Isa Danieli

Vincenzo Salemme

Buena Onda

Peppe Barra

Federico Salvatore

 

Biagio Izzo

Massimo Ranieri

 

Serena Autieri

Ascanio Celestini

  

Teatro Garibaldi: programma stagione 2016/17

S. Maria C. V. (CE) – dal 4 Novembre 2016 al 25 Marzo 2017

Comunicato stampa

A cura del Teatro Pubblico Campano, Inizio Spettacoli ore 2
4 Novembre, "Serata d'amore" di Manlio Santanelli e Isa Danieli
con Isa Danieli, regia Manlio Santanelli
produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
“Serata d'amore” è l'omaggio devoto e accorato ad Annibale Ruccello da parte di Isa Danieli e Manlio Santanelli. Un percorso alla rovescia: dall'ultima sua commedia alla prima, come a risalire un fume. Un fume che porta al centro di un continente o di un pianeta. Un viaggio fno al nocciolo duro fno al cuore. Un cuore di tenebra, se non lo rischiarassero i lampi di un'ironia così mediterranea. L'opera di un commediografo di qualità mal si presta ad essere ricondotta, anche soltanto in sede di interpretazione, ad un unico concetto generale che possa valere per ogni testo di cui quell'opera si compone. Ricondurre, in tal caso, equivarrebbe a ridurre. Ciò vale ancora di più se riferito all'intera produzione di Annibale Ruccello che, per l'indubbia capacità che egli possiede di raccogliere dalle silenziose esplosioni del quotidiano la più piccola scheggia, il minimo frammento che ne rievochi con struggente amarezza la perduta integrità, si sottrae ostinatamente all'uso di singole chiavi di lettura. E tuttavia, leggendo e rileggendo le commedie di Ruccello in vista della messa in scena di questa “Serata d’amore”, ci siamo imbattuti di continuo in un tema che, seppure in forma sempre diversa, ricorre con ossessiva puntualità: la solitudine. Ma la solitudine che aleggia nelle atmosfere teatrali di Ruccello, e le inchioda ad un panorama di spietata attualità anche quando, come in “Ferdinando”, l'azione è suggestivamente posta lontano nel tempo, è di una qualità del tutto speciale; o, meglio, speciale è la circostanza in cui i suoi per personaggi contraggono un simile malessere. Perché, a ben rifettere, quella solitudine è sempre vincolata all'amore attraverso un preciso nesso di causalità. È, in breve, il prezzo che deve pagare chi ama o anche chi soltanto dispone ad amare. E non potrebbe essere diversamente. La civiltà in cui viviamo, e che il teatro di Ruccello si restituisce in tutte le sue contraddizioni, sembra favorire l'amore (si pensi al caso limite della pubblicità, che spudoratamente lo reclamizza come uno dei rami più profcui della produzione e del consumo); ma in realtà è ferocemente erotofobica, penalizza amore e amanti a tutti i livelli: nega nei fatti quello che pure non perde occasione di esaltare a parole. Resta la solitudine, ultima “spes” o meglio ultima disperazione. E così una “Serata d'amore” automaticamente diviene una “serata di solitudine”. A questo punto, però, dobbiamo registrare il verifcarsi di un piccolo ma signifcativo miracolo: l’impiego della Danieli come attrice solista si rivela non soltanto una scelta produttiva, ma anche un’inquietante soluzione stilistica. Il suo folle monologare, il suo ansimante dialogare con interlocutori invisibili, normale conseguenza del suo stare in scena da sola alla fne sembra insinuare che tutto il teatro di Ruccello possa essere letto come una ricca galleria di personaggi che parlano ai fantasmi, che si muovono in mezzo ai fantasmi. L’opera di un commediografo di qualità, abbiamo detto, mal si presta ad essere ricondotta a singoli concetti generali. Ma peggio ancora si presta ad essere esplorata, ad essere penetrata nel suo mistero di fondo. Se con questo spettacolo ci siamo appena accostati a quel mistero, se soltanto lo abbiamo sforato, possiamo dire con soddisfazione che ne è valsa la pena. Isa Danieli, Manlio Santanelli
19 Novembre, "Una festa esagerata!" con Vincenzo Salemme
regia Vincenzo Salemme
