Photogallery


Foto e testo, ove non diversamente specificato
© Casertamusica

Diritti riservati


  

L’arte, il confine, la parola. Conversazione con Andrea Sparaco

Nel suo studio di Santa Maria Capua Vetere, marzo 2011.

Articolo di Giorgio Agnisola

Una via periferica dell’antica Capua, un vecchio cortile, nello studio di Andrea. Un laboratorio del presente e un archivio della memoria. Un laboratorio sereno, che a prima vista appare più un pensatoio che un’officina artistica. In effetti è l’uno e l’altra, contemporaneamente, in un gioco di sovrapposizioni reali e immaginarie che trovano coniugazione nella geniale personalità dell’artista, nel rigoroso registro della sua arte fantastica e controllata, poetica e concettuale.
Andrea è il maggiore artista vivente della Terra di Lavoro. Sulle sue tracce è possibile rileggere l’arte di una terra, dal dopoguerra ad oggi, con le sue implicazioni storiche, le sue battaglie culturali e politiche, le sue tappe espositive.
Andrea è artista filosofo. La sua arte si rappresenta in una elaborata costruzione formale, in una immagine tesa a riprodurre una realtà suggestivamente pensata come modello metaforico di una struttura interna della vita, costantemente affiancata da una interpretazione filosofica del linguaggio visivo e dei suoi risvolti esistenziali: una speculazione vissuta con un singolare senso della forma, intesa sia come luogo energetico, sia come “struttura” dinamica esposta ad una sorta di filogenesi spirituale. Interessano una tale concezione della materia e della sua espansività immateriale i concetti di limite e di confine.
La cifra sperimentale e affinatissima dell’arte di Andrea non è solo linguistica, non è solo mentale, è altresì poetica. Se la forma contiene la vita e se la vita, prevedibile e imprevedibile, si concilia sempre con una idea e con un sentire, e se ancora la vita è misteriosa e dunque l’idea è misteriosa, allora il gioco linguistico che l’artista pone in essere non è solo metafora, ma altresì disvelamento della propria esistenza. E’ questo il confine estremo dell’arte di Sparaco, leggibile soprattutto nelle opere recenti, collage composti a più piani prospettici, quasi a creare multipli spazi semantici, inclini alla metafora psicologica e alla ricerca di senso.
Una metafora calma, nonostante la cifra tesa del linguaggio, che testimonia di un cammino artistico unitario e sapiente, in cui il particolare converge nel più generale disegno intuitivo, senza perdersi, conservando la bellezza e l’identità del frammento.

Andrea, qual è la tua idea di arte?

Per me l’arte è un luogo conciliativo. Ciò che più stride nell’ordinario, nel fare artistico si armonizza. Per questo l’arte mette in crisi il senso comune, la rigidità delle convenzioni, rompendo gli equilibri ossificati e attuando una sorta di permeabilità dello spirito, spingendo lo sguardo oltre l’opacità delle cose.
Del resto, la mia attività di artista si è caratterizzata da sempre come ricerca al servizio dell’uomo, come contributo ideativo e culturale ai nobili obiettivi della politica, campo di sperimentazione delle sue più ardite ipotesi di mediazione. Nei miei “innocui” giochi estetici assemblo materiali molto diversi tra di loro, facendo in modo che per contrasto o per opposizione ciascuno di essi esalti la diversità dell’altro, nella logica della determinazione, della bellezza, dell’armonia. Come per analogia fa fare la politica con i suoi sofisticati strumenti di mediazione, quando prova a trasformare i contrari in categorie dialoganti.

Quale rapporto esiste tra immagine ed emozione?

L’emozione, ogni emozione, segnala una necessità comunicativa. E’ un sintomo complesso, che può procurarci tanto piacere che disagio, di cui quasi sempre non riusciamo a comprendere il senso e determinare la portata. Ne siamo posseduti, non di rado sopraffatti negli angoli bui e angusti della nostra intimità. L’emozione provocata da un’opera d’arte invece in genere ci procura una straordinaria sensazione unificante, ci fa sentire coesi e solidali con il resto dell’umanità, in una sorta di esaltante sospensione segnata da un senso di misteriosa e intima attesa. E’ come se quell’emozione, facendo emergere in superficie i rigurgiti più antichi e profondi di una memoria collettiva, si fosse improvvisamente attrezzata di un linguaggio capace di portarci fuori dal recinto individuale e di condurci, estasiati e commossi, in una esaltante esperienza universale.

L’arte determina sovente uno stravolgimento degli elementi visibili delle cose. Anche quando riproduce la realtà, non ne è mai lettura distaccata, ma sua reinvenzione. Come interpreti questo processo metamorfico, alla luce della tua esperienza?

