Morso di luna nuova

  

Stagione 2009/10 al Teatro Comunale

Caserta – dal 27 Novembre 2009 al 29 Marzo 2010

Comunicato stampa

Inizio spettacoli: venerdì e sabato ore 21, domenica ore 18:30

Programma:
dal 27 al 29 Novembre, Khora Teatro presenta Alessandro preziosi in "Amleto" di W. Shakespeare, regia di A. Pugliese. Zero P.M, alle musiche (Paky Di Maio) (nostro articolo)
dal 4 al 6 dicembre, Ass. Spettacoli Associati presenta Carlo Buccirosso in "I Compromessi sposi" di Carlo Buccirosso, regia di Carlo Buccirosso  (nostro articolo)
Don Rodrigo, usuraio originario di Acerra, decide di emigrare al Nord con i suoi due scagnozzi sulle rive del lago di Como, per tentare di rivitalizzare la propria attività finanziaria, ormai compressa dall’ insopportabile concorrenza e dalla crescente inflazione di organizzazioni similari su tutto l’entroterra campano!
Vittime predesignate delle sue lusinghe finanziarie saranno a turno Don Abbondio, Perpetua, Agnese, Renzo, e la stessa Lucia, oggetto di costanti lusinghe ed agevolazioni economiche riguardo ai tassi di interesse praticati dall’ usuraio campano in terra lombarda!
L’ organizzazione, ispirata al sistema della “minaccia da picciotto siciliano”, porterà Don Rodrigo e i suoi “bravi” al cospetto dell’ Innominato, padrino del lago di Como, cui saranno costretti, loro malgrado, a chiedere un cospicuo aiuto economico per il sostentamento della loro attività!
Lo spettacolo, ispirato dal noto romanzo Manzoniano, liberamente riscritto in chiave satirica, ne ripercorre le vicende sostanziali, attraverso i suoi personaggi più significativi e le motivazioni più rimarchevoli, dando la visione di una realtà riportata ai nostri giorni, pur mantenendo immutate le atmosfere, gli ambiente e i costumi d’ epoca, con i piacevoli intermezzi di melodie note, riarrangiate in chiave seicentesca, e cantate dai protagonisti della vicenda nei momenti musicali dello spettacolo, che si avvarrà anche di coreografie corali. Nel divertente gioco teatrale, che assume a tratti i contorni tipici della commedia musicale e dell’ operetta classica, Carlo Buccirosso si ritaglia il personaggio di Don Rodrigo, attorniato dagli attori della compagnia, e altri interpreti della vicenda, con un corpo di ballo e quattro cantanti.
dall'11 al 13 Dicembre, Teatro Eliseo presenta Leo Gullotta in "Il piacere dell'onestà" di Liugi Pirandello, regia di Fabio Grossi
Leo Gullotta porta in scena il Piacere dell’Onestà di Luigi Pirandello.
Un altro testo pirandelliano scelto da Gullotta, che già con L’uomo, la bestia e la virtù aveva ottenuto uno straordinario successo di critica e di pubblico, 95000 presenze in tutta Italia nei tre anni di tournée, e la candidatura come miglior attore protagonista ai Premi Olimpici del Teatro 2008.
La commedia affronta uno dei temi cari a Pirandello: l’onestà, una scelta ponderata e voluta da Leo Gullotta che porta in scena Il piacere dell’onestà con lo stesso gruppo artistico del precedente spettacolo: il regista Fabio Grossi, lo scenografo e costumista Luigi Perego, Germano Mazzocchetti per le musiche, Valerio Tiberi per le luci.
Accanto a Gullotta, nel ruolo di Angelo Baldovino, Martino Duane (Fabio Colli), Paolo Lorimer (Maurizio Setti), Mirella Mazzeranghi (Maddalena), Valentina Beotti (Agata Renni) e con Antonio Fermi (cameriere), Federico Mancini (Marchetto Fongi) e Vincenzo Versari (Il parroco di Santa Maria) ; la produzione dello spettacolo è del Teatro Eliseo.
dal 6 all'8 Gennaio 2010, Peppe Barra in "La cantata dei pastori" di Peppa Barra e Paolo Memoli. Dall'opera del '600 di Andrea Petrucci. con Maria Letizia Gorga - Francesca Marini - Giacinto Palmarini - Giuseppe Bisogno - Gino Monteleone - Salvatore Esposito - Gabriele Barra  (nostro articolo)
Molte sono le versioni e i rifacimenti che questa opera sacra teatrale in versi, dai risvolti comici, ha avuto nel corso degli anni; venuta alla luce verso la fine del ‘600 per mano di Andrea Perrucci che la pubblicò, nel 1698, sotto lo pseudonimo di Casimiro Ruggiero Ogone.