Una festa esagerata! nasce da un’idea che avevo in mente da tempo, uno spunto che mi permettesse di raccontare in chiave realisti ca e divertente il lato oscuro e grottesco dell’animo umano. Non dell’umanità intera ovviamente, ma di quella grande melassa/massa dalla quale provengo, quel blocco sociale che in Italia viene definito “piccola borghesia”. Volevo parlare delle cosiddette persone normali, di coloro che vivono nascondendosi dietro lo scudo delle convenzioni, coloro che vivono le relazioni sociali usando il codice dell’ipocrisia come unica strada per la sopravvivenza. Sopravvivenza alle “chiacchiere”, alle “voci”, ai sussurri pettegoli e sospettosi dei vicini. E sì, perché io vedo la nostra enorme piccola borghesia come un grande condominio, fatto di vicini che si prestano lo zucchero, il termometro e si scambiano i saluti ma che, al contempo, sono pronti a tradirsi, abbandonarsi e, in qualche caso estremo, anche a condannarsi a vicenda. Non è la prima volta che questo ventre antico del nostro paese viene messo in commedia ma l’idea dalla quale parto mi sembra molto efficace in questo momento storico fatto di conflitti internazionali, guerre di religione e odi razziali. La barbarie, temo, nasconda sempre dietro un alibi. Ognuno trova sempre una buona ragione per odiare l’altro. Ma quel che temo ancora di più é l’odio che si nasconde dietro il velo sorridente della nostra educazione. Temo il buio del nostro animo spaventato. Temo la viltà dettata dalla paura. Temo il sonno della ragione. Spero che questa commedia strappi risate e sproni al dialogo. Un dialogo tra persone. Che si rispettano e, seppure con qualche sforzo, provino a volersi bene.
14 dicembre, "Buena onda" di Valter Lupo, Valerio Vestoso, Rocco Papaleo, Giovanni Esposito
con Rocco Papaleo e Giovanni Esposito, regia Valter Lupo
produzione Nuovo Teatro
Continua il viaggio di Rocco Papaleo ed i suoi fidati compagni di viaggi attraverso il teatro canzone. Si parte per un’avventura ai confini del mondo. Il viaggio e la scoperta saranno parte integrante della poetica di Papaleo, ma questa volta sarà un viaggio più esotico. Come nel caso di "Una piccola impresa meridionale", lo spettacolo seguirà l’uscita del nuovo film di Rocco Papaleo nelle sale italiane. Rocco Papaleo conferma la volontà di creare un teatro “a portata di mano”, con il solo desiderio, a ben vedere, di stringerne altre.Entrare in teatro, per me, è come lasciare la terra ferma.È solcare il mare dell’immaginazione, vivere un’esperienza di navigante.Per questo il nostro teatro canzone questa volta vuole agire come se si trovasse su una nave, che ci trasporta insieme ai passeggeri/spettatori per affrontare un viaggio che possa divertire e, nella migliore delle ipotesi, emozionare.Ci sentiamo di promettere una crociera a tutti gli effetti, magari non sfarzosa, ma con tutto quello che serve per comporre un entertainment efficace. Avremo marinai pronti a tutto per assistervi e divertirvi, l’orchestrina per ballare e contrappuntare le storie che il Capitano vorrà raccontare e tra i passeggeri cercheremo hostess e steward che accetteranno l’ironia del mettersi in gioco.La nostra nave si chiama ‘Buena Onda’, l’onda buona, quella che solleva e dà sollievo.La ‘Buena Onda’ prospetta di gettare al più presto l’ancora nella vostra città.
21 Gennaio, "La cantata dei pastori" di Peppe Barra e Paolo Memoli
con Peppe Barra, regia Peppe Barra
produzione Consorzio Campano Teatro e Musica, costumi Annalisa Giacci, scene Lele Luzzati
musiche Roberto De Simone
Non c'e' Natale senza La Cantata dei Pastori e da quarant'anni a questa parte non c'e' Cantata senza Peppe Barra. La Cantata dei Pastori ha un titolo lunghissimo e barocco, ma e' universalmente nota con l'abbreviazione d'uso. Fu scritta alla fine del Seicento (1698) da Andrea Perrucci e da allora, da piu' di tre secoli, e' continuamente rappresentata, rimaneggiata, riscritta. Ultimo e piu' illustre di tutti e' Peppe Barra, che aveva gia' interpretato l'opera a fianco della madre Concetta, nel ruolo di un irresistibile Sarchiapone, dopo essere stato l'Angelo nella versione di Roberto De Simone alla fine degli anni Settanta. La Cantata dei Pastori e' la storia delle traversie di Giuseppe e Maria per giungere al censimento di Betlemme. Nel difficile viaggio vengono