Ho sempre pensato che l’azione metamorfica dell’arte abbia la funzione di attenuare l’opacità di ciò che appare allo sguardo fisico. Ciò per facilitare l’emersione di quanto per i motivi più svariati non si rappresentano nella realtà visibile. Naturalmente questo non significa che l’arte sia capace di portare ogni cosa in superficie e in maniera esaustiva. Anzi l’arte riguarda proprio il gioco tra ciò che è esibito e ciò che è nascosto. Il compito dell’artista, consapevole e inconsapevole, è quello di organizzare il tutto in una visione d’insieme che, senza modificare le logiche delle interne connessioni della vita, renda queste ultime chiare e leggibili, almeno sotto il profilo intuivo, conservandone la complessità.

La complessità del resto può dirsi un carattere dell’arte e dello stesso artista…

Certo. L’artista è sempre alle prese con questioni irrisolvibili e con domande che non possono avere risposte. In questo consiste la sua inutilità e, forse, la sua grandezza…

Parli sovente per spiegare il linguaggio artistico di connessioni, di interazioni, di complessità. Sembra implicita nel tuo pensiero l’idea di una materia intesa come meccanismo, per quanto misterioso, di cui l’artista è in qualche modo rivelatore. Ma come interagisce nell’atto della creazione tale meccanismo con la realtà fenomenica, col mondo visibile, con l’altro da sé, con il mondo?

In principio le parole ci vengono date in dotazione solo per nominare le cose, funzione che rimane fissa e invariata nel tempo e nello spazio. Solo successivamente scopriamo che esse costituiscono anche una sorta di “delega” a registrare in forma di memoria tutte le esperienze relazionali con gli oggetti che esse stesse nominano: esperienze che ci vengono restituite evocativamente ogni volta che quelle parole vengono scritte o pronunciate. La parola quindi ha almeno due tipi di contenuti, il primo esplicito, chiaro e diretto, ed è quello che fa guardare tutti dalla stessa parte, verso lo stesso oggetto; il secondo differenziato e in continua mutazione, in quanto si fonda e rifonda sulle nostre soggettive esperienze. Ed è tra queste due esigenze che si gioca la partita della comunicazione.

Dunque l’arte potrebbe dirsi in qualche misura un luogo dell’ordine e della significazione…

Certo. L’arte non solo porta in superficie le istanze del profondo, ma ordina altresì il mondo, lo rende visibile mediante un codice aperto che conserva tuttavia il senso di complessità della vita; e che può essere altresì spazio di analisi, radiografia dell’essere e del sentire profilati dallo sguardo.

Del gioco, come via creativa, parli spesso. Cosa rappresenta per te, per il tuo lavoro?

E’ un percorso intrinseco e rivelativo. E’ connesso con il linguaggio, può partire da esso. Ma viene da lontano, dalle radici creative e intuitive dell’uomo.
Uno degli esercizi frequenti della critica sperimentale e dell’arte linguistica è quello di partire da un testo, in cui si cancellano progressivamente parole e segni. Ciò non determina solo un cambiamento di contenuti e significati espressivi. In esso si attua una vera e propria liberazione del testo, più esattamente la liberazione di alcuni significati e la negazione di altri. Il testo cambia nella sua essenza, quella connessa con la storia di ciascuno.

Parliamo dell’artista, del suo lavoro, della sua attitudine. Qual è il suo ruolo rispetto alla costruzione della società?

L’artista è una figura singolare. Non si pone obiettivi precisi, almeno in prima istanza. Per sua natura è sempre alle prese con questioni irrisolvibili e con domande che possono non avere risposte. In ciò è forse la sua inutilità e la sua grandezza.

Ma l’artista è anche colui che metaforicamente rende possibile l’impossibile, non si arrende dinanzi alle evidenze, le forza, le travalica. La sua utopia del possibile è l’evidenza dell’impossibile.

Direi che il dilemma dell’artista è qui, nel gioco tra possibile e impossibile, laddove nell’artista non esiste alcuna preferenza accordata a priori all’uno o all’altro. Anzi c’è nel suo lavoro come un’interscambio, un rimescolamento continuo di ruoli: l’impossibile diventa spesso possibile nell’esercizio dell’arte e viceversa.

A proposito della funzione sociale dell’arte tu fai spesso un parallelo suggestivo tra le forme dell’arte e le regole della politica. Vuoi parlarne?

Entrambe non sono verità definitive, ma contenitori di possibilità e sollecitazioni culturali che si rigenerano di continuo. Esiste dunque un legame sottile e profondo tra le prime e le seconde. Una cattiva politica nell’universo metaforico può leggersi come un disarmonia estetica. Per converso una buona politica genera armonia.

Il concetto di confine è uno dei luoghi metaforici della tua ricerca. Il confine non ha un assetto statico, è una struttura dinamica, può subire le alterazioni di un gioco casuale e misterioso…

Gli uomini, gli animali e le cose, per il solo fatto che esistono, entrano in relazione, interagiscono. E’ come se i corpi uscissero dal recinto della propria forma per occupare tutti gli spazi disponibili e provocare quegli echi e quelle risonanze che testimoniano del loro stesso esistere. Questa necessità reale ben presto diventa gioco a prevaricare e a prevalere, degenera, si trasforma in contrapposizione diffusa e spesso in drammatica conflittualità. Nasce il problema di regolare i rapporti su un piano di condivisione molto alto, magari in prossimità dell’armonia e della bellezza. A questo punto i temi della mia riflessione politica sforano per diventare contenuti metaforici della mia ricerca estetica.