L’opera narra la storia di Maria e Giuseppe, impegnati in un avventuroso viaggio per Betlemme; vi figurano, inoltre, i personaggi comici di Razzullo - uno scrivano inviato in Palestina per il censimento della popolazione, popolano affetto da fame atavica e incapace di svolgere un lavoro stabile - e Sarchiapone - barbiere matto, in fuga per aver commesso due omicidi.Negli ultimi decenni la “Cantata” è stata più volte ripresentata con molto successo, confermando la validità del disegno teatrale del Perrucci
La presenza di un personaggio comico come lo scrivano Razzullo all’interno di un contesto sacro doveva servire, all’epoca in cui La cantata dei pastori fu composta, ad attirare le masse popolari e a trasmettere loro il messaggio cristiano attraverso il teatro.
Partendo da questi presupposti, l’opera, rappresentata con successo per tutto l’Ottocento, vide, nel corso degli anni, l’inserimento di altri personaggi comici e uno stravolgimento sempre più marcato dei suoi contenuti, tanto che nel 1889 le autorità decisero di vietarne la rappresentazione. Ma non ci riuscirono se non per breve tempo. Infatti La cantata ha fatto parte del repertorio di molte compagnie per tutto il Novecento e oggi arriva fino a noi, portando con sé un fascino intatto, nell’allestimento di Peppe Barra, impegnato anche come regista.
Tra scherzi e tormenti, strepitosi diavoli, saltimbanchi che sputano fuoco e vomitano fumo, sospese atmosfere d’idilliaco stupore, divertenti scontri d’indecisioni fatali. Tradizione da tradire. Per inventare, aggiungendo un nuovo tassello alla memoria di un teatro popolare che si ripete da più di trecento anni e si modifica incessantemente”.
Ne “La cantata dei pastori” si incontrano tradizione ed innovazione ; la tradizione, è quella del Natale e si esplica attraverso il carico emozionale delle voci melodiose dei protagonisti che invocano la Benedizione di Dio per salvarsi dalle insidie di fumanti diavoli decisi ad impedire la nascita del Redentore. L’innovazione è invece, prerogativa dei due personaggi principali, Razzullo, interpretato dall’irresistibile Peppe Barra, e Sarchiapone, un ex barbiere squinternato, omicida per pura distrazione, reso esilarante dalla maestria di Umberto Bellissimo. Dotati di un linguaggio moderno ed informale, i due affrontano i perigli di allora con gli espedienti dei nostri giorni, ricordandoci, forse, che in ogni tempo, gli sventurati hanno sempre le stesse problematiche, ma soprattutto divertendoci e strappando più di un applauso. Molto suggestiva la scenografia mobile da favola, in cui un impeccabile cast si muove dando vita a meravigliose coreografie sulle bellissime musiche di Lino Cannavacciuolo eseguite dal vivo da un’orchestra di ben nove elementi.
Dal 22 al 24 Gennaio, Gli Ipocriti presnta Isa Danieli in "Ecuba" di Euripide, regia di Carlo Cerciello, e con Franco Acampora
E Fortunato Cerlino, Ciro Damiano, Niko Mucci, Imma Villa, Raffaele Ausiello, Caterina Pontrandolfo, Autilia Ranieri, Daniela Vitale
L’Ecuba si apre con l’apparizione di un fantasma: Polidoro, figlio di Ecuba e di Priamo, assassinato per avidità di denaro da Polimestore, re di Tracia, lamenta il destino che l’ha colpito e rivela che l’ombra di Achille ha chiesto ai Greci, in sacrificio, sua sorella Polissena.
Svanito il fantasma che aleggiava sulla tenda di Ecuba, la regina esce piena di angoscia: ha visto in sogno Polidoro e Polissena, e un lupo sbranare una cerva, strappandola alla sua protezione.
