 Recensione 
     di "Sabbia" di Michele Pagano ad Officina Teatro
Recensione 
     di "Sabbia" di Michele Pagano ad Officina Teatro
     
	  S. Leucio (CE) – 10 ottobre 2009
Articolo di Rossella Barsali, foto di Massimo Pieri
C’è un posto, in noi, in cui il tempo gioca a rincorrersi da metà campo, con 
scarti e dribbling, tornando indietro e poi riguadagnando terreno fino al volo 
finale nella porta. E, dopo i supplementari della memoria, si ferma: decidendo 
la vita ai calci di rigore.
E ci sono sacchi, dentro di noi, che si spalancano all’improvviso, liberando 
scrosci di applausi e sabbia, di eguale consistenza, anche se la sabbia si 
presta a forgiature infinite (gli applausi, solo ad una…!).
E poi, c’è un pallone. Il pallone, lo possediamo tutti, ed è quello che unisce o 
separa. Ed è l’archetipo ricorrente delle domeniche pomeriggio, quelle che non 
passano mai, quando sei adulto, e che passano troppo in fretta quando sei un 
bambino e corri
Sulla sabbia
Dietro ad un pallone.
“Sabbia” comincia così: con un uomo, la sabbia e un pallone. 
E i sacchi.
E gli spot.
Poca musica, ma giusta, di quella entrata nella memoria collettiva di una certa 
generazione. Ed una porta, di calcio, dove accadono le decisioni più importanti 
della vita di Tanino.
Dalla celeberrima Italia-Germania (1982) fino a Italia-Francia (2006), i ricordi 
di Tanino sono tutti per il suo amico ‘Cenzino, “uguale” a lui in una sorta di 
identificazione e fusione, da cui lo separerà solo l’infatuazione per la stessa 
ragazza, decisa ai rigori, con ‘Cenzino in porta e Tanino al dischetto. 
Racconta, Pagano, lo strappo del tradimento dell’amicizia d’infanzia, quello più 
doloroso di tutti. La complicità del corteggiamento e del voyeurismo, e il 
segreto vergognoso nell’adolescenza che porta ai calci di rigore la decisione di 
un viaggio migratorio che faticosamente conduce all’emancipazione e alla 
maturità, con tutta la sofferenza degli inciampi e del rimettersi in piedi. Fino 
al ritorno, e alla dolorosa constatazione dell’impotenza verso la morte.
Recita da solo, Michele Pagano, e ha progressivamente sparso sabbia ovunque: 
l'ha usata trasformandola in acqua, in amicizia, in memoria, in dolore, in rene 
malfunzionante, in amore, in morte... Ha trovato nella sabbia le lettere 
d’amore, ha seppellito nella sabbia gli sbagli, l’ha trasformata in un giaciglio 
di preghiera, in talamo e campo da gioco, sfruttandone l’estrema versatilità. 
Magistrale la sua interpretazione al rallenty, molto movie, come del resto tutti 
i rimandi del suo “Sabbia”, a Salvatores, Leone, Tornatore, molto tangibili in 
tutti i “90 minuti” di spettacolo da lui stesso confermati in una chiacchierata 
a fine performance. Pagano sfrutta il suo talento mimico in più di un’occasione, 
trascorrendo addirittura qualche minuto in silenzio, mimando una conversazione. 
E lo stesso dicasi della dizione, con un accento calabro, assolutamente fluido. 
Ha 30 anni, ma potrebbe averne 80 o 9, a seconda del momento. Ma, impanato di 
sabbia e con lo sguardo sfrontato ed allegro da mietitore di successi, a fine 
spettacolo, né dimostra meno di 19.
Consulta: Officina Teatro Stagione 2009/10 "Prospettive Contemporanee"




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