"Il più grande del mondo" intervista al regista e al protagonista

Caserta – 2 Aprile 2014

Articolo di Roberta Cacciapuoti

Andrà in scena questo fine settimana al Teatro Civico 14 di Caserta "Il più grande del mondo. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo". La drammaturgia è di Simone Caputo, Ilaria Delli Paoli e Rosario Lerro; il testo è interpretato da Roberto Solofria per la regia Rosario Lerro. Ho posto al regista e al protagonista dello spettacolo alcune domande, ecco come mi hanno risposto.

Roberta Cacciapuoti: Come vi siete approcciati alla tematica complessa e delicata della deportazione degli ebrei nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale? E in che modo avete deciso di trattarla e portarla sulla scena?
Rosario Lerro: L’olocausto e in generale tutti i genocidi, che si sono consumati nel mondo, ci avvicinano alla parte oscura di ognuno di noi. "La banalità del male” di Hannah Arendt ci ha descritto proprio questo. La colpa dei gerarchi nazisti non sta nell’aver violato una legge in vigore, ma di aver attentato all’umanità stessa, alla sua base, impedendo il diritto fondamentale di essere diversi gli uni dagli altri. L’olocausto è proprio questo. Impedire all’umanità di esistere. E allora non bisogna stancarsi di raccontare quello che è successo. L’olocausto che ci viene raccontato a scuola è qualcosa che ha a che fare più con le statistiche, i numeri. Ma dietro quei numeri ci sono dei volti e bisognerebbe ricordarli tutti. E noi abbiamo deciso di raccontare la storia di un allenatore di calcio, della sua famiglia, dei suoi figli. Costretti a fuggire, inseguiti da documenti che li costringevano a stare fuori da locali pubblici, a non partecipare alla vita sociale e civile del paese in cui vivevano. La nostra messa in scena è un continuo entrare e uscire dai pensieri di Arpad. Dai momenti belli e dalle vittorie fino alla paura e alla consapevolezza del proprio destino. Pochi elementi scenici evocativi e un testo asciutto ed essenziale. Perché il male va trattato con delicatezza. Questa tragedia è ancora una ferita aperta e va trattata con rispetto.

R.C.: Tantissime storie sono state raccontate, e sicuramente continueranno ad essere raccontate anche in futuro, sull'olocausto e sui suoi sfortunati protagonisti. Come mai avete scelto di raccontare proprio la storia di Arpad Weisz, cosa vi ha colpito di questo allenatore e della sua vita?
R.L. : Il teatro è questo. Raccontare storie, far vivere emozioni al pubblico. Dare volto e voce a quei numeri impressi sulle luride divise dei campi di concentramento. Madri, padri, figli, nonni. E anche personaggi famosi, intellettuali, sportivi. Arpad era il più grande allenatore d’Europa. Innovatore di un calcio epico, in cui i giocatori rincorrevano ancora un pallone e non soldi e fama. Epoca in cui lo sport iniziava a costruire identità e fratellanza. Rivalità ma anche rispetto. Un mondo dello sport molto distante da quello di adesso. Di Arpad ci ha colpito la sua dignità. Il voler a tutti i costi continuare a fare il suo mestiere. Il suo viaggio fuori dall’Italia ma sempre con il calcio nella mente. “E se c’è un modo per uccidere Weisz è togliergli il pallone”. L’amore per la sua famiglia, i suoi figli. La volontà di donargli fino all’ultimo una vita normale, di fargli frequentare la scuola. Una storia come tante, una sofferenza che si perde nella sofferenza dei tanti ma anche la storia del più grande allenatore d’Europa. Svanito, dimenticato. Come sei milioni di persone.

R. C.: La Storia mondiale che entra nella storia del singolo, che irrompe nella quotidianità di un allenatore di calcio. Come ti sei preparato per interpretare Arpad e quale pensi sia il modo più giusto di raccontare la sua storia?
Roberto Solofria: Premetto che non credo che a teatro bisogni prepararsi particolarmente su un personaggio, a meno che non si intenda capire di cosa stiamo parlando. Un personaggio è un uomo che si muove, cammina, pensa, come un qualsiasi uomo, è la storia che racconta a fare la differenza, una storia che modifica, inevitabilmente, lo stare in scena, il modo, la postura, l'essere. Il teatro non è il cinema, pertanto é finzione per antonomasia. L'attore interpreta sentimenti, racconti, emozioni. Questo Arpad Weisz ha la mia faccia, ha il mio modo di essere, ma soprattutto il mio porsi, attraverso la sua storia, raccontata da Rosario, Ilaria e Simone. Ho cercato di non parere patetico, cosa che nella quale, a volte, si rischia di cadere. È troppo semplice risultare patetico come semplice è riuscire, grazie al tema trattato, a far commuovere; ho cercato di stare in mezzo, sul filo, per non essere banale, e sicuramente un grande aiuto me lo hanno dato Rosario con la regia e Ilaria con l'aiuto regia e il sostegno morale.

Consulta: Teatro Civico 14: stagione teatrale 2013-14

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