All’arrivo di Odisseo, che ha avuto l’incarico di prelevare Polissena, Ecuba, invano, fa appello alla gratitudine che l’eroe le deve per avergli salvato la vita a Troia, un giorno; egli obietta che fredde ragioni politiche impongono il sacrificio di Polissena che si dichiara pronta a morire, consola la madre e si congeda da lei con dolcezza. L’araldo Taltibio porta a Ecuba l’ordine dei comandanti greci di provvedere alle esequie di Polissena e racconta, anche, con quanta nobiltà e coraggio la giovane abbia affrontato l’istante supremo. Ecuba impartisce le disposizioni per i funerali e, subito dopo, riceve da un’ancella la notizia della morte del figlio Polidoro. Nel mentre Agamennone viene a sollecitare i preparativi funebri e si trova davanti un inatteso cadavere; Ecuba spiega cosa sia accaduto ed esige mano libera contro Polimestore, il quale, con il miraggio di un tesoro nascosto, accetta di entrare nella tenda di Ecuba con i figli al seguito e, assalito e immobilizzato, li vedrà morire prima di essere accecato. Il re tracio predice il futuro orribile che attende Ecuba (verrà trasformata in cagna) e Agamennone (verrà ucciso dalla moglie); sdegnato dalle funeste profezie, Agamennone ordina di farlo tacere e lo destina ad esser gettato su un’isola deserta.
dal 29 al 31 Gennaio, Laboratori & Laboratori Flegrei presenta Nino D'Angelo in "Lacrime napulitane" sceneggiata di Vincenzo Vitale, adattamento e musiche Nino D'Angelo con Anna Fiorelli - Vittorio Ciorcalo - Patrizia De Martino e con Antoine, Ivan Caiazzo, Pippo Cangiano, Alessandra D'Ambrosio, Diana Del Monaco, Pio Del Prete, Angelo Laurino, Mena Steffen e il piccolo Rosario Live, regia Nino D’Angelo
direzione orchestrale e pianoforte Enzo Campagnoli
chitarra e mandolino Francesco Ponzo
contrabasso e basso elettrico Francesco Sigillo
tastiere Massimo Gargiulo
batteria Agostino Mennella
Ritorna la sceneggiata, meglio conosciuta come sceneggiata napoletana, un genere di rappresentazione popolare, che alterna il canto con la recitazione e il melologo drammatico, nato e sviluppatosi a Napoli particolarmente tra gli anni ’20 e gli anni ’40 del Novecento.
Rivisitata da Nino D’Angelo, anche con le sue melodie, la sceneggiata assume, seppur con toni nostalgici e originali al tempo stesso, una chiave moderna dove, già dalla scena di una Napoli perbene e semplice, lo spettatore entra in un àmbito familiare di valori e tradizioni mai perdute.
Il tradimento, inteso più come rottura di valori che come amore passionale, andrà a sconvolgere le vite dei partecipanti della famiglia, creando un alone di sofferenza e vergogna per la perdita dell’unione familiare.
Il colpo di scena, alla fine del terzo atto, sarà il ritorno a casa del marito tradito, che decide, civilmente e con coscienza, di non «lavare con il sangue» il nemico, ma di lasciarlo andare via…
Questa è la nuova Napoli, la Napoli che, seppur all’interno della sceneggiata, resta ancorata ai valori di rispetto e di non violenza.
dal 5 al 7 Febbraio, Mariano Rigillo e Maria Teresa Rossini in "Romolo il grande" di Friederich Durrenmatt, regia di R. Guicciardini Divini libri: al Teatro comunale per bere ... libri e leggere ... vini
Mariano Rigillo è da sempre interprete di testi importanti che si evidenziano per messe in scena innovative e apprezzate.
L’allestimento di “Romolo, il Grande” si basa sull’omonimo testo di Friedrick Dùrrenmatt, scrittore svizzero che ha sempre fatto scalpore per il taglio non troppo “politicamente corretto” dei suoi romanzi, caratteristica mantenuta viva da Roberto Guicciardini che ne cura la regia.
