Massimiliano Gallo

Geppy Gleijeses, Marisa Laurito e Benedetto Casillo

Elena Sofia Ricci

Vincenzo Salemme (ph Federico Riva)

Giovanni Esposito e Valerio Santoro ph Marco Ghidelli

Enzo De Caro

Peppe Barra

Lello Arena

Lucio Pierri e Ida Rendano

Tommaso Primo

No grazie

  

Teatro Ricciardi: stagione 2021-22

Capua (CE) – dal 19 Novembre 2021 all'8 Marzo 2022

Comunicato stampa

Stagione teatrale 2021/22, Teatro Ricciardi, Largo Porta Napoli, Capua
Venerdì 19 novembre, "Resilienza 3.0" scritto e diretto da Massimiliano Gallo
Comiche istruzioni per risorgere da un disastro
con (in o. a.) Pina Giarmanà, Shalana Santana, Arduino Speranza, Mimmo Napolitano, pianoforte e arrangiamenti, Davide Costagliola, contrabbasso, Giuseppe Di Colandrea, sax/clarinetto
Massimiliano Gallo torna in scena dopo il periodo più strano, problematico, difficile dei nostri tempi. Lo fa con il suo stile, la sua ironia soprattutto convinto che si possa raccontare questo momento tremendo attraverso una comica riflessione dei fatti, a volte poetica e sempre pungente.
Il pubblico rivivrà insieme a Gallo i momenti della quarantena: le paure, la noia, l’immobilità, la voglia di evadere, le lezioni on line, la palestra fatta in casa, in una condivisione problematica e a volte drammaticamente comica degli spazi vitali.
Eri abituato a vivere la casa, tua moglie, per poche ore al giorno, cosa succede se le ore diventano ventiquattro?
Le domande a cui non davi risposta, la fretta, la velocità, erano complici ideali della superficialità con la quale vivevi. Il Covid 19 è stato drammatico anche per questo, una lente di ingrandimento che ha messo a nudo i nostri difetti.
I selfie fatti negli angoli più disparati dell’appartamento, la privacy inesistente nelle famiglie più numerose, la quarantena in 60 metri di casa.
Totò diceva che “la morte è una livella”, non è così per la quarantena: quella fatta a Posillipo non è stata la stessa quarantena di quella passata in un basso.
I selfie non sono stati uguali per tutti!
In scena con lui i compagni di sempre Shalana Santana e Pina Giarmanà, accompagnati dal Maestro Mimmo Napolitano al pianoforte, Davide Costagliola al contrabbasso e Giuseppe Di Colandrea al clarion.
La formazione che aveva già portato in scena Resilienza 2.0, uno spettacolo di grande successo dello scorso anno.
Torniamo a ridere allora, perché questo momento va esorcizzato con tanta ironia. Solo così potremmo dire di essere tornati a vivere!
Mercoledì 1 dicembre, Gitiesse Artisti Riuniti e Best Live presentano Geppy Gleijeses, Marisa Laurito, Benedetto Casillo in "Così parlò Bellavista. Gold Edition"
adattamento teatrale e regia Geppy Gleijeses dal film e dal romanzo di Luciano De Crescenzo
conmAntonella Cioli, Gigi De Luca, Vittorio Ciorcalo e Gianluca Ferrato (Cazzaniga) e con Ludovica Turrini, Gregorio De Paola, Agostino Pannone, Walter Cerrotta, Brunella De Feudis
scene Roberto Crea
musiche Claudio Mattone
costumi Gabriella Campagna
luci Luigi Ascione
Il dibattito che si è sviluppato per merito de “il Mattino” sull’opera e la figura di Luciano De Crescenzo, ha un leggero sapore “d’antan”, un po’ da cenacolo culturale anni ‘50, stile Giovannino Guareschi ,quando si discuteva sul livello di fascismo del “Bertoldo” e di questo suo illustre collaboratore.
Luciano De Crescenzo (che ha un vantaggio su Guareschi di circa 5 milioni di copie, avendo venduto 25 milioni di copie delle sue opere in 42 Paesi), ha però incontrato, per altri versi, un destino analogo, a cui, se vogliamo essere onesti, ancora non sfugge.
”Che cos’ è” Luciano De Crescenzo è la domanda più pertinente, non “chi è”. Una strana e anomala figura nel mondo della letteratura, della filosofia, del cinema, della poesia; una figura che ha avuto ed ha troppo successo per essere perdonata. Eppure lui, già nella prefazione alla prima edizione di “Così parlò Bellavista”, forse presago dell’anatema di certa “intellighenzia”, così scriveva: “guai a parlare di mare, di sole, e di cuore napoletano! Cominciando da Malaparte e finendo a Luigi Compagnone, Anna Maria Ortese, Domenico Rea, Raffaele La Capria, Vittorio Viviani e compagnia cantando, il desiderio di togliere il trucco con il quale per tanti anni era stato imbellettato il volto della nostra città ha fatto sì che insieme ai cosmetici è stata tolta forse anche la pelle del viso di un popolo che, pur senza mandolini e chitarre continuava in ogni caso ad avere una propria fisionomia caratteristica. “Quanto sono vere queste parole e quanto poco gli sono state perdonate!