accompagnati da due figure popolari napoletane, Razzullo, scrivano napoletano assoldato per il censimento, e Sarchiapone, barbiere pazzo e omicida, maschera ispirata quasi direttamente dalla tradizione popolare dei Pulcinella e antesignano di Felice Sciosciammocca. Sarchiapone e' la dimostrazione delle varie sovrapposizioni e aggiunte delle tradizioni delle Cantate. Il personaggio di Sarchiapone non esisteva infatti nella versione originale di Perrucci, fu introdotto per rendere meno paludata la rappresentazione, per adattarla al gusto del pubblico e via, via, si e' andato ritagliando un ruolo sempre piu' importante. Anche nella tradizione iconografica del presepe i personaggi hanno un nome e un ruolo sia perche' Andrea Perrucci lo ha scritto e sia perche' tre secoli di rappresentazioni lo hanno trascritto e rappresentato. Il presepe popolare napoletano e' direttamente influenzato dalla Cantata dei pastori che mescola il suo narrare con quello dei vangeli apocrifi e con altre tradizioni popolari del sud, a meta' strada tra il cristiano, il pagano, il magico. Molti sono gli ostacoli che Giuseppe e Maria dovranno superare prima di trovare rifugio nella grotta della Nativita' . Ed e' naturalmente conseguente il lieto fine, la salvazione dell'umanita' dal peccato e il ritorno di Belfagor, sconfitto, nel suo mondo infero di fiamme e zolfo. Fino all'anno prossimo, quando anche lui, vecchio diavolaccio impunito, potra' tornare a raccontarci la storia infinita della lotta millenaria tra Bene e Male. Insomma, un grande archetipo.
4 febbraio, "Sono apparso a San Gennaro" di Federico Salvatore
con Federico Salvatore, regia Federico Salvatore
Si tratta di un’opera corale ambientata nella città di Napoli che nasce dall’estro musicale e creativo di Federico Salvatore. Il panorama che offre della società napoletana, e non solo, dei tipi, dei caratteri, degli usi e dei costumi, è vario, colorito, sferzante, dissacratorio. Ci sono numeri, scenette, una recitazione sciolta e brillante ricca di quel colore che solo il palcoscenico può dare. Recupero di un mondo popolare e reale, quindi ai limiti del pittoresco e comunque lontano dal teatro di convenzione borghese.La scena rappresenta una piazza nella zona del porto di Napoli dove il dialetto si fa strumento di espressività teatrale con evidenti richiami alla commedia dell’arte. A popolare la piazza sono figure (attori, attrici e ballerini-mimo) tratte dai vari strati sociali in cui gli aspetti della vita diventano loro stessi commedia. Sopra di loro si muove il matto del quartiere, il barbone, il diverso, interpretato dallo stesso autore, che, libero da ogni convenzione, fotografa lucidamente il mondo intorno a lui.Il cantattore Federico Salvatore riveste di teatro i suoi successi televisivi. Ripercorre la sua storia musicale, sceneggiando alcune canzoni (Ninna nanna, Incidente al Vomero, Azz, Donna Amalia, ‘O figlio d’’o zappatore, ecc…) che, già di per sé, potevano considerarsi delle micro-sceneggiate, o vere e proprie rappresentazioni di un genere popolare.
14 Febbraio, "Bello di papà" di Vincenzo Salemme
con Biagio Izzo, regia Vincenzo Salemme
produzione Bibì Productions
Bello di papà è una commedia del 2006. Credo che l’idea mi sia venuta quando in tutto il mondo occidentale arrivavano i primi segnali della crisi economica che ancora oggi fatichiamo a superare. Dico forse perché col senno di poi mi sembra che Antonio Mecca, il dentista protagonista della commedia, possa rappresentare, ovviamente in versione decisamente comica, il travaglio sociale, economico, psicologico di una gran parte della cosidetta generazione dei cinquantenni, che dall’inizio di questo millennio viene messa in discussione ogni volta che la politica si deve occupare delle programmazioni finanziarie. Antonio Mecca è il classico uomo che ha raggiunto una posizione sociale, ma che allo stesso tempo la sente, questa posizione, vacillare sotto i colpi del cosidetto “Nuovo che avanza”. E il “nuovo che avanza” per quella generazione cui facevo riferimento poco più sopra, sono appunto i giovani che vogliono prendere i posti di comando. Antonio