Intervista a Carlo Buccirosso

Maddaloni, 14 Gennaio 2008

a cura di Gianluca Sacco

Maddaloni, 14 Gennaio. Al termine dello spettacolo, al Teatro Alambra ‘Vogliamoci tanto bene’, scritto e interpretato dal validissimo Carlo Buccirosso (leggi recensione) , l'attore napoletano accetta gentilmente di rispondere ad alcune nostre domande

Gianluca Sacco: Signor Buccirosso crede che la difficoltà di inserirsi nel mondo del teatro, freni i giovani autori dallo scrivere testi?
Carlo Buccirosso: Vede, è anche il contrario.

G.S.: In che senso?
C.B.: Nel senso che io non vedo un grande fermento, non ci sono tutti questi giovani autori, o almeno non producono testi significativi. Comunque sicuramente i produttori sono restii nel dare fiducia e questo può frenare, prenda me ad esempio, pur avendo un grande seguito a livello di pubblico, a causa del mio modo di scrivere poco ‘popolare’ , i produttori non vogliono farmi fare tournè internazionali, ovvero toccare regioni oltre il Lazio. Comunque spero vivamente che i giovani autori si facciano avanti, ovviamente parlo di autori di testi teatrali, di cabarettisti ne abbiamo a dozzine.

G.S.: Anche perché se poi i risultati sono come lo spettacolo che abbiamo visto….
C.B.: Me lo auguro, perché i soldi chiamano i soldi, il successo chiama il successo….ovviamente soldi intesi come gente che viene a teatro , visibilità che viene dato al teatro stesso e possibilità di scrivere e portare in scena altre commedie.

G.S.: Secondo Lei riproporre commedie di altri autori, testi già scritti, uccide la fantasia?
C.B.: Sicuramente. In fatti nel nuovo spettacolo che ho scritto , ‘Napoletani a Broodway’, scrivo appunto delle difficoltà del teatro, riagganciandomi alla domanda di prima, in modo molto brillante e divertente. E lo spettacolo gioca appunto su questo, ponendo particolare accento sulla ‘tradizione’ appunto che molte volte non aiuta per niente. Appunto rifare sempre gli stessi spettacoli non solo non ci da niente umanamente ma neanche socialmente e artisticamente.

G.S.: Quanto conta la componente spontaneità nella recitazione e quanto una preparazione ‘accademica’?
C.B.: Secondo me la spontaneità è fondamentale, è un po’ il segreto di quelle cose che ho insegnato, o spero di aver insegnato, dando un po’ di me, ai ragazzi che sono con me, che hanno dei tempi teatrali secondo me importanti ed hanno questa naturalezza di base che è essenziale per tutto, gli insegnamenti accademici hanno un po’ il tempo che trovano, insomma non credo siano fondamentali. Poi io sono uno di quelli che crede fermamente che questo mestiere bisogna averlo dentro, che ci sia del talento, perché sennò (scuote il capo), gli studi servono solo per perfezionare.

G.S.: I ragazzi che recitano con Lei vengono dal suo laboratorio teatrale?
C.B.: Si, sono ragazzi che frequentano il mio laboratorio da diversi anni, chi da dieci, chi da dodici, e ovviamente iniziano ad emergere, e credo sia giusto lo facciano al mio fianco dopo tanti anni di ‘convivenza’.

G.S.: Un’ ultima domanda, secondo Lei cosa dovrebbe rappresentare il teatro e invece cosa rappresenta oggi?
C.B.: Vede, il teatro ha sempre rappresentato un momento di svago e spesso si sottovaluta il significato di ciò al quale si sta assistendo. Secondo me il teatro dovrebbe essere preso un po’ più sul serio, sempre come un’occasione di farsi quattro risate ma guardando tra le righe. Comunque vedere i teatri pieni ogni sera, soprattutto di ragazzi è incoraggiante e già questo basta.

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