Io sono cresciuto leggendo “Ferito a morte” di La Capria e “Il mare non bagna Napoli” della Ortese, la prima parte che ho interpretato in una commedia in TV a 23 anni con Lilla Brignone, Massimo Ranieri e Pupella Maggio in “In memoria di una signora amica” è stata quella scritta pensando ad Antonio Ghirelli da Patroni Griffi... Ma poi ho imparato che esistono altri grandi che hanno ritratto più bonariamente delizie e vizi del nostro popolo, come Giuseppe Marotta, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e, per certi versi la Matilde Serao, de “Il ventre di Napoli”.
E sono allievo di Eduardo De Filippo e Peppino Patroni Griffi, ma non sono cieco. E, nel mio piccolo, so leggere e guardare. E dalle parole profetiche della prefazione a Bellavista, passai poi a interpretare Giorgio, il protagonista giovane di quel film, ma poi ho letto e approfondito l’opera di Luciano.
Egli si definiva un divulgatore, nelle ultime interviste dice: “Io non sono un filosofo, io ho copiato!” e nel nostro ultimo incontro, mentre voleva inginocchiarsi perché portavamo “Bellavista” al San Carlo, mi disse: “No Geppy, io non sono un poeta, sono un quasi poeta”.
Non è vero. Consiglio a tutti di leggere o rileggere “il nano e l’infanta”, scritto e disegnato per conquistare una donna quando aveva vent’ anni, opera di pura poesia, “Raffaele”, “il Dubbio” che forse Luciano considerava la sua opera più amata, in cui tenta di dare una risposta alle “grandi domande” sul Caso, la Necessità, l’ Entropia, il Tempo e lo Spazio (e quasi ci riesce), “Oi dialogoi” in cui, tra sacro e profano, contamina, con metodo platoniano, la speculazione filosofica con i “fattarielli napoletani”, il capitolo dedicato per esempio a Cartesio, al Dubbio e al “cogito ergo sum” nella sua splendida “Storia della filosofia moderna” e infine (ma si potrebbe continuare a lungo) ripensate alla sua fondamentale teoria dell’uomo d’amore e dell’uomo di libertà, elaborata in Così parlò Bellavista.
Luciano, e mi perdonerà chi ha più titolo di me, per quanto mi riguarda, e non credo di sbagliare, non è stato solo un divulgatore: È stato filosofo sui generis, poeta, romanziere, regista, sceneggiatore, umorista, attore, eccetera eccetera... Troppa roba per essere perdonati. O, come avrebbe detto lui, “Troppa grazia Sant’Antonio!!
Sinceramente non pensavo ad adattare, produrre (con Best Live di Alessandro Siani e Sonia Mormone), mettere in scena e interpretare “Così parlò Bellavista”. Il ricordo di quel film è nella memoria mia, e soprattutto della gente napoletana, indelebile e forse intangibile.
C’era un solo modo limpido e affascinante per portarlo in teatro.
Distaccarsi dal film e creare un’opera autonoma, specificamente teatrale. E così nell’adattamento ci sono varie citazioni del romanzo, come ad esempio il secondo “cenacolo” che si conclude con un concetto poetico e geniale, degno del miglior Salvatore Di Giacomo.
Parlando delle case di Napoli legate l’una all’altra dalle corde tese da palazzo a palazzo per stendere i panni ad asciugare, scrive così: “Immaginate per un momento che il Padreterno volesse portarsi in cielo una casa di Napoli. Con sua grande meraviglia si accorgerebbe che piano piano tutte le altre case di Napoli, come se fossero un enorme Gran pavese, se ne verrebbero dietro alla prima, una dietro l’altra, case, corde e panni, canzone ‘e femmene e allucche ‘e guagliune...”
L’adattamento teatrale che ho scritto, come dicevo, non è affatto una pedestre sbobinatura del film. Chi sa di cinema e di teatro ci insegna che sono necessari codici di comunicazione molto diversi. Lo spazio scenico a cui ho pensato e che Roberto Crea ha splendidamente realizzato, ritrae il Palazzo dello Spagnolo, che con i suoi incroci di scale e le sue prospettive diventa un luogo della mente.