“Comico e insieme pessimistico, “Romolo, il Grande” è, come recita il sottotitolo, una commedia storica che non si attiene alla storia, rappresentando il Tardo Impero Romano alla vigilia della sua caduta. Un impero che era riuscito a sopravvivere basandosi sull’ideale di uno stato autoritario oppressivo e violento, è ora allo sfacelo e il suo Imperatore, per tutta risposta si consacra unicamente all’allevamento di polli.
Inutili gli appelli dell’Imperatrice che vuole risvegliare le ambizioni del regale consorte. A corte gli unici funzionari ancora efficienti sono il cuoco e i due camerieri, mentre l’esercito invasore si appressa sempre di più.
Situazioni comiche e satira amara si incrociano verso un epilogo inaspettato. Alla testa dell’Impero c’è un uomo che non vuole più corrispondere alle aspettative, disprezzato da tutti per la sua manifesta debolezza nel comando.
In realtà, la maschera del pazzo è solo una simulazione infatti Romolo vuole esprimere il proprio rifiuto per il mondo in cui vive perché non crede più negli ideali su cui si basa.
In scena c’è soprattutto un mondo grottesco che non può più essere superato agendo e trasformando, come auspicava Brecht nella sua drammaturgìa, ma può solo essere sofferto e sopportato.
Romolo è Grande perchè è l’unico a riconoscere il carattere grottesco della realtà e decidere di recitare il ruolo di clown.
Di Romolo vanno colte ironia e autoironia le difese più efficaci contro la disperazione e il senso di impotenza.
Quest’ideale di eroismo è proposto in maniera divertente facendo uso di gags cabarettistiche e di esagerazioni grottesche, in un linguaggio insieme espressivo e di grande effetto.”
Dal 19 al 21 Febbraio, Gli Ipocriti presenta Giovanni Esposito in "Morso di luna nuova-racconto per voci in tre stanze" di Erri De Luca, Regia di Giancarlo Sepe (nostro articolo)
(speciale studenti)
Divini libri: al Teatro comunale per bere ... libri e leggere ... vini
Napoli, estate 1943, il cielo non appartiene più alla città, ma ai bombardamenti alleati; in un rifugio antiaereo (“ricovero”) si trovano nove persone a condividere la paura e le fughe disperate di quel periodo. Roma è stata bombardata, il fascismo è appena caduto. Gli Americani, nel frattempo, sono sbarcati in Sicilia e stanno avanzando verso nord. Le nove voci riflettono il clima di attesa e di sgomento in cui versa il paese quando, la guerra non accenna a finire ed anzi, i tedeschi inaspriscono la loro occupazione costringendo l’Italia, qualche settimana più tardi, alla richiesta di armistizio.
Le nove voci sono coscienti di essere diventate “americane” e capiscono che devono fare qualcosa per salvare Napoli dai Tedeschi. Addirittura due di esse inscenano una farsa (una sorta di teatro nel teatro, a dir poco geniale in quel contesto di guerra) per alleggerire l’atmosfera di quel tugurio bellico. Nel parossismo dei bombardamenti le nove persone tirano fuori la loro estrema napoletanità e la loro fiera umanità che rende il racconto un piccolo capolavoro drammaturgico dell’autore.
La città sta nella tenaglia di due eserciti: uno dentro e uno fuori. Con un colpo di polveri, come corre il grisou dentro le miniere di carbone esplodendo a folgore, così un popolo rannicchiato e stremato scatta d’orgoglio e d’ira. Con le “Quattro giornate di Napoli” (27 -30 settembre ’43) la popolazione partenopea insorse e, grazie al coraggio e all’eroismo dei suoi abitanti, riuscì a liberare la città dall’occupazione delle forze armate tedesche, spianando la via maestra alle truppe alleate.
Morso di luna nuova è il morso di una città che addenta e insegue fino a sbattere fuori l’occupante intruso. Qui si svolge la vita di nove persone in quella estate. Età, mestieri e storie differenti, compresse in un assedio, rompono le distanze tra loro e vanno insieme, prima al passo, poi fino al galoppo. La macchina della storia maggiore si chiude a sacco sulle vite individuali, ma ci sono sussulti in cui le singole esistenze spezzano la camicia di forza e inventano la libertà.
dal 26 al 28 Febbraio, Arturo Cirillo in "Otello" di W. Shakespeare, regia di Arturo Cirillo (speciale studenti) (nostro articolo)
con Danilo Nigrelli - Otello, Monica Piseddu - Desdemona, Michelangelo Dalisi - Cassio, Arturo Cirillo - Iago, Sabrina Scuccimarra - Emilia, Luciano Saltarelli - Roderigo, Salvatore Caruso - il Doge, Montano, Bianca, Rosario Giglio - Brabanzio, Araldo, Ludovico,
L’Otello è la tragedia della parola. Tutto nasce da un racconto, quello di Otello a Brabanzio e poi a Desdemona. La parola inventa i luoghi, costruisce i sentimenti, determina l’agire dei personaggi.
