti "sgangherati", le sue intramontabili canzoni, i suoi irresistibili sketches, i suoi grotteschi
presentatori e la sua immancabile “passerella”, che all’epoca era forse il momento più atteso ed entusiasmante dello spettacolo...
da venerdì 18 a domenica 20 febbraio, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia - Teatro Stabile di Calabria presenta Geppy Gleijeses e Marianella Bargilli in “L’affarista” di Honorè de Balzac, regia Antonio Calenda (nostro articolo)
«Ah! Conoscete la nostra epoca! Oggi, signora, tutti i sentimenti svaniscono e il denaro li sospinge. Non esistono più interessi perché non esiste più la famiglia, ma solo individui! Vedete! L’avvenire di ciascuno è in una cassa pubblica (…) Vendete gesso per zucchero: se riuscite a far fortuna senza suscitare lamentele, diventate deputato, pari di Francia o ministro!»
Si adatta perfettamente al nostro tempo, questa pungente battuta: tanto che non ci sarebbe nulla di strano a sentirla pronunciare oggi, magari da qualcuno che commenti una delle tante notizie di speculazioni e crisi economiche che punteggiano quotidianamente i giornali…
Invece – e ciò è davvero sorprendente – risale alla metà dell’Ottocento, scritta da Honoré de Balzac e pronunciata da Mercadet, personaggio attorno al quale è concepito Le faiseur - L’affarista, uno dei migliori testi teatrali di questo grande maestro della letteratura realista.
«La commedia di Balzac – spiega Antonio Calenda, che firmerà la regia dello spettacolo – possiede una stringente attualità, un incredibile impatto sul lettore contemporaneo, poiché tratta temi molto sentiti, come la frenesia e l’immoralità delle speculazioni economiche, lo spietato gioco delle Borse, il mondo losco e cinico degli affari. Proprio il modo incisivo, realistico e allo stesso tempo molto ironico in cui l’autore raffigura questo universo ambiguo, e la sua perfetta, significativa attinenza con il nostro presente, mi ha indotto, assieme a Geppy Gleijeses, a incentrare su questo testo un nuovo progetto di produzione, che vede unito l’impegno del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e del Teatro Stabile di Calabria».
L’allestimento prevede infatti un onere notevole sul piano produttivo, con una compagnia efficace e numerosa a dare vita alle variopinte e sfuggenti figure che attorniano il protagonista Mercadet, a cui Geppy Gleijeses offrirà tutta la sua versatilità e le sue risorse interpretative. Si tratta infatti di un personaggio monomaniaco, vigoroso, geniale e cialtrone, un carattere eccezionale, degno della grande Commedia umana di Balzac.
Mercadet vive nel perseguire la sua unica fondamentale idea fissa, quella di arricchire, speculare: è mosso da una sorta di libido del denaro, che vive come una nevrosi esistenziale. Gioca in Borsa con denari che – in realtà – non gli appartengono. Egli è infatti sull’orlo della bancarotta, assediato dai creditori: una crisi, che fin dall’inizio imputa al socio Godeau, andato con la cassa a cercar fortuna nelle Indie e di cui nulla si sa più.
Ma nell’attesa di Godeau, Mercadet non resta beckettianamente inerte, tutt’altro: certo che il motore della società moderna sia il denaro e che l’onore sia fondato ormai sulla sola apparenza, usa la moglie quale stendardo della propria fortuna e la costringe a partecipare elegantemente abbigliata a ogni occasione mondana.
Un modo per “truccare” il mercato in proprio favore, per tenere in pugno i creditori, ancor più sensibili di lui al miraggio del facile guadagno. Così ottiene le loro azioni e addirittura i risparmi dei propri servitori per i suoi maneggi finanziari. Cerca anche di maritare la figlia bruttina – interpretata da Marianella Bargilli, una delle più interessanti attrici italiane della sua generazione - a un dandy presuntamente abbiente che si rivela poi uno spiantato… ma i suoi piani s’incrinano. Metterà addirittura in scena il ritorno del suo socio e sarà proprio nel gioco degli arrivi falsi o ipotetici di Godeau che troverà la salvezza a un passo dal baratro, ottenendo che ogni cosa si ricomponga sul piano economico, degli affetti, come pure su quello della morale a cui Mercadet, sospinto dalla moglie e dai burrascosi eventi, alla fine s’inchina (ma possiamo credergli?), ritirandosi in campagna a vivere di un lavoro onesto.
