Teatro “Caserta Città di Pace”: “Piradellando”

Caserta – 22 Gennaio 2009

Articolo di Rossella Barsali

Terzo incontro per il Teatro “Caserta Città di Pace”, curato dalla direttrice artistica Anna D’Ambra con passionale attenzione: Pirandellando segue la scia di alto profilo culturale aperta dal tributo a Fabrizio De André, inserendosi in un filone di voci da non dimenticare. Se il teatro usa spesso il linguaggio immaginifico, qui è piena consapevolezza del reale, che ha mille sfaccettature.
Lo spettacolo, purtroppo mutilato degli interventi musicali per guasto tecnico, si dipana tra due atti unici “dal segno opposto, ma altrettanto significativi, nell’illustrare compiutamente la poetica pirandelliana”: e la sequenza scelta (prima il drammatico “L’uomo dal fiore in bocca”, poi il frizzante “Cecè”) invita lo spettatore prima a riflettere, poi a sorridere.
L’allestimento del regista Giovanni Meola è aderente alle tematiche pirandelliane: scarno in entrambi gli atti unici, gioca solo sulla differenza di tonalità (un imperante rosa antico nella scenografia di Cecé – dagli abiti alla tappezzeria), puntando l’attenzione dello spettatore sui dialoghi, e sulla mimica (un sincero plauso a tutti e tre gli attori, in particolare a Luigi Credendino, sconcertato e commosso viaggiatore nel primo atto, scaltro faccendiere nel secondo).
“L’uomo del fiore in bocca” affronta la diversa interpretazione del vivere quotidiano, contrapponendo la vacuità del superficiale attraversamento delle cose con la feroce e disperata intenzione di godere di qualunque attimo, anche di quelli altrui. Il diverso modo d’intendere la vita nasce dalla consapevolezza di perderla. E’ la grande tematica dostojevskjiana, del condannato a morte graziato all’ultimo momento, che Pirandello riprende e modernizza, agganciandola al mito della malattia incurabile, e che troppo spesso, assuefatti da continue notizie mediatiche, trascuriamo di valutare come merita. Un grande monito, dunque, reso da un efficace Enrico Ottaviano, a tratti distaccato ma disperato fuggiasco da un destino (e una premurosa moglie!) ineluttabile.
“Cecé” alleggerisce senz’altro l’atmosfera, e mostra un insolito Pirandello, brioso e leggero, che però non rinuncia alle tematiche a lui care: Cecé (L. Credendino) è conosciuto da tutti, ma non conosce, è perplesso su come possa apparire agli altri, un sé diverso per ogni interlocutore, si sente “uno, nessuno e centomila”, ma ciò non gli impedisce un paio di truffe ai danni di un commendatore (un esilarante E. Ottaviano) e di una splendida ragazza (la statuaria Sara Missaglia, dotata di grande fascino scenico), beneficiando sia del denaro che dei favori della stessa ragazza.
Grande conoscitore dell’animo umano, ritroviamo intatti dopo un secolo costumi e comportamenti!
Attuale, dunque, molto attuale. L’intelligenza dello spettacolo sta nell’aver saputo accostare la forza introspettiva dell’”l’uomo dal fiore in bocca” con lo sguardo malandrino di “Cecé”, restituendo spunti e “connessioni” sul nostro modus vivendi.

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