L’Otello si gioca tra pochi individui che si confrontano ossessivamente tra di loro; il gioco di Iago li trova già tutti pronti, sembra che non aspettavano altro, bastano poche parole e la macchina si mette in moto. La gelosia esiste dal momento che la si nomina, poi come un tarlo, come una frase musicale continuamente ripetuta, non ti abbandona più. La gelosia non si spiega, come la musica.
L’Otello si svolge in un’isola, come La Tempesta, in un luogo limitato geograficamente e mentalmente, un luogo dell’ossessione. L’Otello si svolge su un palcoscenico vuoto che guarda il mare, questo luogo lo si chiamerà Venezia, Cipro, sarà una strada, una sala, una locanda. Ma soprattutto sarà una prigione, dove un negro epilettico consumerà la sua strage.
L’Otello è una tragedia satirica (vi è anche un clown), a volte sembra una commedia, a volte la più barbarica delle tragedie, come il Tito Andronico. A due passi dal baratro si cantano canzoncine.
L’Otello è il maschile davanti al femminile, o viceversa. Due mondi che s’ignorano, due universi su cui congetturare, in mezzo Bianca, la puttana di Cassio. Il femminile si traveste, e si degrada, per rivelare la sua assenza.
L’Otello è un letto, disfatto e spesso deserto. E’ il luogo del tradimento: il palcoscenico immaginario, ma non per questo meno reale, della gelosia, della brama, dell’atto animale. La storia finisce a letto, ma il letto c’era già, continuamente evocato. Brabanzio è cacciato fuori del letto, Otello lascia forse Desdemona a letto, il Doge potrebbe essere a letto, certo ci andrà poco dopo.
L’Otello è tutto sentimento, covato, malato, irrealizzato; si parla di guerre e battaglie che non avvengono mai e intanto nella mente dei personaggi esplode qualcosa di molto più pericoloso. E’ quello che succede quando gli eserciti si fermano, quando gli uomini non combattono più, quando arriva la fatidica pace.
dal 5 al 7 Marzo, Luigi De Filippo in "la fortuna con la effe maiuscola" commedia in due parti di Eduardo De Filippo e Armando Curcio, con (in ordine di apparizione) Stefania Ventura, Michele Sibilio, Marisa Carluccio, Simona Di Nardo, Paolo Pietrantonio, Marianna Mercurio, Giorgio Pinto, Luca Negroni, Alberto Pagliarulo, Roberto Albin; scene Salvatore Michelino, costumi Maria Laura di Monterosi, regia di Luigi De Filippo (nostro articolo)
Un grande interprete del Teatro napoletano, Luigi De Filippo, ripropone questa divertente commedia che nel 1942 fu uno dei più clamorosi successi del Teatro Umoristico dei celebri fratelli De Filippo. Un trionfo personale di Eduardo e Peppino che ne furono i primi ed irripetibili interpreti. Ispirandosi alla lezione di un passato glorioso, oggi, con l’interpretazione e la regia di Luigi De Filippo, lo spettacolo torna a risplendere di luce nuova.
La fortuna con “la effe maiuscola” è quella inattesa che capita al protagonista della commedia, un pover’uomo perseguitato da un destino avverso e beffardo, che vede all’improvviso illuminare la sua vita misera dall’arrivo di un’eredità che gli giunge da parte di un parente emigrato in America.
Eredità che però ha la condizione di spettare per intero al poveretto solo se lui non avrà figli. Se il figlio c’è, tutta la ricca eredità andrà a lui. Invece il pover’uomo, che dell’eredità tutto ignorava, un figlio ce l’ha. Lo ha appena riconosciuto, costretto dalla miseria, in cambio di un modesto compenso che lo avrebbe aiutato a liberarsi dai debiti. E così, da questo impedimento, nascono gli equivoci e le disavventure tragicomiche della commedia, metafora di una società che si trasforma.