da venerdì 25 a domenica 27 febbraio, Mythos Group presenta Ornella Muti, Emilio Bonucci e Pino Quartullo in “L’ebreo“ di Gianni Clementi, regia Enrico Maria Lamanna  (nostro articolo)
Era l'anno della nevicata a Roma, quella del '56, anno in cui prende corpo la storia de L'Ebreo, premio Siae - Eti - Agis scritto da Gianni Clementi. Era da un po' che io e Gianni ci inseguivamo: quel suo saper raccontare storie, semplicemente storie, quel suo amore verso il dialetto romano, alzato finalmente a lingua, erede di Monicelli, Risi, ma ancor più di Age e Scarpelli e di Suso Cecchi D'Amico. E così che amo la drammaturgia contemporanea, sempre pronto a creare i classici del 2000, resto folgorato da Gianni e parto con L'Ebreo. E ne ricreo i sapori, le atmosfere di una Roma che fu, quella del '56 appunto, nel pieno dopoguerra, ma dove però la capitale era in mano ad una classe di "cafoni arricchiti", che vivevano di usura e di proprietà usurpate o acquisite dagli ebrei padroni di palazzine per la città di Roma e nel ghetto, che lasciavano in consegna alla servitù i propri averi prima di essere deportati, con l'impegno di riaverli al ritorno. Molti non sono tornati, pochi sì. Ed ecco la storia di Clementi: cosa succede se improvvisamente una famiglia proletaria si trova proprietaria di svariati beni, e la ricchezza li rende avidi, cattivi e sciacalli, che cosa succede se sempre improvvisamente si ripresenta l'Ebreo, legittimo proprietario, a richiedere dopo 13 anni i propri averi? Mi trovo ora a dirigere Ornella Muti, al suo debutto teatrale. Per Ornella alias Francesca alias Immacolata (la protagonista) trovo un registro popolare, violento, arrabbiato, e se in Notturno di donna con ospiti di Ruccello l'Adriana di Giuliana De Sio al finale rivelava una Medea metropolitana, qui l'Immacolata di Ornella, sotto la neve che imbianca la capitale, rivela una lady Macbeth de nonatri, dolorosa e folle, vendicativa e selvaggia. Con grande umiltà Ornella ha indossato i panni di Immacolata, lasciandosi guidare nel dedalo ironico-tragico del personaggio pronto a tutto. Grazie, Ornella, di avermi dato l'onore di portarti fin qui, e di avermi fatto aprire, durante le nostre sessioni, porte dentro di te chiuse. Accanto a lei Emilio Bonucci, già da me diretto ne La formula, attore straordinario, modernissimo, generoso. Allora si trovava a battezzare il debutto di Rosalinda Celentano, ora di Ornella Muti, nel ruolo del marito debole, sciatto, solo, nostalgico. E infine Pino Quartullo, regista - attore, ma soprattutto amico. Da tempo ci inseguivamo, ed ora eccoci qui. lo e lui, registi di un'epoca difficile, ma che ripaga con questi incontri, Lui e Tito, idraulico, amico di famiglia, simpatico, rozzo. E se il marito rappresenta una Roma che fu, e Tito una Roma naif forte e greve, Immacolata Ì certamente il nuovo che avanza, che perde il concetto di valori e si accanisce anche contro se stessa. E il percorso sonoro di questo spettacolo ci porta attraverso un film in bianco e nero, un po' del tipo Poveri ma belli, ma anche un film dove Immacolata diventa pure una creatura della cinematografia di Aldrich degli anni '60, e penso alla perfidia di Olivia De Havilland in Piano, piano, dolce Carlotta, ma dove riecheggia, invece, l'urlo della Magnani “Francesco!... Francesco!. ..”, l'urlo della sopravvivenza.
da venerdì 4 a domenica 6 marzo, Compagnia Mauri Sturno presenta Glauco Mauri e Roberto Sturno in “L’inganno“ di Anthony Shaffer, regia Glauco Mauri (nostro articolo)
Nel 1972 Anthony Shaffer (fratello gemello di Peter Shaffer, autore dei fortunati Equus e Amadeus) ricevette il prestigioso “Premio Award” per la migliore commedia dell’anno Sleuth, che cominciò così la sua fortunatissima carriera teatrale.