Nella corte del palazzo, suddividendo a volte la scena in settori, si svolge tutto il racconto, con il cenacolo, il tavolo dei pomodori, la trattoria, il negozio di arredi sacri e via dicendo. Non avrei potuto condurre in porto questa impresa senza attori straordinari come Marisa Laurito, deliziosa interprete che è stata la migliore amica di Luciano (a questo fatto ci tiene assai!), Benedetto Casillo, mitico Salvatore vice sostituto portiere. E delle musiche in parte originali e in parte nuove del maestro Claudio Mattone.
Ah, dimenticavo: Bellavista sarò io, perdonate l’ardire. Abbiamo voluto ambientare lo spettacolo negli stessi anni del film e in realtà non abbiamo dovuto adeguare all’oggi nemmeno una battuta. Come ci ha insegnato Luciano, dobbiamo avere fede: “Napoli, con il suo spirito d’adattamento, è forse l’ultima speranza che ha il genere umano per sopravvivere “.
I sentimenti nostri, quelli veri, quelli che Luciano ha descritto, non sono cambiati e non cambieranno mai. Geppy Gleijeses
7 e 8 Dicembre, Teatro Diana Centro di Produzione Teatrale e Chi è di Scena presentano "Napoletano? E famme ‘na pizza!"
Scritto, diretto ed interpretato da Vincenzo Salemme con (in ordine alfabetico) Vincenzo Borrino, Sergio D’Auria, Teresa Del Vecchio, Antonio Guerriero
scene e costumi Francesca Romana Scudiero, musiche Antonio Boccia in collaborazione con Valeria Esposito per “Chi è di scena s.r.l.”
“Napoletano? E famme ‘na pizza” è uno spettacolo che nasce dal mio libro uscito con lo stesso titolo agli inizi di marzo. Titolo che fa riferimento ad una battuta di una mia commedia teatrale, “E…. fuori nevica”, nella quale uno dei personaggi chiede al fratello di dimostrare la sua presunta napoletanità facendogli una pizza.
E sì, perché ogni buon napoletano deve saper fare le pizze, deve saper cantare, deve essere sempre allegro, amare il caffè bollente in tazza rovente, ogni napoletano che si rispetti deve essere devoto a San Gennaro, tifare Napoli, amare il ragù di mamma’... e via così con gli stereotipi che rischiano di rendere la vita di un napoletano più simile ad una gabbia che ad un percorso libero e indipendente.
Tutte le città vivono sulla propria pelle il peso degli stereotipi ma Napoli più di ogni altra. E, molto spesso, sono i napoletani stessi a pretendere dai propri concittadini una autenticità così ortodossa da rischiare l’integralismo culturale. Allora io con questo spettacolo provo a capire, in chiave ironica, se sono un napoletano autentico o un traditore dei sacri e inviolabili usi e costumi della nostra terra.
Cominciando dalla confessione di un primo tradimento, una sorta di peccato originale che rischierebbe di intaccare la mia immagine di attore comico napoletano. Così, il più delle volte, mi definiscono quando mi presentano da qualche parte.
Ed io, il più delle volte sto zitto. Ebbene, confesso il mio peccato: io non sono nato a Napoli ma a Bacoli, in provincia di Napoli! Quindi questo che vuol dire? Che non sono napoletano d.o.c.? Significa che da anni usurpo un titolo culturale? Voglio cercare con voi la risposta a questa domanda: “sono” napoletano o “faccio” il napoletano? Aiutatemi!
Martedì 14 dicembre, Elena Sofia Ricci, Gabriele Anagni in "La dolce ala della giovinezza" di Tennessee Williams, traduzione Masolino d'Amico
scene, costumi e regia Pier Luigi Pizzi
e con Chiara Degani, Flavio Francucci, Giorgio Sales, Alberto Penna, Valentina Martone, Eros Pascale, Marco Fanizzi
musiche composte da Stefano Mainetti
light designer Pietro Sperduti
Scritta nel 1952 e debuttata a Broadway nel 1959, “La dolce ala della giovinezza” parla del gigolo Chance Wayne che torna nella sua città natale in Florida con la star in declino Alexandra Del Lago per cercare di riprendersi quello che aveva lasciato nella sua giovinezza, Heavenly, il suo primo amore.
La proposta del Teatro della Toscana di pensare a un progetto di regia per La dolce ala della giovinezza è stato di grande stimolo e dopo un’attenta lettura, ho accettato, forte del fatto che avrei avuto la presenza nel cast, di Elena Sofia Ricci, nel ruolo della protagonista.
Come d’abitudine il mio progetto comprende l’ambientazione e i vestiti. Williams ha una straordinaria abilità a costruire personaggi femminili al limite del delirio, sul bordo dell’abisso.
