"L’avaro" di Moliere in scena al Garibaldi

S. Maria C.V. (CE) , 15 Febbraio 2008

Articolo e foto di Laura Vavuso

"L’avaro", una delle commedie più note e rappresentate del grande drammaturgo francese, è andata in scena ieri sera al teatro Garibaldi di S. Maria C.V., raccogliendo unanimi consensi, testimoniati dalle grasse risate provocate tra il pubblico e dal calore con cui la compagnia è stata applaudita al termine dello spettacolo. D’altra parte, con un cast del genere non sarebbe potuto essere altrimenti: nel ruolo del protagonista, c’era un ottantenne Carlo Croccolo in splendida forma, circondato da una decina di attori di comprovata esperienza teatrale.
L’avaro è un’opera nella quale compaiono ingredienti attinti da una lunga tradizione comica, che va da Plauto al teatro goldoniano, passando attraverso la commedia dell’arte cinquecentesca. Infatti, il carattere dell’avaro Arpagone, il pranzo che questi organizza per presentare ai figli la giovane donna di cui si è invaghito e che intende sposare, il furto della cassetta contenente quindicimila scudi faticosamente accumulati e lo scontro col servo, ritenuto responsabile del furto, rimandano ai collaudati schemi plautini, fatti di equivoci e beffe. L’inserimento del carattere di usuraio nel comportamento dell’avaro rievoca la Belle Plaideuse di Boisrobert, per approdare alla commedia dell’arte in genere mediante il topos dell’introduzione in casa del giovane che si finge servo al fine di corteggiare la figlia del padrone. Poi, come nella migliore tradizione comica latina, il meccanismo dell’agnizione sistema tutto: il vecchio Anselmo, a cui Arpagone aveva destinato in sposa la figlia, si rivela padre del giovane che ama- riamato- la ragazza e della giovane donna di cui l’avaro si era invaghito, a sua volta innamorata, e ricambiata, del figlio di Arpagone. Dunque, i due figli di Arpagone e i due figli di Anselmo si ricongiungono e, finalmente, le due giovani coppie di innamorati, ostacolate inizialmente dal protagonista, possono coronare il loro sogno d’amore.
L’innovazione del testo portato in scena stavolta è data dal carattere usuraio di Arpagone, tratteggiato non solo come avaro. La sua avarizia è stata infatti rappresentata in lungo e in largo; ora invece, in questa rivisitazione del personaggio, si è posto l’accento sulla connotazione di usuraio-investitore che assume il protagonista: Arpagone è un accumulatore di ricchezze, possiede una cassetta in cui custodisce gelosamente migliaia di scudi, diversi cavalli, una carrozza, abiti di buona qualità, ma è anche un investitore. I suoi denari sono sempre in moto, per fruttare, caratterizzando così quel passaggio ad un’economia di tipo capitalistico che comincia a farsi strada nel 1600, secolo in cui vive Moliere. Non solo: in questa resa, il protagonista coinvolge il pubblico rivolgendosigli in prima persona e chiamandolo in causa. Ad esempio, dopo aver interrogato il servo su una questione e tardando questi a rispondere, Arpagone lo sollecita esclamando: “Oh, questi hanno pagato il biglietto, vorranno pur sapere come va a finire!” Ancora: più volte compaiono riferimenti all’attualità, alla dissestata situazione economica italiana degli ultimi anni, alla poca convenienza -ormai appurata dai più- di depositare i propri risparmi in banca, addirittura al problema dei rifiuti in Campania!
Dunque, una messa in scena che, dati i presupposti, non può che lasciare lo spettatore col sorriso sulle labbra e rendergli gradevoli le piccole incursioni nei problemi del paese senza snaturare il testo originale.

Consulta: Teatro Garibaldi: programma 2007/08

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