Sleuth thriller-psicologico, lo definì subito la critica, che nell’elaborazione di Glauco Mauri prende il titolo di L’inganno, ebbe un tale successo che fu, per ben due volte, adattato per il cinema. Nel 1972 con la regia di Joseph L. Mankiewicz con Laurence Olivier e Michael Caine, e nel 2007 con la regia di Kenneth Branagh, con Michael Caine e Jude Law e la sceneggiatura di Harold Pinter
La prima teatrale della commedia fu a Londra, al Ambassadors Theatre con Anthony Quayle e Keith Baxter diretti da Clifford Williams, successivamente la pièce debuttò al Music Box Theatre di Broadway. Nella città di New York rimase in scena per ben 4 anni mentre a Londra le repliche si protrassero per 8 anni. Citiamo anche il fortunato adattamento francese dal titolo Le Limier che vide tra i suoi interpreti principali Jacques Weber e Philippe Torreton, e rimase in cartellone a Parigi per più di una stagione. Tuttora lo spettacolo viene replicato nei maggiori teatri di tutto il mondo.
Qual è il motivo di tanto successo e tanto gradimento del pubblico? Anthony Shaffer certamente propone in questo suo testo tutte le sue abilità di sceneggiatore di gialli. Di rilievo sono le sue collaborazioni con Alfred Hitchcock e numerosi sono gli adattamenti per lo schermo di alcuni dei più famosi romanzi di Agatha Christie.
Ma c’è qualcosa di molto di più nel fascino di questa commedia: ironia, dramma, gioco, comicità e sorprendenti colpi di scena danno a questo testo il dono di creare un’ atmosfera di grande divertita tensione. Due uomini giocano a ingannarsi, a ferirsi nei loro più intimi sentimenti in un gioco che spesso sfocia in una farsa feroce. Ma, come accade spesso nella vita, la farsa che umilia le debolezze dell’uomo si tramuta in un dramma dove l’uomo rimane vittima di se stesso. E non a caso il gioco termina con lo sghignazzo di un pupazzo meccanico che inerte ha assistito alla scena e che ci dice, lui senza anima, quanto pazzi siano gli uomini che giocano a ingannarsi e a farsi del male.
Si ride, ci si diverte ma ci si ricorda anche che l’uomo rimane sempre il protagonista, nel bene e nel male, del suo destino.
da venerdì 11a domenica 13 marzo, Just in Time srl e C.C.T.M. Circuito Campano Teatro e Musica presenta Eugenio Bennato & Orchestra Popolare Del Sud in “Briganti Emigranti“, un progetto di Nunzio Areni, direzione artistica di Eugenio Bennato
ORCHESTA POPOLARE
Gianni Giordano (Pignataro) tammorra e voce, Giacomo D’ Angiò (Pignataro) voce e ciaramella, Peppe Rotolo (Pignataro) voce, Lucio Palumbo (Pignataro) zampogna, Ivan Virgulto (Pignataro) voce e chitarra battente, Luca Natale mandola, Anna Rosa Vanore (caserta) canto e castagnette, Annalisa Messina (caserta) voce, Fiorella Federici (caserta) voce e ballo, Daniela Bonvento (calabria) Viola e lira calabrese, Chiara Capria (calabria) violino, Lorena (calabria) violino e viola, Minni Diodati, (campania) voce, Giavanni Perilli.
GRUPPO EUGENIO
Erasmo Petringa , Ezio Labiase chitarra, Stefano Simonetta basso, Vincenzo Gagliani percussioni, Mohammed Ezzaime Al alou voce, Sonia Totaro voce e ballo, Esha Tizafi voce.
Da venerdì 18 a domenica 20 marzo, Biagio Izzo in “Guardami Guardami” diretta da Claudio Insegno (nostro articolo)
Una farsa dell’amore con uomini e donne al centro. Un gioco che si ripete da sempre ma che trova nuovi spunti di fronte ad una società in continua trasformazione.