Alexandra del Lago, star del cinema in declino, non più giovanissima, alcolizzata e depressa, in fuga da quello che crede un insuccesso del suo ultimo film, cerca un rimedio alla solitudine nelle braccia di un gigolò, giovane e bello, un attore fallito in cerca di rilancio, ma destinato ad una triste fine, una volta che ha perduto il suo unico bene, la gioventù. Ma Williams, da grande drammaturgo è capace sempre di stupirci.
Pier Luigi Pizzi
Venerdì 7 gennaio, "A che servono questi quattrini" di Armando Curcio
regia di Andrea Renzi, con Giovanni Esposito e Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Luciano Saltarelli, Chiara Baffi, Fabrizio La Marca
scene Luigi Ferrigno, costumi Ortensia De Francesco, luci Antonio Molinaro, foto di scena Marco Ghidelli
A che servono questi quattrini è una commedia di grande attualità. Andata in scena per la prima volta nel 1940 al Teatro Quirino di Roma, fu una delle più divertenti commedie che resero celebri i grandi fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino.
La vicenda ruota intorno al Marchese Parascandolo detto il Professore che per dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e controcorrente, ordisce un piano comicamente paradossale che svela l’inutilità del possesso del denaro.
L’Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto della II Guerra Mondiale e il mondo post-capitalistico dell’alta finanza era di là da venire, ma l’argomento, così esplicitamente indicato nel titolo, stuzzicò la curiosità del pubblico di allora tanto che, pochi anni dopo, nel 1942, la commedia venne trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo Pratelli con Eduardo e Peppino De Filippo protagonisti e con, tra gli altri, Clelia Matania e Paolo Stoppa.
Bolle finanziarie, truffe internazionali, fallimenti di colossi bancari, tassi di interesse sproporzionati, spread e fiducia nei mercati sono “slogan” e ridondanti informazioni ampliamente invasive cui ci siamo abituati e che, per la maggior parte di noi, indicano situazioni fumose e di oscura interpretazione.
E forse proprio spingendo sul parossismo del gioco teatrale, mostrato a vista, e sull’assurda fiducia della variegata comunità coinvolta nel piano del Marchese Parascandolo, si può, con la scanzonata e creativa adesione degli attori e in un clima popolare e festoso, relativizzare il potere dei “quattrini”, valore-totem indiscusso, che tutto muove oggi come allora.
lunedì 24 gennaio, "A che servono questi quattrini" con Giovanni Esposito, Gennaro Di Biase, Teresa Saponangeloe Valerio Santoro
regia Andrea Renzi, con Giovanni Esposito, Valerio Santoro, Gennaro Di Biase, Luciano Saltarelli, Chiara Baffi, Fabrizio La Marca
scene Luigi Ferrigno, costumi Ortensia De Francesco
luci Antonio Molinaro, foto di scena Marco Ghidelli
A che servono questi quattrini è una commedia di grande attualità. Andata in scena per la prima volta nel 1940 al Teatro Quirino di Roma, fu una delle più divertenti commedie che resero celebri i grandi fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino.
La vicenda ruota intorno al Marchese Parascandolo detto il Professore che per dimostrare le sue teorie socratiche, bizzarre e controcorrente, ordisce un piano comicamente paradossale che svela l’inutilità del possesso del denaro.
L’Italia di lì a poco sarebbe entrata nel conflitto della II Guerra Mondiale e il mondo post-capitalistico dell’alta finanza era di là da venire, ma l’argomento, così esplicitamente indicato nel titolo, stuzzicò la curiosità del pubblico di allora tanto che, pochi anni dopo, nel 1942, la commedia venne trasposta sugli schermi cinematografici per la regia di Esodo Pratelli con Eduardo e Peppino De Filippo protagonisti e con, tra gli altri, Clelia Matania e Paolo Stoppa.
Bolle finanziarie, truffe internazionali, fallimenti di colossi bancari, tassi di interesse sproporzionati, spread e fiducia nei mercati sono “slogan” e ridondanti informazioni ampliamente invasive cui ci siamo abituati e che, per la maggior parte di noi, indicano situazioni fumose e di oscura interpretazione.
