Officina Teatro: Sia Santificato il mio nome – Primo mistero doloroso: la Vendetta

Caserta – 9 Ottobre 2010

Articolo di Rossella Barsali

Dopo 7 ore dallo spettacolo, ho fatto un sogno: un uomo anziano, dalle fattezze sconosciute ma a me caro, che aveva perso una gamba, dal ginocchio in giù. Privato di un punto di appoggio. Col dolore da arto fantasma. Effetto Pagano? Forse. Sempre moltissima fisicità, ad Officina Teatro. E oltre.
Rosanera Santamaria santifica il suo nome con l’atto più riprovevole di qualsiasi religione, il suicidio. Abita una casa-chiesa, ogni rimando delle suppellettili è ad un’epoca passata, quando tutto l’orrore (pedofilia, abusi, discriminazioni) veniva insabbiato. Cercate nelle cose in scena e troverete lei. Blasfema, dolce e sguaiata, violenta e sensuale, Rosanera costruisce altari ed invettive, svela gabbie e teche, improvvisa cerimonie di investitura, gioca saltando a piè pari almeno 30 anni, dirige conventi e invoca i nomi. Sui nomi propri Michele Pagano rimesta da tempo, è un leit-motiv che emerge spesso nella sua opera. “Ha fatto nome e cognome” ribadisce Rosanera, e cerca un colore, il rosso; il rosso del sangue, che lei evoca caldo un “lago”, il rosso dell’involucro delle caramelle Rossana che lei usa come lente colorata sul mondo. Da sola non si basta, Rosanera: compie se stessa, la sua vendetta, attraverso uno spaurito ragazzino, Giuseppe, che diventa suo malgrado la password del suo passato, suo spettatore e “prigioniero”, il figlio sottratto e mancato da viziare, da educare, da cullare, ed infine da restituire alla libertà, quella che lei, “santa” protettrice dei bambini e degli uccelli, nega a questi ultimi. Suo premio, suo trofeo: un paio di ali di colomba.
Devastante, intrigante, penetrante, Caterina Scalaprice supera i confini dello spettacolo, nel ruolo di Rosanera: eclettica, disinvolta col gergo più sguaiato, sublime nel canto, potente nella mimica, evoca e trasforma gli stati d’animo in deflagrazioni, investe e manipola l’attenzione del pubblico generosamente su tutta la scena, si fa vestale sacrificale ed accompagna l’emergente Francesco Cavallo (nel ruolo di Giuseppe) in un labirinto emozionale dal quale è faticoso districarsi. Ha una serie di talenti, la Scalaprice: riesce a parlare con le mani e i piedi, facendo da coro alla sua voce. Francesco regge magnificamente l’impatto: non un errore, e gli sguardi che i due si scambiano in scena sono assolutamente autentici.
Pagano sa scegliere i momenti, i moventi ed il mestiere. L’intro con la preghiera di Papa Wojtyla dimostra un’accoglienza emozionale da grande “entertainment”, ed il resto è denuncia di costumi senza mai abiurare allo spettacolo.
Mi piacerebbe sapere dopo 7 ore dallo spettacolo cosa abbia sognato chi è stato ad Officina Teatro ieri sera…

Consulta: Teatro Officina: programma stagione 2010/11

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