Luigi De Filippo la ripropone al pubblico d’oggi in una sua personale, divertente ed umanissima interpretazione che mette in risalto una delle caratteristiche più preziose del Teatro dei De Filippo: l’umorismo. Umorismo che rappresenta la parte agra, la parte amara della comicità. Comicità tutta napoletana che ci diverte ed appassiona attraverso un Teatro sempre attuale che, sorridendo, ci racconta la fatica di vivere.
dal 12 al 14 marzo, Luca Zingaretti legge "La sirena" dal racconto "Lighea" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Drammaturgia e regia di Luca Zingaretti (speciale studenti) Divini libri: al Teatro comunale per bere ... libri e leggere ... vini
Nel tardo autunno del 1938 due uomini si incontrano in una Torino a entrambi estranea. Paolo Corbèra è nato a Palermo, giovane laureato in Giurisprudenza, lavora come redattore de "La Stampa". Rosario La Ciura è nato ad Aci Castello, ha settantacinque anni, ed oltre ad essere senatore, è il più illustre ellenista del tempo, autore di una stimata opera di alta erudizione e di viva poesia. Il primo risiede in un modesto alloggio di via Peyron e, deluso da avventure amorose di poco valore, si trova "in piena crisi di misantropia". Il secondo vive in "un vecchio palazzo malandato" di via Bertola ed è "infagottato in un cappotto vecchio con colletto di un astrakan spelacchiato", legge senza tregua riviste straniere, fuma sigari toscani e sputa spesso.
I due sconosciuti si incontrano in un caffé di via Po ("una specie di Ade" o "un adattissimo Limbo") e, a poco a poco, entrano in una garbata e cordiale confidenza. Tra riflessioni erudite, dialoghi sagaci, battute cinicamente ironiche, i due trascorrono il tempo conversando di letteratura, di antichità, di vecchie e nuove abitudini di vita. In un immaginario viaggio, geografico e temporale tra il Nord e il Sud, emerge un mondo costruito sulla passione e l’estasi. Alle iniziali avventure del giovane con "sgualdrinelle ammalate e squallide (...), di un’eleganza fatta di cianfrusaglie e di moinette apprese al cinema, a pesca di bigliettucci di banca untuosi nelle tasche dell’amante" si sostituisce, in modo tanto sinuoso quanto dirompente, l’amore del vecchio per una creatura dal sorriso che esprime "bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia", dal "profumo mai sentito, un odore magico di mare", dalla voce che pare un canto.
Nonostante Giuseppe Tomasi di Lampedusa sia noto soprattutto per Il Gattopardo, se si osserva la pur modesta opera letteraria dell’autore, non si può far a meno di annoverare tra i suoi capolavori anche quel piccolo gioiello che è Lighea.
Pubblicato postumo nel 1961 per i tipi di Feltrinelli, questo racconto affascina sotto innumerevoli aspetti. Colpiscono le raffinate scelte semantiche che spaziano dall’italiano forbito al dialetto popolano, la precisa e attenta costruzione della sintassi, le scrupolose descrizioni di luoghi, personaggi, eventi, ma soprattutto sensazioni. Dalle pagine del racconto ambientato nella fredda Torino emerge con vigore la calda Sicilia: l’odore della salsedine, il sapore dei ricci di mare, il profumo di rosmarino sui Nèbrodi, il gusto del miele di Melilli, le raffiche di profumo degli agrumeti, "l’incanto di Castellammare, quando le stelle si specchiano nel mare che dorme e lo spirito di chi è coricato riverso fra i lentischi si perde nel vortice del cielo mentre il corpo, teso e all’erta,teme l’avvicinarsi dei demoni".
