Teatro Comunale: Gomorra

Caserta – 2 Aprile 2009

Articolo di Federica Roano e Dario Salvelli

La versione teatrale di” Gomorra”, messa in scena il 2 aprile al teatro Comunale di Caserta. è sicuramente uno spettacolo fuori dalle righe. Denso di emozioni e di lati umani, spiega non solo le motivazioni della gente comune che è stanca di subire, ma anche i sogni, le aspettative, i vicoli a volte ciechi, che spingono le persone ad intraprendere strade obiettivamente sbagliate. Lo spettacolo non giustifica i comportamenti illeciti, anzi, punta il dito contro, ma lo fa sotto un punto di vista umano
Lo spettacolo è strutturato in modo che sia lo stesso Roberto Saviano, interpretato da Ivan Castiglione, ad incontrare ed interagire con i personaggi descritti nel suo libro.
La prima scena  inizia con il discorso in memoria di don Peppino Diana (parroco impegnato nella lotta contro la camorra che, al momento della morte, fu diffamato dalla stampa – sottile riferimento al potere esercitato dalla criminalità anche in questo ambito-) che Roberto Saviano, co-autore insieme a Mario Gelardi, tenne a Casal di Principe qualche anno fa. Durante il discorso Saviano incita a non aver paura della camorra e non abituarsi all’idea di essere una terra martoriata, bensì a lottare contro chi ha fatto della sua terra un luogo di smaltimento illecito di rifiuti e di sangue.
Le storie che seguono si intrecciano tra loro ed i personaggi sono interrelati l’uno all’altro, dando una visuale sinergica e dinamica dello scenario dell’illegalità.
Si racconta della famosissima storia di Pasquale, il sarto (Ernesto Mahieux ) a cui viene imposto di insegnare l’arte del cucire a una marea di cinesi, pronti ad assorbire la conoscenza e metterla in pratica per pochi euro e del suo avvilimento nello scoprire che, alla notte degli oscar, la celebre Angiolina Jolie indossava un vestito cucito da lui e finito, per poche centinaia di euro, nella atelier di qualche grande stilista.
Si passa poi a Picachu (Francesco di Leva) e Kit Kat (Adriano Pantaleo), due piccoli camorristi che hanno il sogno di diventare “forti e potenti” come i loro boss. Si prova quasi tenerezza per i due, specialmente per Kit Kat che, passando da un lavoretto all’altro nella ricerca di qualcosa di meno gravoso per la coscienza, finisce ammazzato dalla polizia durante una rapina per le strade della periferia di Napoli. Saviano sottolinea che alcun giornale locale ha reso nota la notizia, ennesimo riferimento alla corruzione trasversale che affligge le nostre città.
Altro personaggio inserito nello spettacolo è lo “stakeholder” (intermediario necessario), interpretato da Giuseppe Miale di Mauro), punto chiave del crimine organizzato, colui che gestisce, senza scrupoli di coscienza né sguardo sul futuro, lo smaltimento illecito e mortale dei rifiuti (“Robbè, la vedi quella collina laggiù? Quella è la mia opera d’arte: tonnellate e tonnellate di rifiuti radioattivi nascosti sotto terra” “bronchi che marciscono, bambini che nascono con malformazioni gravi, l’80% in più di mortalità per tumore rispetto alle altre zone d’Italia. Questa secondo te è arte?”).
Ultimo personaggio è Mariano, interpretato da Giuseppe Gaudino, un ragazzo laureato che mette la sua cultura a disposizione della camorra, lavorando in diversi settori economici fino a quando, per il giorno dei funerali di Papa Giovanni XXIII, ha la “brillante idea” di riempire bottiglie di plastica già utilizzate e raccolte tra i rifiuti dello stakeholder, di acqua di rubinetto per poi rivenderla come acqua effervescente naturale. Tra Saviano e Mariano avvengono diversi battibecchi ed in uno di questi Roberto si racconta un po’, citando suo padre che spesso gli diceva: “Robbè, cos’è  un laureato senza una pistola? È nu strunz! E cos’è uno non laureato ma con pistola? È nu strunz! E cos’è laureato con la pistola? È un uomo!”. Solo quando il figlio ha imparato a sparare a delle bottiglie vuote, il padre lo ha considerato all’altezza del cugino che, prima di Roberto, aveva imparato a farlo.
La camorra dal 1975 al 2006 ha ucciso più di 3600 persone. Un dato che viene sparato su di un telo ed impresso nella coscienza di tutti noi spettatori che, all’uscita, ci siamo sentiti complici e vittime di questa sporca alleanza tra pochi potenti che distruggono con forza il valore alla nostra esistenza.
La scenografia, composta da una struttura di pali metallici utilizzati per sorreggere le impalcature durante i lavori edilizi, permetteva di avere due ambienti differenti: il palco e ciò che avveniva sopra le impalcature, zona messa in evidenza  tramite le luci.
Gli attori sono stati forse i migliori che io abbia mai visto, così veri, con caratteristiche così terribilmente tangibili da far pensare che di recitato ci fosse ben poco. La voglia era quella di saltare sul palco, prenderli per la maglietta e chiedere urlando: “Perché??? Perché ci fate tutto questo??? Perché permettete, architettate, giostrare certi orrori?”.
Spettacolo efficace, commovente e angosciante.

Consulta: Teatro Comunale: Nuovi Percorsi 2009

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