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La Scuola Media Giannone

 

Chiesa di S. Antonio

 

Interno della Chiesa di S. Antonio

 

 

Fronte e retro del "santino" del Precetto Pasquale del 1950

 

Parte terminale di Via Giannone

 

Piazzetta S. Pietro ad Aldifreda con la Cappella di S. Michele

 

Esterno della Chiesa di S. Pietro Apostolo in Aldifreda

 

Interno della Chiesa di S.Pietro Apostolo

Foto e testo, ove non diversamente specificato
© Casertamusica

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Passeggiate casertane: Da piazza Vanvitelli alla Vaccheria

2° tappa: Corso Giannone

articolo e fotografie di Lorenzo Di Donato

Tappe della passeggiata:

1: Piazza Vanvitelli

2: Corso Giannone

3: Aldifreda e i Mulini Militari

4: il casale di Sala

5: San Leucio

6: Vaccheria

 

Seconda tappa: Corso Giannone

 

Al termine della prima parte di questa lunga passeggiata, ci siamo lasciati davanti alla Scuola elementare “De Amicis” .

E’ ora di percorrere l’intero Corso Giannone, affollato di studenti di ogni età, oggi come sempre.

“State attenti! State attenti ora che uscite! Potreste finire sotto una carrozzella!”.

Questo era l’avviso giornaliero dei nostri maestri negli anni '40 quando, al termine delle lezioni, ci accingevamo ad uscire dai locali della Scuola Media “Giannone”. Oggi un simile avvertimento fa almeno sorridere, ma allora era opportuno per evitare che noi discolacci uscissimo di corsa dal portone della scuola e fossimo travolti… da una carrozzella ! Proprio così perché, allora, il Corso Giannone aveva una carreggiata molto stretta, meno della metà di quella odierna, dovuta ai lavori di allargamento e risistemazione degli anni cinquanta dello scorso secolo. Fino ad allora il corso Giannone era privo del largo marciapiede che oggi costeggia la robusta inferriata e …dell’inferriata, che ha sostituito l’alto muro di recinzione del Parco, come quello che si può vedere a via Ponte di Ercole o a Puccianiello.

Può sembrarvi strano che io sia stato a scuola in tanti posti diversi, ma è stato proprio così. Infatti io e tanti casertani abbiamo dovuto “fare” le scuole elementari e medie nei pochi locali che i danni dei bombardamenti e le requisizioni militari consentivano in quei tristi e lunghi anni di guerra. In particolare, per darvi l’idea del nostro peregrinare da una scuola all’altra, io ho fatto lezione nei locali della Scuola elementare “De Amicis” e della Media “Giannone”, entrambe al corso Giannone; nei locali dell’attuale Questura e della Torre a Palazzo Vecchio; nei banchi delle aule messe a disposizione dalle suore Riparatrici del Sacro Cuore in via Tanucci; nei locali della Camera di Commercio in via Roma.

Passata un poco la bufera, le cose andarono meglio perché il Liceo Scientifico, la Scuola Media Vanvitelli e l’Istituto Tecnico per Ragionieri e Geometri trovarono sistemazione in Palazzo reale, lato giardini della Flora.

Ma a me, passato a Palazzo reale, rimasero nel cuore sia il Liceo Giannone sia la chiesa di sant’Antonio per una gentile consuetudine: prima dell’inizio delle lezioni giornaliere, era assidua la frequenza degli studenti e studentesse all’altare di S. Antonio, nella chiesa retta dal giovane prete don Mario Vallarella, che, appena dopo la guerra, aveva raccolto intorno a se tanti ragazzi orfani o disadattati dando loro una casa, un pasto e, per molti di loro, un dignitoso avvenire.

Rivolgere a sant’Antonio le preghiere per una buona interrogazione o per il corretto svolgimento del compito in classe erano quasi di abitudine, allora. Il buon Santo non poche volte si è sentito rivolgere anche la preghiera di incontrare, all’uscita dalla chiesa, lo sguardo o il sorriso di colui o colei che provocava i primi turbamenti, le prime pene d’amore. Penso che sant’Antonio non abbia mai messo il broncio per questo e che qualche strappo l’abbia fatto, lui che poteva leggere nelle anime! Non so se questa dolce usanza si sia conservata in questi lunghi e travagliati anni.

Anche per il precetto pasquale, che allora si svolgeva in ogni scuola e costituiva un momento di spiritualità e di socializzazione al di fuori delle rigide regole scolastiche e familiari, si aveva preferenza per la vasta chiesa di sant’Antonio. L’evento era molte volte solennizzato da un santino datato e distribuito al termine della cerimonia, prima del rompete le righe, che era festosamente salutato da alunni e docenti in quanto era l’unica lectio brevis durante un anno di quotidiano e duro lavoro scolastico

Appena dopo la chiesa, nel palazzo in cui è ubicato l’Ufficio Postale, ci attirava la fucina di un fabbro ferraio nonché “sferracavalli”. Mi sembra che si chiamasse Grignola, di Puccianiello. Ci affascinava sia il ferro che usciva incandescente dalla forgia e che sprizzava scintille sotto i colpi dei martelli manovrati da due giovani a torso nudo sia il puzzo degli zoccoli bruciati dal ferro appena forgiato sia, ancora, la maestria con la quale il Grignola, per fissare i nuovi ferri, conficcava i grossi chiodi negli zoccoli dei cavalli.

Ancora cento metri e siamo in piazza san Pietro, in Aldifreda, la frazione più vicina al centro di Caserta, ma che ancora quarant’anni fa non pochi casertani del centro consideravano lontanissima. Oggi è da considerare centro di Caserta per la massiccia presenza di unità abitative residenziali, l’insieme dei servizi offerti e per la continuità, senza soluzioni, dei fabbricati che la uniscono a piazza Vanvitelli.

La piazza -delimitata a est dal palazzo dell’ex sindaco Cappiello, a ovest dal grande palazzo Alois , a nord da ciò che resta del palazzo Zito con la relativa cappella dedicata a san Michele Arcangelo, oggi sede degli accollatori di san Pietro- fa ancora la sua bella figura quando non è invasa dalla presenza delle auto in sosta selvaggia. In questa piazza si rappresentava da volenterosi giovani “la Tragedia della crocifissione di san Pietro” e si organizzava con corale partecipazione la sagra del “cucuzziello”, ormai scomparsa: a giugno festoni di zucchini, di cucuzzielli, addobbavano la piazza ed i portoni di Aldifreda inframmezzati da coloratissimi festoni ottenuti concatenando anelli di carta. Le mamme preparavano la colla -colla di farina, naturalmente-, le signorine sceglievano gli opportuni fogli di carta colorata e ne ricavavano striscioline di carta, che poi venivano incollate in forma di anelli concatenati tra loro dai più piccoli; i maschi appendevano festoni e cucuzzielli. Il tutto in una estrema confusione, tra battutine anche salaci, pettegolezzi vari e grasse risate, l’inevitabile incavolata del nervosetto di turno. Quei giorni il cucuzziello la faceva da padrone giacché in ogni casa della borgata venivano cucinati in tutte le salse: in bianco, con i fagioli, indorati e fritti, alla parmigiana, a fungitiello, etc.

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