La vita coniugale di una giovane coppia fa da sfondo alla storia dove i protagonisti sono lui e lei. Lei, la fede nell’amore “fonte del nostro essere che unisce le cellule della vita e crea intorno l’energia positiva che porta verso la realtà assoluta”. Lui, una sola fede, (LA SQUADRA DEL CUORE) un solo grido: “Noi saremo sempre qua… finché il Napoli vincerà, perché il Napoli è la squadra degli Ultrà”.
L’amore muove il sole, le stelle e tutto l’universo, pensa lei. Lui pensa invece che l’amore sia peggio di uno tsunami: una forza della natura; un tornado che può abbattersi sulla tua casa, che ti scoperchia il tetto lasciandoti sul lastrico.
La storia va avanti così da secoli, incentrata com’è sulla visione diversa dell’amore di lui e di lei. Lei che non sopporta il pensiero che lui la tradisca, nemmeno col pensiero. Lui che non ha altri pensieri, e pensa solo a quello. Lei e il dubbio che la martella, il sospetto che non le dà tregua: lei che non dà tregua a lui. Uno dei disastri più frequenti che l’umanità ha dovuto affrontare nel corso della storia risiede proprio nell’incapacità di arginare il dramma dell’amore usando il cervello.
Una commedia, la vita, tutta da ridere, con uomini e donne, polarità opposte ma complementari, alla ricerca perenne di una dimensione dove si possano incontrare. Mission impossible? Sembrerebbe di sì. Ma uomini e donne continuano a rincorrersi, come i protagonisti della nostra storia, con lei sempre più convinta che, nonostante tutto, “l’amore è l’essenza della vita e guai a chi me lo tocca”; e lui sempre più proteso ad affinare l’arguzia, l’astuzia, l’espediente; a sperimentare nuove soluzioni, in cerca dell’invenzione geniale, del “rimedio”, perché il venerdì sera c’è il tavolo con gli amici e guai a chi me lo tocca. Ma è solo una farsa la nostra; una via oltre l'uomo e la donna capace di offrire un nuovo presente, una armonia diversa, in una finta realtà.
Da venerdì 8 a domenica 10 aprile, Teatro Stabile di Napoli, Nuovo Teatro Nuovo "Atto senza parole" e altri testi di Samuel Beckett traduzioni di Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Camillo Penati con Tommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca, Franco Javarone scene Francesco Ghisu costumi Annapaola Brancia D’Apricena musiche Francesco Forni disegno luci Luigi Biondi drammaturga Francesca Manieri regia Pierpaolo Sepe  (nostro articolo)
Fallire senza paura.
L’irrappresentabilità dei colori dell’anima porta ad un inevitabile fallire. Anche quando, come in Beckett, l’irrappresentabile viene raggiunto e percorso. Tutto quanto viene escogitato per evitare o nascondere il fallire, è il male, ciò da cui bisogna difendersi. La convenzione, il canone, il sentire comune, il condivisibile, l’aggregante, altro non sono che allontanamenti, compromessi, paura di restare soli. Questa è la regola, questo è per me avvicinarsi a Beckett. Questi i presupposti di ATTO SENZA PAROLE; spettacolo che mi accingo a costruire insieme a quattro interpreti, capaci di restituire il disordine della disperazione ed il ridicolo che ne consegue. Personaggi senza speranza e senza redenzione, privati della retorica del dolore, armati di cattiveria e rancore, colti nell’attimo che precede la risposta, ancora nell’atto di inseguire una possibilità di dignitosa sopravvivenza, un ordine, un senso misterioso. Mortificati pagliacci, traditi da un’incomprensibile esistenza, camminano in cerchio. Come figure della pittura di Bram Van Velde, capace di fallire in modo così prodigioso, mute ad un ascolto fiaccato dai nostri giorni grigi, nascondono il loro risplendere dietro contorni apparentemente confusi; ma un cuore più attento, nel suo generoso protendersi, può arrivare ad ascoltare il canto feroce della dannazione, a scorgere le domande che non riusciamo a formulare e una luce lontana

Biglietti da 30 a 35 euro
Teatro Comunale Caserta
Tel. 0823442990

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