Teatro Don Bosco: Capasciacqua
Caserta – 14 Novembre 2007
Articolo di Marilena Lucente
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Caserta, 14 Novembre. “O’teatro. Mi aspettavo gente che rideva, che
andava avanti e indietro. Invece, guardate qua! Che solitudine”, dice Palmira
Portarapillo ad un certo punto dello spettacolo. Un po’ sperduta, nel teatro
come nella vita, Palmira (Marina Confalone) sta aspettando il regista (Pino
Strabioli), per fare, finalmente, un provino. Lei non ha mai recitato, lui
sta per portare in scena uno spettacolo sensazionale. E, rapito dal sacro furor
dell’arte, tratta con sufficienza tutto il resto. I suoi pensieri corrono solo
alla scenografia, alle luci, alla qualità delle interpretazioni. Invasato,
distratto, presuntuoso e egocentrico com’è lascia su due piedi l’aspirante
attrice, in compagnia di una sedia. Solo una sedia, tutto il tempo al centro
della scena vuota.
Ma a teatro si sa, non contano solo gli oggetti. Gli spettacoli sono fatti di
storie, di voci, di immagini, di musiche. E allora Palmira lo riempie con i
suoi racconti strampalati di zie e vicine della scala A, di canzoni e di
poesie, di incontri fugaci e fughe mai tollerate. I personaggi appaiono e
scompaiono, alcuni sono fatti di parole, racconti dettagliati, minuziosi,
esagitati di Palmira, altri appaiono sulla scena in carne e ossa, nelle
versatili interpretazioni di Pino Strabioli, che indossa con uguale
divertimento i panni di un vagabondo rumeno dai capelli color pannocchia e
quelli di una vecchia sdentata.
Palmira parla di sé, o meglio di Capasciacqua, il nome con cui l’hanno sempre
chiamata, l’aggettivo giusto per la sua scarsa intelligenza. “E vero!”,
riconosce orgogliosa lei, più volte, nel corso dello spettacolo. La chiamano
così perchè non le riesce proprio di combinare qualcosa di buono nella vita. E
perchè mentre nessuno credeva in lei, lei aveva fiducia in tutti, senza mai
venir meno al suo sguardo partecipe, coinvolto, e qualche volta attonito.
Anche il provino, deve farlo per forza di un equivoco, di una semplice parola,
compresa male. O forse no.
Lo spettacolo scivola da un racconto ad un altro, con la ricca e vivace
recitazione di Marina Confalone, che dà voce a tutte le avventure sentimentali
e drammatiche della donna. Con lei si ride per non piangere o per non farsi
prendere dalla malinconia.
E poi, mentre Capasciacqua continua a sentirsi stupida, il mondo va avanti con
le sue meschinità, e la sua profonda, inconsapevole stupidità. Persino il
regista, si scopre via via, è sì rapito dall’arte ma al tempo stesso non
disdegna la seduzione e la corruzione, in più, specula sui finanziamenti
ministeriali per gli spettacoli. Davvero: che solitudine!
E mentre la storia – scritta da Luciano Santarelli e dalla stessa Confalone -
procede, intrecciandosi con le riflessioni sul teatro e sulla vita al di qua
del palcoscenico, Capaciacqua continua a posare i suoi sguardi stupidi e
stupiti sul tutto. Sino all’epilogo finale.
Un altro equivoco ancora e Capasciaqua diventa prima attrice, il regista trova
in lei la sua musa. Che il mondo continui ad andare per conto suo: il teatro si
riempirà presto di gente, che avrà tanta voglia di ridere. |
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