E forse proprio spingendo sul parossismo del gioco teatrale, mostrato a vista, e sull’assurda fiducia della variegata comunità coinvolta nel piano del Marchese Parascandolo, si può, con la scanzonata e creativa adesione degli attori e in un clima popolare e festoso, relativizzare il potere dei “quattrini”, valore-totem indiscusso, che tutto muove oggi come allora.
giovedì 27 gennaio, I Due della Città del Sole presenta Enzo Decaro in "Non è vero ma ci credo" di Peppino De Filippo
con (in o.a.) Francesca Ciardiello,Carlo Di Maio, Roberto Fiorentino, Massimo Pagano, Gina Perna, Giorgio Pinto, Ciro Ruoppo, Fabiana Russo, Ingrid Sansone
scene Luigi Ferrigno
costumi Chicca Ruocco
disegno luci Pietro Sperduti
regia Leo Muscato
Ho mosso i primi passi nel mondo del teatro quando avevo poco più di vent’anni. Mi ero trasferito a Roma per fare l’Università e non sapevo ancora nulla di questo mestiere. Mi presentai a un provino con Luigi De Filippo e lui mi prese a bottega nella sua compagnia. Mi insegnò letteralmente a stare in palcoscenico, dandomi l’opportunità di vivere la straordinaria avventura delle vecchie tournée da 200 repliche l’anno.
Rimasi con lui per due stagioni; poi mi trasferii a Milano per studiare regia. Ci siamo rivisti ventidue anni dopo, pochi mesi prima che morisse. Mi chiese di pensare a un progetto da fare insieme.
Ne pensai mille, ma non abbiamo avuto il tempo di realizzarne uno. Ereditando la direzione artistica della sua compagnia, ho deciso di inaugurare questo nuovo corso partendo proprio dal primo spettacolo che ho fatto con lui, Non è vero ma ci credo. Rispettando i canoni della tradizione del teatro napoletano, proveremo a dare a questa storia un sapore più contemporaneo.
Quella che andremo a raccontare è una tragedia tutta da ridere, popolata da una serie di caratteri dai nomi improbabili e che sono in qualche modo versioni moderne delle maschere della commedia dell’arte.
Il protagonista di questa storia assomiglia tanto ad alcuni personaggi di Molière che Luigi De Filippo amava molto. L’avaro, avarissimo imprenditore Gervasio Savastano, vive nel perenne incubo di essere vittima della iettatura.
La sua vita è diventata un vero e proprio inferno perché vede segni funesti ovunque: nella gente che incontra, nella corrispondenza che trova sulla scrivania, nei sogni che fa di notte. Forse teme che qualcuno qualcosa possa minacciare l’impero economico che è riuscito a mettere in piedi con tanti sacrifici.
Qualunque cosa, anche la più banale, lo manda in crisi. Chi gli sta accanto non sa più come approcciarlo. La moglie e la figlia sono sull’orlo di una crisi di nervi; non possono uscire di casa perché lui glielo impedisce. Anche i suoi dipendenti sono stanchi di tollerare quelle assurde manie ossessive.
A un certo punto le sue fisime oltrepassano la soglia del ridicolo: licenzia il suo dipendente Malvurio solo perché è convinto che porti sfortuna. L’uomo minaccia di denunciarlo, portarlo in tribunale e intentare una causa per calunnia.
Sembra il preambolo di una tragedia, ma siamo in una commedia che fa morir dal ridere. E infatti sulla soglia del suo ufficio appare Sammaria, un giovane in cerca di lavoro. Sembra intelligente, gioviale e preparato, ma il commendator Savastano è attratto da un’altra qualità di quel giovane: la sua gobba.
Da qui partono una serie di eventi paradossali ed esilaranti che vedranno al centro della vicenda la credulità del povero commendator Savastano.
Peppino De Filippo aveva ambientato la sua storia nella Napoli un po’ oleografica degli anni 30. Luigi aveva posticipato l’ambientazione una ventina d’anni più avanti. Noi seguiremo questo sua intuizione avvicinando ancora di più l’azione ai giorni nostri, ambientando la storia in una Napoli anni 80, una Napoli un po’ tragicomica e surreale in cui convivevano Mario Merola, Pino Daniele e Maradona.
Lo spettacolo concepito con un ritmo iperbolico condenserà l’intera vicenda in un solo atto di 90 minuti. (Leo Muscato)
Giovedì 10 febbraio, Peppe Barra in "Non c'è niente da ridere" di Peppe Barra e Lamberto Lambertini
regia Lamberto Lambertini, con Lalla Esposito
musicisti: Pasquale Benincasa, Giuseppe Di Colandrea, Agostino Oliviero, Antonio Ottaviano, Giorgio Mellone, Gianluigi Pennino
