Centometriquadri Arte Contemporanea: eventi
Santa Maria Capua Vetere(CE) - ottobre- dicembre 2025
Comunicato stampa
Dal 31 Ottobre al 18 Novembre, collettiva "Terraforming"
di Di GIrolamo, Abbate, Pellegrino
Può la pittura trasformare un luogo?
Terraformare: verbo nato dalla fantascienza,oggi risuona come gesto
artistico, atto radicale di trasformazione, sogno possibile.
Ma può un
pittore,con la sola forza della pittura,dare nuova forma a un luogo?
Tre
artisti si confrontano con questa domanda,ognuno attraverso una visione
diversa, complementare, necessaria.
Pellegrino,
indaga la geometria dei suoi paesaggi quotidiani, quelli oltre la sua
porta, i piu vissuti della sua pratica. L'artista riduce, astrae ed
essenzializza, creando cosi dei moduli minimali, frammenti di architettura
post-moderna che, con atti brevi e poetici, finiscono per rigenerare la
natura. Paesaggi sintetici ma vivi nella loro cromia, quasi come se un
calcolo, un algoritmo, li facesse rinascere.
Di
Girolamo nella sua pratica diventa pionere, una gamba nel passato
corroso dalla superficialità del gesto umano. Le sue opere sono visioni,
stratificazioni di un tempo armato all'implosione. La pittura diventa mezzo
di resistenza e memoria, in dialogo con la sua narrazione filosofica e
fantascientifica nata dal libro 24601: Una storia di catarsi dello
speranzoso Orion Vesper, suo alter ego conversa con un'intelligenza
artificiale. Un viaggio pittorico in un futuro pre-apocalitico.
Abbate, un artista che abita nei cieli e
oltre i cieli. La sua pittura è desio, tensione, un abissale bisogno di
vedere I'invisibile, sgamare il bugiardo bidimensionale domandandosi: puo
una nube fuoriuscire dalla sua griglia? La sua pittura è uno stendersi di
cromie che non esistono ancora,sfumature che tentano di descrivere un
firmamento a venire, un'astronomia sentimentale. Cosi lo spazio diventa
proiezione,lo spazio si abita di verità.
Terraformàre, dunque, non è
solo trasformare un luogo: è reimmaginare il nostro modo di abitarlo.
dal 21 novembre, "Non tutto il vuoto viene per nuocere",
mostra di Nicola D’Ambrosio a cura di Alessandro Calvanese.
Il progetto
espositivo ci accompagna in un viaggio introspettivo nell’inconscio
dell’artista, un attraversamento del vuoto come condizione esistenziale e
creativa. D’Ambrosio fonda la propria ricerca sui principi della filosofia
zen, concependo l’arte come via: un cammino di consapevolezza e
trasformazione interiore. Qui il vuoto, lungi dall’essere semplice assenza,
diventa lo spazio stesso in cui ogni forma, ogni gesto e ogni pensiero
possono manifestarsi. L’artista ci racconta un’esperienza di guarigione,
l’elaborazione di un lutto, una narrazione personale che si dipana tra
memoria, materia e forma, e che conduce il visitatore attraverso le tappe
di una metamorfosi profonda e sensibile.
La mostra si apre con una
tensione verso la materia, un dialogo tra ciò che resta e ciò che si
dissolve. Le prime opere disposte a parete nascono quasi per caso, dai
residui di un gesto pittorico ormai in esaurimento. Le Morte Memorie —
carte gommate nate per proteggere il tavolo da schizzi di colore —
diventano l’ossatura di una nuova ricerca. In esse, D’Ambrosio ritrova
l’eco del suo stesso inconscio: la “feccia” della pittura, scarto e
testimonianza di un processo ormai consumato, si fa corpo, pelle, memoria.
Quelle carte sporche e lacerate, abitate da segni casuali, si trasformano
in reliquie di un linguaggio che sta morendo e, nel morire, si rigenera.
Inizialmente piatte e lineari assumono forme e figure che non reggono più
lo spazio bidimensionale. Il passaggio dalla pittura alla scultura infatti
avviene come un atto di necessità: l’artista ha bisogno di una terza
dimensione per esorcizzare il dolore, per dare forma a un’energia
compressa. Nascono dall'assemblaggio di materiali di riciclo: creature
ibride e mostruose, le Anima Male, esseri provenienti da un medioevo
interiore.
I molteplici esseri disseminano lo spazio della galleria,
appollaiati su alti plinti come guardiani silenziosi. Evocano un
immaginario gotico: come gargoyle che vegliano sulle cattedrali, le
sculture tentano di esorcizzare il male, di imprigionarlo in una forma, ma
finiscono per restituirne l’essenza; paura, solitudine, smarrimento.
È
dall'assemblaggio spontaneo di elementi di scarto che l’artista sente gli
impulsi di riempire ogni interstizio con l'utilizzo di cartapesta,
cementite, segatura e carte gommate dipinte. È l’horror vacui medievale che
manifesta il bisogno di decorare tutto, di saturare ogni spazio, come se
lasciare un punto vuoto significasse ammettere un’assenza, una perdita. Ma
è proprio da questo eccesso, da questa febbre del pieno, che comincia a
emergere un nuovo tipo di equilibrio. L’artista comprende che solo
attraversando il vuoto può arrivare a un’altra forma di pienezza. E così,
lentamente, la materia cambia tono. I colori tornano, ma in modo più
essenziale. Le forme si fanno armoniose, la scultura si alleggerisce, la
pittura ritorna come respiro, come cornice e compimento. È qui che nasce il
ciclo dei Tassastri, sintesi e rinascita di tutto il percorso precedente.
In queste opere, il vuoto non è più temuto: diventa spazio di libertà,
campo di connessione tra gli opposti. Il simbolo che accompagna questa
trasformazione è il Tasso-Astro, creatura immaginaria che unisce la forza
terrena del tasso alla leggerezza celeste dell’astro. Il tasso, animale
notturno e resistente, capace di scavare nel buio della terra, si eleva
verso il cielo: un salto metaforico che trasforma il dolore in energia, la
paura in coraggio, l’ombra in luce. In questa figura totemica convivono il
gesto sciamanico e la tensione poetica; è il simbolo della rinascita, del
“non tutto il vuoto viene per nuocere”.
D’Ambrosio sembra farsi canale
di un principio alchemico: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si
trasforma (A. Lavoisier).
La pittura morta si reincarna nella scultura,
la scultura si apre alla leggerezza del colore, e la materia di scarto — la
carta gommata, la feccia del gesto — diventa memoria viva di ciò che è
stato. L’intero progetto diventa così una meditazione visiva sulla
trasformazione: dal caos alla forma, dal dolore alla consapevolezza, dal
pieno all’accoglienza del vuoto.
Le opere di D’Ambrosio descrivono tappe
di un processo di guarigione. Invitano chi le osserva a sostare, a
respirare, a riconoscersi nei loro passaggi. Non tutto il vuoto viene per
nuocere si sigilla come un rito di memoria: un atto di trasformazione che
nasce da una perdita, da un vuoto. Nell’assenza D’Ambrosio trova un nuovo
inizio, in questo spazio sospeso D’Ambrosio ci invita a contemplare il
vuoto non come mancanza, ma come origine.
Perché nel vuoto, a ben
guardare, c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno
Centometriquadri Arte Contemporanea, via C. Santagata, n.14, Santa Maria
Capua Vetere (CE)

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