ha paura di ogni novità, è un vero conservatore, conservatore di danaro, ma soprattutto conservatore di affetti. Profondamente sarebbe un buono, ma costantemente ha paura di essere fregato, è forse per questo che non si è mai sposato, è forse per questo che adesso sta con una bellissima ragazza ucraina, che gli piace da morire, ma che allo stesso tempo teme come un ingombrante invasore, invasore della casa e soprattutto del conto corrente perché Marina, l’ucraina, vorrebbe costruire una famiglia con Antonio, Marina vorrebbe soprattutto (questa la cosa più terrificante e spaventevole per il nostro dentista) dei figli. Antonio teme i figli più di ogni altra cosa perché i bambini sono di un egoismo assoluto e lui, egoista per paura, questo proprio non può accettarlo. E’ così che nasce l’idea di questa commedia, da questo paradosso: un uomo che non vuole avere figli costretto a ricevere in casa un suo coetaneo che ha bisogno di ritornare ad essere un figlio. Nel paradosso di questo scontro generazionale tra due uomini della stessa età forse si nasconde quello che io credo sia un finto problema. Penso che l’età ci distingua gli uni dagli altri, ma altrettanto fermamente credo che dal punto di vista sociale l’età sia soltanto una convenzione. Credo che dividere i cittadini tra giovani ed anziani sia un vecchio modo di intendere la politica. Penso che esistano piuttosto le persone e che ogni persona abbia il diritto e il dovere di salvaguardare il proprio benessere sociale e spirituale.
20 Febbraio, "Teatro del porto" di Raffaele Viviani
con Massimo Ranieri, regia Maurizio Scaparro
produzione Gli Ipocriti
Esiste in alcuni di noi la memoria storica o il lontano ricordo di una Napoli vissuta mentre già stava cambiando. Questa preziosa memoria è stata, per Massimo Ranieri e per me, il primo filtro ma anche lo stimolo, dopo la felice esperienza di Viviani Varietà, per continuare a lavorare su un nuovo spettacolo che potesse avere come testi monianza di questo mondo, così ricco, la figura stessa di Raffaele Viviani attraverso il suo teatro (particolarmente quello degli atti unici), le sue parole, il suo canto scenico privilegiando così quel vitalissimo giacimento culturale e musicale che era la Napoli dei quartieri, quella parallela urbana (aperta all’influenza e alle commistioni con il teatro e il Varietà europeo) e di un altro sud che premeva sulla città. È nato così Caffè del Porto pensando ad uno spazio neutro sospeso tra il mare e la terra (quasi un “porto delle nebbie” come l’abbiamo chiamato durante le prime prove) uno spazio che favorisse lo scambio di conoscenza e di speranze che veniva dal mare e dove vorremmo che Raffaele Viviani ci portasse per mano attraverso il suo teatro e la sua musica per ricordare sogni e delusioni di una grande città, e per accompagnarci verso un futuro già cominciato scoprendo, anche grazie a lui, parole vecchie e nuovi significati come “mediterraneo”, “emigrazione” e, con un po’ di ottimismo, anche “cultura” e “teatro”.
17 Marzo, "Diana e Lady D" di Vincenzo Incenzo
con Serena Autieri, regia Vincenzo Incenzo
produzione Engage
La trama: il dialogo dell'ultima notte
E' la sera dell'incidente; Diana sta per lasciare l'appartamento all'Hotel Ritz di Parigi e raggiungere Dodi in macchina; un ultimo colpo di cipria allo specchio ed ecco l'immagine riflessa di Lady D.
E' l'occasione per confessarsi definitivamente una all'altra lontano da tutto e tutti, e mettere sul piatto senza più nessuna riserva le loro vite inadeguate. E' un rinfacciarsi di colpe, un susseguirsi di accuse, fino addirittura allo scontro fisico, ma è anche il tentativo estremo di essere ascoltate, comprese, abbracciate. Per arrivare al perdono, alla ricomposizione del se’, al ritorno all’Uno; dopo di cui tutto, anche la morte, può essere accolta con tenera leggerezza.
Lo spettacolo: una donna allo specchio