musiche Giorgio Mellone, scene Carlo De Marino
costumi Annalisa Giacci, luci Francesco Adinolfi
assistente alla regia Francesco Esposito
“Vi fa molto ridere questa mia poesia? - dice l’Attore al pubblico che si sbellica - Ci ho messo cinque anni per scriverla!” Qui sta la chiave di questo spettacolo, da qui il titolo: Non c’è niente d ridere.
Uno spettacolo al contrario che incuriosisce, sorprende e diverte, fin dalla prima scena. Anche la scenografia raffigura un teatro visto dal punto di vista degli attori, con il sipario, le quinte, da dentro, con i palchetti accesi come fondale e le luci della ribalta accese contro di noi.
In questo spazio irreale si avvicendano un Attore e un’Attrice (Peppe Barra e Lalla Esposito). Macchiette, canzoni, monologhi del vecchio Varietà e surreali parodie del teatro
classico napoletano, rappresentano le situazioni drammatiche della coppia teatrale, fino all’inatteso finale pulcinellesco, di comica e malinconica poesia.
L’Attore veste il panni di Pulcinella morto che scende in terra per vedere che fine ha fatto la sua Colombina, che invece ritrova furiosa perché si credeva abbandonata. Piano piano, sull’onda dei ricordi, sommersi dalla nostalgia di un’epoca perduta, che non tornerà mai più, tre bisticci, dolci parole d’amore e duetti, si abbracciano per andarsene insieme in Paradiso.
Uno spettacolo dal ritmo incalzante, per i continui cambi di scena, di luce, di costume, di linguaggio, uno spettacolo d’Attore, come si diceva un tempo, sostenuto e arricchito dalle musiche dal vivo. Peppe Barra e Lamberto Lambertini, di nuovo insieme, vogliono offrire al pubblico uno spettacolo che, con lo stesso spirito di quel Teatro che insieme con l’indimenticata Concetta Barra, riuscì, per dodici anni, in Italia e nel mondo, a coniugare l’applauso del pubblico con l’esultanza della critica, la risata con la commozione, la leggerezza con la cultura, la raffinatezza con la volgarità.
Oggi più che mai, dopo tanti mesi oscuri e difficili, pubblico desidera divertirsi, soprattutto nel senso di essere trascinato fuori dal tempo e dalla realtà, perché il vero teatro, si sa, è sempre più bello della vita vera, perché sul palcoscenico persino la morte è per finta.
Giovedì 24 febbraio, Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro in collaborazione con Bon Voyage e con Festival Teatrale di Borgio Verezzi presenta Lello Arena in "Parenti serpenti" di Carmine Amoroso
con Giorgia Trasselli e con (in o. a.) Raffaele Ausiello, Marika De Chiara, Andrea de Goyzueta, Carla Ferraro, Luciano Giugliano, Anna Rita Vitolo
scene Roberto Crea, ideazione scenica Luciano Melchionna
costumi Milla, musiche Stag
disegno luci Salvatore Palladino
assistente alla regia Sara Esposito
regia di Luciano Melchionna
Lello Arena diretto da Luciano Melchionna è il protagonista della divertente e amara commedia di Carmine Amoroso, conosciuta dal grande pubblico grazie al film “cult” di Mario Monicelli del 1992.
Tutto ha inizio con un Natale a casa degli anziani genitori che aspettano tutto l’anno quel momento per rivedere i figli ormai lontani. E se quest’anno gli amati genitori volessero chiedere qualcosa ai loro figli? Se volessero finalmente essere “accuditi”, chi si farà carico della loro richiesta?
Luciano Melchionna, il visionario creatore di Dignità Autonome di Prostituzione, costruisce uno spaccato di vita intimo e familiare di grande attualità, con un crescendo di situazioni esilaranti e spietate che riescono a far ridere e allo stesso tempo a far riflettere con profonda emozione e commozione.
Note di regia
Un Natale in famiglia, nel paesino d’origine, come ogni anno da tanti anni. Un Natale pieno di ricordi e di regali da scambiare, in questo rito stanco che resta l’unico appiglio possibile per tentare di ravvivare i legami famigliari, come il fuoco del braciere che i genitori anziani usano, ancora oggi, per scaldare la casa: un braciere pericoloso ma rassicurante come tutte le abitudini e le tradizioni. Un Natale a casa dei genitori anziani che aspettano tutto l’anno quel momento per rivedere i figli cresciuti, andati a lavorare in altre città. Uno sbarco di figli e parenti affettuosi e premurosi che si riuniscono, ancora una volta, per cercare di spurgare le nevrosi e le stanche dinamiche di coppia di cui sono ormai intrisi, in un crescendo di situazioni esilaranti e stridenti in cui tutti noi possiamo riconoscerci.