Con queste premesse, in quale relazione sono dunque il “dentro” e il “fuori” dei corpi...

Dentro e fuori sono concetti intercambiabili. Dipendono da dove mi trovo. Io mi immagino la forma come metafora del dentro e del fuori. Ne deriva l’istituzione di un diaframma permanentemente in discussione. Confine è metafora di un equilibrio dinamico. Virtuale e reale al tempo stesso. D’altro canto il dentro e il fuori sono due delle infinite connotazioni che possono caratterizzare una collocazione. Di quanti fuori e di quanti dentro è fatto l’universo? Di quanti dentro e di quanti fuori è fatto l’uomo? Esisterà un momento in cui riusciremo a decidere di essere dentro all’ultimo dentro in quanto ci troviamo fuori ad un dentro che non consente accessi o dentro un dentro che non consente altri fuori?

La tua idea e la tua immagine di confine possono dunque legarsi ad una serie di interpretazioni della vita sociale, come quelle connesse con la figura dello straniero o con il concetto di proprietà. ..

La vita stessa appare nella sua astrazione formale una interminabile sequenza di comparti, separati e spesso contrapposti. E’ tale frammentazione a generare le categorie del fuori e del dentro con le annesse conseguenze concettuali, come sono in definitiva le definizioni di indigeno e di straniero. Si tratta di definizioni ambigue, che creano inevitabilmente disagio. Sicché in nessun luogo si è a casa, come ha scritto poeticamente Ungaretti. Dove siamo appare sempre più una occupazione indebita, come se ci aspettassimo che da un momento all’altro quello stesso luogo che oggi abitiamo possa essere occupato da altri.

Vuoi dire che i confini, socialmente parlando, sono inutili o almeno inessenziali?

La questione non sta in questi termini. Il confine in certa misura vorrebbe stabilire un ordine, essere un luogo di confronto. Io sono perché mi rapporto ad un limite, che è dunque il mio confine. Il limite è una necessità del pensiero che prova a traslare e contenere l’incommensurabilità e la vaghezza dell’immenso negli argini compatibili con le nostre possibilità di percezione, per scongiurare quella insidiosa paura della dispersione e della indeterminatezza. La linea di confine tra gli Stati, ad esempio, determina due luoghi artificiosamente contrapposti, dove l’uno si pone come dentro rispetto ad un fuori e viceversa, con tutte le conseguenze connesse ad una simile identificazione. Ma se noi ci abituiamo a considerare il confine non come titolo di una identità stabile, come è nell’idea di proprietà, ma come luogo di dialogo con l’altro, allora il discorso cambia. La realtà è un processo costante di trasformazioni in divenire che si attuano negli incessanti attraversamenti degli opposti da un al di qua ad un al di là e viceversa di quel tracciato virtuale che chiamiamo limite.

Insomma ciò che suggerisci è un diverso concetto di confine, che mi pare traslato nei criteri del possibile estetico e non in una sua schematicità funzionale.

Esatto. Il confine, se autentico, è un luogo di irrequietezza e di fragilità. Persino il vento lo insidia quando con sprezzante disinvoltura sposta enormi masse d’aria al di fuori e al di qua di qualsiasi recinto. Il vento come una grande anima avvolge i corpi degli uomini, degli animali, delle piante, li attraversa e li nutre, nel gioco di scambi e di contaminazioni, rende tutto solidale, inseparabile, invisibile, coeso. In definitiva la forma del dentro è indistinguibile da quella del fuori. L’una si può ritenere rappresentata nella forma dell’altro. E’ come se si trattasse di una forma in condominio, laddove il dentro si incunea nell’assenza del fuori e la dilatazione dell’uno corrisponde alla contrazione dell’altro. Se dunque assumiamo rigidi schemi mentali noi finiamo per essere stranieri a noi stessi. Non dovremmo mai dimenticarlo.

Consulta: Un po’ per gioco e un po’ per non morir….Lettera di Attilio Del Giudice ad Andrea Sparaco ,ANDREA SPARACO , ARTE: Andrea Sparaco, Mostra di Andrea Sparaco al Museo Campano.

Casertamusica.com - Portale di musica, arte e cultura casertana. Testi ed immagini, ove non diversamente specificato, sono proprietà di Casertamusica.com e della Associazione Casertamusica & Arte. Vietata ogni riproduzione, copia, elaborazione anche parziale. Tutti i diritti riservati. Per segnalazioni: redazione@casertamusica.com
Related sites: Orchestra Popolare Campana - Locali Caserta - Corepolis - Centro Yoga L'Arnia.