Di tutte queste sensazioni si arricchisce lo spettacolo La Sirena, accompagnato dalle musiche del Maestro Germano Mazzocchetti, di cui Luca Zingaretti non è solo interprete ma anche curatore della regia e dell’adattamento drammaturgico, trova spazio, in un percorso tra la carnalità del Presente e la spiritualità dell’Antichità, la ricchezza della poesia della terra siciliana su cui sembra palpitare quella melensa e liquorosa stasi del vivere che connota gran parte dei paesaggi e degli uomini.
dal 27 al 29 marzo, Lina Sastri e Luca De Filippo in "Filomena Marturano" di Eduardo De Filippo, regia di Francesco Rosi
Filumena Marturano, donna del popolo, ex prostituta, tolta dal postribolo da un napoletano borghese e benestante, Domenico Soriano, tenuta per venticinque anni nella casa di lui come amante, pur se in condizioni di inferiorità; autrice di uno stratagemma per farsi sposare “in extremis” dall’uomo che vuol porre fine al legame perché si è innamorato di una giovane che vuole sposare, è una delle commedie che Eduardo definiva “commedie sociali”.
Rappresentata per la prima volta al Politeama di Napoli il 7 novembre 1946, “Filumena Marturano” è, delle commedie di Eduardo, la più rappresentata in tutto il mondo.
Filumena conduce il filo del dramma con la sapienza e la determinazione dovute al sentimento di una maternità tenuta segreta per anni e poi rivelata. Filumena ha tre figli, avuti da tre uomini diversi, li ha voluti, li ha cresciuti, li ha assistiti, rimanendo nell’ombra senza mai rivelarsi come madre. Solo di uno è sicura la paternità, il figlio di Domenico Soriano, ma Domenico non lo sa e non lo deve sapere. Quando Filumena decide che lo deve sapere e glielo dirà, non gli dirà altro, chi è, come si chiama, come vive: perché “i figli sono figli” e devono essere tutti uguali, quelli di cui si conosce la paternità e quelli di cui non la si conosce.
La commedia di Eduardo porta al pubblico il problema dei diritti dei figli illegittimi mentre nello stesso tempo l’Assemblea Costituente svolgeva un dibattito sulla famiglia e sui figli nati fuori dal matrimonio. La tematica affrontata da Eduardo trova riscontro nell’impegno dell’Assemblea Costituente e offre materia di riflessione per affrontare il drammatico problema. Il 23 aprile 1947 l’Assemblea Costituente approva l’articolo che stabilisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire e educare anche i figli nati fuori dal matrimonio. Nel febbraio del 1955 verrà approvata la legge che abolirà l’uso dell’espressione “figlio di N.N.”
“Dimmelo chi è mio figlio, la carne mia, il sangue mio. Me lo devi dire, per te stessa, per non dare l’impressione che fai un ricatto, io ti sposo lo stesso, te lo giuro” Domenico Soriano non rinuncia a conoscere di chi è il padre. Filumena ha vinto la battaglia, ma non cede: “Ti ho voluto bene con tutta la forza della vita mia e come hai voluto tu. Agli occhi miei tu eri un Dio. E ancora ti voglio bene, forse meglio di prima: non me lo chiedere più. Tu devi essere forte. Perché per il bene che ti voglio, perciò ti ho detto non piangere, perché in un momento di debolezza… E sarebbe la nostra rovina, specialmente la tua, soprattutto per te io non te lo dico. Cominceresti a pensare: e perché non glielo posso dire che sono il padre? E gli altri due che sono, che diritto hanno?.... L’inferno. E noi ci dobbiamo solamente voler bene… Abbiamo tanto bisogno di volerci bene, tutti quanti.”
Domenico Soriano sposa Filumena Marturano, i tre figli si chiameranno Soriano, avranno gli stessi diritti tutti e tre, e lo stesso amore.

Speciale studenti

"Studenti a teatro" rende accessibili al pubblico degli alunni delle scuole medie superiori e agli studenti universitari alcuni degli appuntamenti che impreziosiscono il cartellone di spettacoli di prosa della stagione 2009/2010. "Studenti a teatro" consente agli studenti di acquistare un biglietto di galleria, al costo speciale di € 10 (costo effettivo € 30).
per info e dettagli rivolgersi a Barbara e Marina 0823444347

Costi

Costi abbonamento: Platea 350€, Galleria 300€
Per info: Teatro Comunale Caserta 0823 442990, Teatro Pubblico Campano 081 7345210ù

Consulta anche: Casertartedanza 2010, Teatro Comunale: rassegna "Non ci resta che ridere"

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