Immaginare Lello Arena, con la sua carica comica e umana, nei panni di papà Saverio mi ha fatto immediatamente sorridere, tanto da ipotizzare il suo sguardo come quello di un bambino intento a descrivere ed esplorare le dinamiche ipocrite e meschine che lo circondano nei giorni di santissima festività. È un genitore davvero in demenza senile o è un uomo che non vuole vedere più la realtà e si diverte a trasformarla e a provocare tutti?
Andando via di casa, diventando adulti, ogni figlio ha dovuto fare i conti con la realtà, ha dovuto accettare i fallimenti e ha imparato a difendere il proprio orticello mal coltivato, spesso per incuria o incapacità, ma in quelle pause fatte di neve e palline colorate ognuno di loro si impegna a mostrarsi spensierato, affettuoso e risolto. All’improvviso però, i genitori, fino ad allora punti di riferimento, esprimono l’esigenza di essere accuditi come hanno fatto anni prima con loro: uno dei figli dovrà ospitarli e prendersi cura della loro vecchiaia… a chi toccherà?
All’improvviso, dunque, un terremoto segna una crepa nell’immobilità rassegnata di un andamento ormai sempre uguale e in via di spegnimento, una crepa dalla quale un gas mefitico si espanderà e inquinerà l’aria. Sarà la soluzione più spicciola e più crudele a prendere il sopravvento. Verità? Paradosso? Spesso, come si è soliti dire, la realtà supera la fantasia. E questo mi ha spronato ad affrontare un testo che ha la peculiarità rara di fotografare uno spaccato di vita famigliare sempre assolutamente attuale, purtroppo. Si può far ridere nel raccontarlo e sorridere nell’assistere alle spumeggianti gag ma, allo stesso tempo, non ci si può riflettere sopra senza una profonda amarezza. Viviamo in un’epoca in cui i valori, primo fra tutti il rispetto, stanno pian piano sparendo e l’egoismo sta prendendo decisamente il sopravvento sulla carità umana e sulla semplice, fondamentale, empatia. Prima o poi saremo tutti dei vecchi bambini bisognosi di cure, perché trasformarci in soprammobili polverosi, inutili e ingombranti?
In quest’epoca in cui tutto e il contrario di tutto sono la stessa cosa ormai, con questa commedia passeremo dalle risate a crepapelle per il tratteggio grottesco e a tratti surreale dei personaggi al più turpe cambiamento di quegli esseri che – chi di noi non ne ha conosciuto almeno uno? – da umani si trasformeranno negli animali più pericolosi e subdoli: i serpenti.
Luciano Melchionna
Martedì 8 marzo, Clap presenta Paolo Caiazzo in "Terroni si nasce ed io lo nacqui... modestamente"
scritto e diretto da Paolo Caiazzo
percussioni, Emidio Ausiello
chitarra, Franco Porzio
fisarmonica, Sasa' Piedepalumbo
contrabasso, Roberto Giangrande
E’ chiara ed evidente la citazione omaggio al principe della risata ed alla sua battuta cinematografica “Signore si nasce, ed io lo nacqui… modestamente”
Il termine “Terrone” inserito nel titolo è una dichiarazione d’amore per le mie origini, ed io, come contadino della mia “Terra”, intendo coltivarla!
Con leggerezza ed il supporto di musicisti in scena racconto la mia Meridionalità. Monologhi, poesie e canzoni per uno spettacolo di incalzante divertimento e riflessioni sulla Terronia, sui suoi pregi ed i suoi difetti.
Ma non solo Sud! Anche attualità, politica nazionale ed internazionale per commentare comicamente la vita di tutti i giorni, vizi e manie dei nostri tempi ma sempre con la filosofia che la mia terra ci ha regalato.
Non può mancare in scena il mio alter ego televisivo Tonino Cardamone ed il suo motto: “’a capa mia nun è bona”. A lui è affidata la parentesi della follia dei saggi con la saggezza della sua follia.
Più che uno spettacolo è una “Mission” sempre più “Impossible” ai giorni d’oggi: Divertire e divertirsi. Ma bisogna tentare, anche su tematiche serie e drammatiche, senza prendersi tanto sul serio, perché sono sempre più convinto che affrontare un problema disposto a riderci su, è probabile che tu possa vincere, se ti abbatti e ti disperi… hai già perso. (Paolo Caiazzo)