Diana & Lady D è un dialogo per voce sola. Serena Autieri sul palco inscena una performance verbale e fisica dai contrasti sorprendenti. La scenografia è sviluppata in verticale, su due piani, (alto e basso); Lady D sul livello superiore incombe, Diana soccombe. Il concetto è il recupero della mitologica immagine doppia di Narciso che si riflette nel lago. Serena migra da un’anima all’altra muovendosi di continuo, incarnando gli stati d’animo più diversi, vestendosi e truccandosi a vista.
La scena prevede grandi specchi in cui Serena/Diana/Lady D si riflette, si perde, si sdoppia, torna bambina, si moltiplica. Ballerine e Acrobate, (effetto “Golconda” di Magritte), accompagnano l’esecuzione delle canzoni, evergreen dei Beatles, Elton John e inediti.
25 Marzo, "Laika" di Ascanio Celestini (rimandato al 29)
con Ascanio Celestini e Gianluca Casadei alla fisarmonica e la voce fuori campo di Alba Rohrwacher
Un Gesù improbabile si confronta coi propri dubbi e le proprie paure. Vive chiuso in un appartamento di qualche periferia. Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni. Con Cristo c’è Pietro che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo: fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa.
Questa volta Cristo non si è incarnato per redimere l’umanità, ma solo per osservarla e gli ha messo accanto uno dei dodici apostoli come sostegno. Il vero nome di Pietro è Simone. La radice ebraica shama significa ascoltare. Dunque Simon Pietro è colui che ascolta.
È anche un uomo del popolo che non capisce bene ciò che gli sta accadendo, è spesso affrettato nelle reazioni. I Vangeli ce lo mostrano quando corre verso Cristo che cammina sulle acque per poi finire tra le onde.
Ma è anche il più materiale, per ciò è chiamato Kefa che in aramaico significa pietra: è lui che paga il tributo, lui che rinnega tre volte, lui che darà vita alla Chiesa.
Nell’appartamento questo Cristo contemporaneo non vuole che entri nessun altro, ma è interessato a ciò che accade fuori. Soprattutto vuole sapere del barbone, non per salvarlo dalla sua povertà, ma per fargliela vivere allegramente.
Come se il mondo fosse il parcheggio davanti alla sua finestra. Il mondo in mille metri quadrati di asfalto osservati da un paradiso-monolocale pochi metri al di sopra. Il barbone è un nordafricano scappato dal proprio paese.
Anche la scena è scarna e senza gli oggetti che siamo abituati a vedere in un appartamento. La cecità del personaggio è una cecità psichica che secondo William James “consiste non tanto nell’insensibilità alle impressioni ottiche, quanto nell’incapacità di comprenderle”.
Insomma non il Cristo che è vero Dio e vero uomo, ma un essere umanissimo fatto di carne, sangue e parole. Non sappiamo se si tratta davvero del figlio di Dio o di uno schizofrenico che crede di esserlo, ma se il creatore si incarnasse per redimere gli uomini condividendo la loro umanità (e dunque anche il dolore), questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi del tempo presente.
Con la crisi delle ideologie nate dall’illuminismo e concretizzatesi soprattutto nel „900 anche le religioni (in quanto visioni totalizzanti e dunque ideologiche) hanno subito un contraccolpo.
L’ebraismo ha trovato una patria mescolando le incertezze religiose alle certezze nazionaliste, anche l’islamismo è diventata una religione di lotta e di governo, mentre il cristianesimo si trova a vivere la sua fase più contraddittoria con due Papi viventi uno accanto all’altro, ma con due volti contrastanti: il rigido teologo e il prete di strada.
A distanza di un paio di millenni ci troviamo ora a rivivere le incertezze del cristianesimo delle origini, frutto dell’ebraismo e seme dell’islam. Queste incertezze vorrei che passassero in maniera obbligatoriamente grottesca e ironica nel personaggio che porterò in scena: un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli esseri umani.
Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere solo sul cuor della terra: vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine salterà fuori che Dio sono soltanto io? (Ascanio Celestini)

Orario botteghino dal lunedì al sabato 10.00 - 13.00 solo lunedì e giovedì anche 17.00 - 20.00
Teatro Garibaldi, Corso Giuseppe Garibaldi, 78, Santa Maria Capua Vetere CE
Telefono: 0823 799612

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