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I Raduni Conviviali

A Sessa Aurunca le cene "conviviali" si ripetono per tutti i Venerdì di Quaresima.

Articolo di Alberto Virgulto

Vico Seggetiello è il toponimo di uno dei tanti caratteristici vicoli medievali di Sessa Aurunca, che formano un labirinto fittissimo intorno alle storiche mura della Città antica. Parallelo a via Garibaldi e via Delio, è così chiamato perché qui si trovava uno dei quattro seggi dei nobili.
In questo vicolo, a circa 10 metri, subito dopo l'edicola dedicata alla Vergine Addolorata, vi è un'antica "cantina" tenuta sempre in gestione dalla stessa famiglia ormai da generazioni che è stato ed è punto di incontro per confratelli e laici, tutti rigorosamente di sesso maschile, che si ritrovano il Mercoledì delle Ceneri, seduti intorno allo stesso tavolo, allo stesso posto occupato negli anni precedenti, per consumare, dopo le abbuffate di cibi grassi fatte durante il carnevale, la cena di magro, nella quale i cristiani usano simboleggiare e rievocare l'ultima cena che Gesù tenne con gli Apostoli e realizzare la comunione e l'unione con Dio.  Essa fu anche la cena pasquale, in pratica la cena della pasqua ebraica che commemorava la liberazione degli Ebrei dall'Egitto.
Raduni più intimi si svolgono in case private: qui i cantori "ufficiali" ne approfittano per intonare la propria voce al canto degli Inni Sacri del Benedictus, del Te Deum e del "toccante" Miserere, senza che nessuno osi turbare l'atmosfera di austera devozione che è nell'atto. Da questo momento si dà ufficialmente inizio alle cene "conviviali" che si ripetono per tutti i Venerdì di Quaresima.
In senso storico, presso i romani antichi, era il pasto principale della giornata, che iniziava nel tardo pomeriggio e si protraeva fino a notte inoltrata. Sono tanti gli elementi che costituiscono la sostanza di questi riti: la storia antichissima della città e un bagaglio notevole di memorie delle antiche tradizioni che si perpetuano in ambito chiuso e ristretto, perché nulla è dimenticato e tutto è sempre rispettato anche se l'atteggiamento ricorrente è di apparente indifferenza.
La memoria collettiva popolare, avvalorata dalla documentazione storica, ci testimonia che neppure gli eventi bellici della I° e II° guerra mondiale hanno fermato, la lenta e malinconica "danza" del popolo degli incappucciati. Vi è riuscito, nell'anno 1967, un umile frate venuto da Gubbio che modificò, in senso positivo, la tradizione impartendo ordine e decoro alla rievocazione del Cristo morente ormai degenerata in banchetti orgiastici, in cui confratelli e laici gozzovigliavano a dismisura, tralasciando il senso religioso dell'evento che ha sconvolto il mondo, la morte per crocifissione del Figlio di dio fatto Uomo.
Finalmente si sono ritrovati, un altro anno è trascorso nella quotidianità della vita e per i conviviali lunga è stata l'attesa. Nei loro occhi, nei loro gesti,
nel loro modo di porsi trapela quella particolare sensibilità di un popolo che avverte intensamente una tradizione antica, di cui non si può fare a meno. Una manifestazione che è integralmente legata e intrecciata nella storia della Città, sempre presente nei secoli precedenti e immediatamente successivi alla cristianità che si lega alle vicende del medioevo e attraversa l'evo moderno giunge fino a noi.
Qui ogni angolo è storia: Romana, Barbara, Normanna, Spagnola, Borbonica; ed è proprio tra questi vicoli, al passaggio del corteo funebre del Cristo-Uomo, nel buio della notte, tra la scarna luce dei lumini accesi sui balconi e il tepore dei falò, il tempo sembra non aver età. Tutto è misticamente sospeso nell'eccitante e vibrante infinito di questa verità ritualizzata.

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