Fuori abbonamento

22 Dicembre, ore 20:30, Peppino di Capri in concerto
L'artista vanta numerosi successi che lo hanno portato a diventare ambasciatore della canzone italiana nel mondo. Per lo show natalizio che si terrà il 22 dicembre dalle ore 20.30, il maestro sarà accompagnato da un'orchestra di dodici elementi, tra cui il musicista capuano Adriano Guarino, chitarrista storico dell'amabile voce di Capri. Unico cantante italiano a salire sullo stesso palco calcato dai Beatles, mr. Peppino, da cittadino onorario di Capua, non fa segreto di essere molto legato alla città e alla famiglia Modugno, organizzatrice dell'evento natalizio. L'artista ha ricambiato l'affetto già nel 2011, prestando la voce a “Merry Christmas”, il disco inciso per iniziative benefiche, con l'orchestra della Basilica Benedettina di Sant'Angelo in Formis.
29 dicembre
, ore 20:30, concerto di Tommaso Primo, che porterà in scena il suo nuovo lavoro discografico, "Favola Nera".
Storie di strada, ambientate tra vicoli e periferie abbandonate, legate da un filo conduttore, la sessualità. La Napoli del ventre sullo sfondo, anzi, del basso ventre, gli ultimi come protagonisti.
La band sarà composta da Giuseppe Spinelli (Chitarre), Luigi Castiello (Basso e contrabasso), Stella Manfredi (violino) e Antonio Esposito.
Mercoledì 19 Gennaio, ore 20:30, Grand Guignol de Milan in "Il Diavolo Anarchico"
Scritto e Diretto da Gianfilippo Maria Falsina Lamberti
con Lorenzo Andrea, Paolo Balducci, Agnese Grizzaffi, Mattia Maffezzoli, Gianfranco Ventriglia
«Si dice che la famiglia Pianetti possedesse un libro magico, frutto di un eterno patto col Diavolo, e che i suoi proprietari avevano venduto le anime dei propri familiari al demonio in cambio di prosperità e ricchezza.
Quando però il libro venne gettato tra le fiamme, sventura e maledizione iniziarono a colpire la famiglia...»
La Compagnia che ha riportato in Italia il Grand Guignol con uno spettacolo in anteprima nazionale dedicato alle vicende del più misterioso, appassionante e ricercato serial killer italiano di inizio '900: Simone Pianetti.
Esistevano davvero legami tra Simone Pianetti e il Diavolo, figura alla quale per tutta la vita venne associato?
Cosa lo portò a diventare l'uomo più ricercato del suo tempo?
Quale la sua fine?
Preparatevi ad un'indagine che ripercorrerà la vita, le scelte e le idee di uno dei personaggi più affascinanti del suo tempo in un catartico viaggio tra i pregiudizi, le crudeltà e la vendetta che ne consacrarono la leggenda.
INFO: Tel: 0823963874
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6 maggio, ore 20.30, scritto e diretto da Enrico Maria Falconi.“Italiani brava gente”
I protagonisti della commedia evocano il fenomeno migratorio italiano, con l’ironia e l’essenza dei sentimenti nostrani.
in scena: Elena Russo, Peppe Piromalli, Federica Corda, Maria Teresa Iannone ed Alessandro Sparacino.

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Biglietteria: dalle 17.30 alle 21.00
8 spettacoli : Platea 230€ Galleria €180

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